La polemica sulla tassazione dei bot tra Berlusconi e Prodi indica purtroppo che la campagna elettorale ha toccato il suo punto più basso. In termini di disinformazione e folclore preelettorale.
Dinsinformazione: i bot (buoni ordinari del tesoro) vissero una vera e propria epoca d'oro negli anni Ottanta. In pratica, i governi del pentapartito (socialisti + democristiani + laici vari) li usavano per finanziare il debito pubblico e garantirsi il consenso sociale dei ceti medi. Negli anni Novanta, soprattutto dopo Tangentopoli, le dure politiche monetariste per entrare in Europa li hanno gradualmente resi meno appetibili (ma non del tutto, il risparmiatore italiano è molto conservatore...). Attualmente i titoli del debito pubblico rendono meno della quinta parte di quel che rendevano negli anni Ottanta, e circa la metà di essi è nelle mani di risparmiatori stranieri (in genere banche e fondi privati, non tassabili in Italia). Quel che va sottolineato è che la tassazione sui bot (oggi al 12.5 %) è sempre stata mantenuta piuttosto bassa (dai governi Craxi a quelli di Berlusconi passando per i governi Prodi e D'Alema). Più volte si è molto discusso accesamente su come accrescerla, senza mai approdare a nulla. Come del resto è stata mantenuta più bassa, rispetto alle media europea (in rapporto di 1/1.5 a 3), la tassazione sulle plusvalenze finanziarie: per non inimicarsi i ceti medio-alti. In Italia negli ultimi trent'anni, come ha ben mostrato Geminello Alvi nel suo ultimo libro Una Repubblica fondata sulle rendite (Mondadori), le tasse hanno gravato, e in misura enorme, solo sulle spalle del lavoro. Sarà perciò difficile, chiunque vinca le elezioni, invertire una tendenza, come dire "storica", fondata sul rapporto privilegiato tra governi (di qualsiasi colore) e ceti medi e medio-alti. Quale governo, potrebbe essere così pazzo, da recidere le radici di un consenso, non tanto politico quanto sistemico, basato appunto su un sistema che si fondo sull'economia della rendità a bassa tassazione?
Folclore preelettorale : sia il centrodestra che il centrosinistra mentono agli elettori, sapendo di mentire... Non è possibile infatti che entrambi gli schieramenti siano in buona fede. Luca Ricolfi nel suo ottimo libro Dossier Italia. A che punto è il contratto con gli italiani (il Mulino) ha mostrato, in modo inoppugnabile, come nelle due ultime legislature le politiche economiche, fiscali e finanziarie dei due Poli siano state pressoché simili sul piano temporale e dei contenuti. I conti pubblici del centrosinistra gestiti con oculatezza nei primi tre-quattro anni (1996-1999), hanno poi iniziato a far acqua da tutte le parti nell'ultimo scorcio di legislatura (2000-2001). Una simile involuzione hanno subito i conti pubblici del centrodestra: migliorano nei primi due anni (2002-2003), peggiorano nei successivi tre, in concomitanza con gli appuntamenti delle elezioni europee (2004) e delle prossime politiche.
Insomma, la necessità di guadagnare e conservare consenso, manovrando le leve della spesa pubblica e del fisco, è inversamente proporzionale alla distanza temporale che separa i governi dalle elezioni: più sono vicine le elezioni, meno virtuosi si fanno i governi; meno sono vicine, più si fanno virtuosi. E come mostrano numerosi studi e ricerche sociologiche si tratta di una "costante" non solo italiana.
Ciò significa, che il vincitore del 9 aprile, a prescindere dallo schieramento politico e dal folclore preelettorale, tasserà e taglierà le spese. E visto che in Italia la rendita non si tocca da almeno trent'anni, come al solito a farne le spese sarà il lavoro. Soprattutto quello dipendente e privato.