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Il mare razziato

di Romina Arena - 04/09/2009

Nel 2048 potrebbero non esserci più pesci da mangiare. Un progressivo declino causato dalla crescita, quella che che si maschera da progresso, ma che invece, nelle parole di Vandana Shiva, dissimula in realtà la creazione della penuria.


 

pesca
Nel 2048 potrebbero non esserci più pesci da mangiare
Mi piace pescare e spesso quando mi ritrovo con la canna sulla spiaggia o su un molo in attesa di qualche cattura penso all’incidenza della mia attività sull’ecosistema del mare.

 

Il mio secchio non fa Pil e quello che pesco è solo lo stretto necessario che mi porta lontana dal banco del pesce al supermercato.

Altri percorsi, altre catene.

Quando vedete branzini, orate cicciute, tranci succulenti di tonno, cascate di gamberetti, trionfanti pescespada, sempre, invariabilmente con un limone infilzato in cima alla spada, comodamente adagiati su un tappeto di ghiaccio chiedetevi cosa c’è dietro quell’occhio vitreo e quella bocca spalancata.

 

Rupert Murray se lo è chiesto. The end of the line è la risposta che ha provato a darsi ed a dare a tutti quelli che si pongono la questione: ma quel pesce da dove viene?

Un documentario crudo (ma che non sa di sushi) sugli effetti della pesca intensiva sull’ecosistema dei mari e degli oceani.

Le immagini del trailer, perché in Italia, per ora, possiamo vedere solo quelle, sono un pugno dritto allo stomaco.

Cascate di sgombri che precipitano dentro profondi silos, trasferiti lungo cinghie di trasmissione e scaraventati dentro grandi sacchi di plastica.

Ecatombe di tonni, catturati in quantità tali da registrarne il rischio di estinzione per rispondere alla pressante domanda di sushi dell’Occidente.

 

 

meduse giganti
La presenza eccessiva di meduse ha un forte impatto sulla vita marina
Uno scenario drammatico, insomma, reso ancora più tetro dall’eccessiva presenza di meduse che hanno un forte impatto sulla vita marina e dallo scempio prodotto dalle famigerate reti a strascico che portandosi dietro tutto quello che trovano, alterano in maniera irreversibile

 

l’ecosistema dei mari.

 

La pesca intensiva, o industriale, che dire si voglia, non ha rispetto per i tempi ciclici, perché per l’economia, la crescita e quindi la devastazione e la depredazione il tempo è sempre troppo poco.

Non vale neanche a molto rincorrere il mito, piuttosto redditizio, degli allevamenti dove i pesci sono stipati in gabbie e sovralimentati anche aggiungendo antibiotici ai mangimi perche crescano in fretta, senza ammalarsi e soprattutto tutti uguali.

Branzini standard di 200 grammi identici gli uni agli altri, come i panini del McDonald’s .

 

L’allevamento, da molti considerato la soluzione “sostenibile” alla penuria di pesce in mare, si rivela invece essere una pratica dannosa per quelle regioni in cui i pesci vengono “allevati”.

Il pesce da allevamento costituisce il 30% del volume ittico globale consumato, ma è anche la causa della distruzione di molti ecosistemi e dell’impoverimento delle piccole comunità di pescatori.

Non basta.

 

pesca
La pesca intensiva, o industriale, che dire si voglia, non ha rispetto per i tempi ciclici
Se prendiamo come esempio l’allevamento di tonni o salmoni, predatori, quindi carnivori, sappiamo che per ogni kg di salmone sono necessari 5kg di pesce grasso, sardine o aringhe, necessarie per la preparazione degli sfarinati necessari alla loro alimentazione. In questo modo il rischio è quello di fare scomparire queste specie dai mari.

 

 

È tutto? No.

In un ambiente stretto, come quello delle gabbie, la concentrazione di capi è molto alta, come alto è il rischio di propagare malattie tra gli animali. Gli antibiotici che si aggiungono ai mangimi, poi, fanno il resto poiché la loro assunzione massiccia produce batteri resistenti agli stessi antibiotici e pericolosi per gli uomini che si cibano di quei pesci, per i pesci stessi che si ammalano e per l’ecosistema nel quale si installano le gabbie.

 

Ecco quindi che ritorno alla mia canna. Il pesce me lo pesco da sola, se prendo un animale sottomisura, secondo quella che dovrebbe essere una buona regola per tutti i pescatori, lo ributto in acqua, che cresca e raggiunga le dovute dimensioni. Il mio impatto sull’ambiente marino è zero perché non ammorbo e non intorbidisco le acque con oli di scarico, nafta e rifiuti e soprattutto non mi rendo complice, comprando il pesce sulla grande distribuzione, né di una pratica inumana come l’allevamento intensivo né di un processo drammatico che porterà entro il 2048 alla scomparsa della maggior parte degli esemplari che popolano mari ed oceani.