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Iraq. Almeno altri quattro anni di occupazione

di Is.La. - 24/03/2006

Fonte: Rinascita



Avevano parlato del 2008, dopo aver a più riprese spostato in avanti la data dell’eventuale ritiro. Prima era il 2005, poi il 2007. Più volte la scadenza dell’occupazione statunitense dell’Iraq era stata modificata, da Bush, da Rumsfeld o da qualche generale Usa, ma le ultime dichiarazioni avevano parlato di altri due anni di permanenza nel Paese arabo, salvo, ovviamente, la richiesta di prolungarla da parte dell’amministrazione irachena. Rimpalli che hanno sempre nascosto la vera politica statunitense per l’Iraq, quella di stabilire nel Paese arabo delle basi permanenti per il controllo definitivo del territorio. L’esempio italiano è calzante: basi americane sparse per tutta la penisola e sudditanza totale dei governi post-bellici al verbo d’oltreroceano. Ora, però, non serve nemmeno più il paravento del ritiro ‘con i se e con i ma’.
Martedì, George W Bush, in una conferenza stampa, alla domanda se era ipotizzabile che un giorno in Iraq non ci fossero più soldati americani ha risposto: “è senz’altro un obiettivo, verrà deciso dai futuri presidenti (degli Stati Uniti, ndr) e dai futuri governi iracheni”. Considerato che il mandato di Bush scadrà nel gennaio 2009, si dovrebbe quindi riparlare di ritiro solo nel 2010. Altri quattro anni di occupazione, di angherie ma anche di guerriglia. La speranza è che nel 2010 la resistenza avrà già cacciato gli invasori statunitensi.
Intanto il leader spirituale supremo iraniano, riferendosi alla proposto del governo di Teheran di intavolare dei colloqui con gli Stati Uniti sulla instabilità irachena, ha messo in guardia Washington dal mostrare atteggiamenti provocatori. Parlando nella città nord-orientale di Mashhad, l’Ayatollah Khamenei ha detto infatti che l’Iran è disposto ad un dialogo con la Casa Bianca sulla situazione in Iraq, ma avvertito: “Se significa aprire uno scenario in cui gli americani possano astutamente continuare nelle loro prevaricazioni, le negoziazioni sull'Iraq saranno bloccate”, precisando che in occasione di eventuali colloqui Teheran avvertirebbe Washington della necessità di abbandonare l’Iraq e di lasciare che gli iracheni si governino da soli.
Sul fronte interno, mentre il nuovo governo-fantoccio resta una chimera, visto che non si sanano i contrasti sulla scelta del futuro premier, il Comitato degli ulema sunniti in Iraq ha respinto nuovamente la proposta di una riforma federalista del Paese. In un comunicato diffuso l’altro ieri, in risposta all’invito del leader sciita Abdel Aziz al Hakim di creare un sistema politico federale nel centro e nel sud dell’Iraq, gli ulema hanno replicato affermando che “la terra dell’Iraq non è divisibile”.
Gli sciiti, come pure i curdi, intenderebbero infatti dividere in tre il Paese. A loro spetterebbe il sud dell’Iraq, nel quale sono la maggioranza e in cui, come pure nel Kurdistan iracheno, si trovano grandi giacimenti petroliferi.
A fare le spese della separazione sarebbe il centro, dove si trova la minoranza sunnita. Gli ulema hanno quindi affermato che “se il sud dispone di risorse petrolifere, il nord e il centro a loro volta posseggono le risorse idriche”, probabilmente riferendosi alla possibilità di gestire il flusso del Tigri e dell’Eufrate a monte dell’Iraq meridionale.
Is.La.