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Utopia: una necessità biologica

di Jean-louis Aillon - 19/08/2009

 

Nella logica evolutiva non è la spinta rivoluzionaria giovanile, bensì la rassegnazione degli adulti a costituire un’aberrazione biologica.

Mi chiamo Jean-louis, ho 24 anni e studio medicina.
Mi ritengo molto fortunato. Sono un sopravvissuto, lo siamo in pochi.
Sono un sopravvissuto alla devastazione culturale e morale che il sistema consumista-capitalistico ha portato avanti subliminalmente negli ultimi 30 anni.
Guardo il mondo e mi sento alieno, un pesce fuor d’acqua.
E’ possibile che gli uomini nell’anno 2.000 non abbiano ancora capito che si vive meglio aiutandosi gli uni con gli altri che facendosi la guerra? E’ possibile che non abbiano ancora capito che benavere, o meglio ancora “tanto-avere”, non è sinonimo di ben-essere? Che lavorare tutto il giorno come dei muli per comperarsi poi una miriade di oggetti inutili non rappresenta proprio l’apice del progresso umano? Che poiché la terra ha delle materie prime e uno spazio finiti l’economia non può crescere all’infinito?
Sono uno di quei pochi giovani che non si rispecchia in questa società, che ci vede tante, troppe cose sbagliate, ingiuste, stupide e insensate…
Sono uno di quei pochi giovani che crede ancora che sia possibile cambiare il mondo, che crede in qualche ideale trascendente il suo misero essere, che spera… che ha dei sogni in un cassetto che non hanno ancora lasciato il posto alla rassegnazione e al conformismo.
Sono uno di quegli esuli che non riesce a non andare alla ricerca del senso (relativo) più profondo della vita nell’aiutare gli altri, nel dare, nell’amore (nella sua connotazione più ampia) e nel cercare di cambiare questo strano mondo in cui viviamo. Mi sento solo. Mi sembra proprio di appartenere a quella che Giorgio Gaber definisce “una razza in estinzione”1.

Se tra i giovani c’è ancora qualcuno che la pensa come me, nel mondo degli adulti questo è ancora più raro, quasi un eccezione. Riporto qui un esempio per dimostrare che ne esiste ancora qualche esemplare. E’ l’introduzione ad un libro di cardiologia del professor Agnati:
Agli studenti. Un’altra quota di autori, specie d’oltre oceano, ringrazia gli studenti.
Non vorrei essere cosi generico, ringrazio perciò quei pochi studenti che pensano che l’utopia sia una scelta di vita obbligata, e cosi facendo ci insegnano a non dimenticare mai le nostre “illusioni” perdute. Luigi Francesco Agnati 2


Pensieri come questi ci appaiono lontani, un’ eco d’altri tempi..
E’ da quando avevo 18 anni, invece, che parlando con la gente più grande, con “gli adulti”, mi sento ripetere puntualmente frasi stereotipate del genere: “Eh sì, hai ragione, ma…. sei giovane!
Vedrai, crescendo capirai che le cose non sono così facili, il mondo è un altra cosa.. Ne riparliamo poi fra una decina d’anni, eh!. Vedrai..”
Ho aspettato, aspetto..ma continuo a non capire. “L’illuminazione” non mi è ancora arrivata? Non sarò ancora abbastanza grande? O forse è che sono un po’ tugno..
Finche’ un giorno, ad un congresso di psichiatria sulla psicoterapia nella depressione ho perso le staffe. Posi la seguente domanda, facendo riferimento a un passo del libro “un altro giro di Giostra” di Tiziano Terzani. Quest’ ultimo interroga un anziano eremita sull’Himalaya sul significato di un suo sogno. Il vecchio gli risponde:
“Il contenuto dei sogni, disse, era roba da psicanalisti che considerano loro compito riadattare i pazienti alla società invece che cambiare la società per adattarla ai bisogni dell’umanità in generale”3


Chiesi, in questo contesto, visto l’aumento del numero dei suicidi, del consumo di psicofarmaci e dello stress nella società moderna, se la psichiatria non dovesse incominciare ad acquisire un ruolo importante nella prevenzione primaria dei disturbi psichiatrici.
Mi rispose un anziano professore. Avevo un po’ paura di contrariarlo. Disse, invece, contento: “Ah, lei è giovane! E’ bello e giusto che dica queste cose. ” per poi spiegarmi che la psichiatria non si poteva occupare della felicità degli uomini, del cambiamento della società. Quella era una scelta personale che ognuno poteva prendere, ma che non si poteva imporre a un’ intera disciplina.

Insomma, non ha risposto alla mia domanda (che era tecnico-scientifica) e, velatamente, mi è stato dato per l’ennesima volta del giovane utopista!
In quel momento ho veramente capito.
Fare prevenzione primaria non è un utopia, non è “aleh, psichiatri di tutto il mondo unitevi e salviamo il mondo!”. E’ medicina, è scienza. E’ “lavarsi i denti perché non ci vengano le carie”.
Significa modificare l’ambiente, in questo caso la società, affinché il rischio di incorrere in una determinata patologia sia molto minore. Insomma, il famoso motto: “Prevenire è meglio che curare”!
Come si fanno le campagne culturali sugli stili di vita, per spiegare alla gente che se mangia poco e bene e se fa attività fisica non gli viene il diabete di tipo 2 o la sindrome metabolica ed è anche più felice (l’attività fisica stimola la produzione di endorfine); cosi, se si riuscisse per esempio a confutare psicologicamente l’equazione:
bellezza=magrezza, oppure realizzazione della vita= denaro/potere= consumismo= acquisto di tante merci inutili= iper- lavoro nell’ottica di essere sempre il migliore penso che avremmo molte meno pazienti anoressiche, depressi, ansiosi, frustrati e stressati cronici.
Riusciremmo inoltre a vivere più serenamente e felicemente.

Chi aveva ragione?
La giovinezza è un momento passeggero e illusorio in cui si fanno tanti bei pensieri, incollimabili però con realtà, e l’età adulta è quella della ragione? L’età in cui si diventa “maturi”, realisti, si comprende il mondo nella sua interezza?..
oppure è solo da giovani, da “puri” perché non ancora ingranaggi della megamacchina capitalista, che si riesce a concepire al meglio il mondo nella sua interezza e la disillusione degli adulti non è altro che una deviazione egoistica, un aberrazione biologica?
Io propendo decisamente per quest’ultima ipotesi. Penso proprio che non sia “normale” essere disillusi a 40 anni e lo scopo di questo scritto è proprio quello di dimostrare scientificamente che non è l’utopia giovanile ad essere un’aberrazione biologica, ma che la vera aberrazione, da un punto di vista evolutivo, è la rassegnazione dell’età adulta.

Ma cosa intendiamo per normale? Intendiamo quello che sono tutti, che fanno tutti, ovvero il 95 % delle persone che sta all’interno della famosa gaussiana, oppure ciò che è meglio per la sopravvivenza del singolo e della sua specie?
Generalmente queste due cose coincidono. Tutti parlano, è normale parlare. Tutti fanno pipì, è normale. Tutti abbiamo due occhi, un cuore e un fegato. Non siamo né alti 6 m, né 4 cm.
Dormiamo, mangiamo, ridiamo e facciamo l’amore… Se non è così è un problema. Non essere normali significa essere svantaggiati, perché l’evoluzione ha fatto sì che sopravvivessero i migliori, e questi di conseguenza risultano essere “i normali”. Secondo la teoria Darwiniana, infatti, solo i migliori riescono a sopravvivere fino all’età adulta e fra questi solo i più forti riescono ad accoppiarsi ( a causa della competizione per la femmina) e a trasmettere il loro patrimonio genetico, che altrimenti viene perduto. Attraverso questo meccanismo, semplicemente lottando per la sopravvivenza, si è realizzato un progressivo miglioramento della specie umana, inscritto nelle pagine del suo DNA.
Oggi però , nella cosiddetta società occidentale, le cose non stanno più così. Ci stiamo disevolvendo!
L’evoluzione della specie attraverso la selezione naturale dei più forti, dei più adatti, non esiste quasi più, ovvero esiste in una forma molto ridimensionata (solo per quelle patologie gravissime e incurabili che non permettono all’individuo di raggiungere l’età riproduttiva, la maggioranza delle quali sono costituite da aborti spontanei).

BIBLIOGRAFIA:
1 Giorgio Gaber, Brano musicale: La razza in estinzione; CD:La mia generazione ha perso.
2 Luigi Francesco Agnati, Fisiologia cardiovascolare (Piccin)
3 Tiziano Terzani, Un altro giro di giostra, Longanesi, 2004