La borsa iraniana del petrolio in Euro
di Ugo Bardi - 27/03/2006
Fonte: Comedonchisciotte
Si parla molto in questi giorni della "borsa iraniana del petrolio" che il governo iraniano avrebbe in programma di aprire per commerciare il petrolio iraniano in euro piuttosto che in dollari. Si dice che l'apertura di questa borsa potrebbe essere un "casus belli" sufficiente per gli Stati Uniti per attaccare l'Iran.
Sotto certi aspetti, queste preoccupazioni non sono prive di logica. L'abbraccio (quasi mortale) fra dollaro e petrolio è qualcosa che va avanti dai primi anni '70, quando gli Stati Uniti si ritirarono unilateralmente da quella serie di accordi nota come "Bretton-Woods" che prevedeva la convertibilità dei dollari in oro e viceversa. L'abbandono degli accordi di Bretton Woods avrebbe potuto avere conseguenze apocalittiche sull'economia americana, ma dopo una fase difficile, il dollaro riemerse più forte che mai. Era ancorato questa volta a una commodity ben più robusta e utile per l'economia mondiale di quanto non lo fosse l'oro: il petrolio.
Da allora, petrolio e dollaro sono stati una coppia inseparabile. Tutto il petrolio mondiale veniva, e viene tuttora, venduto in dollari. Questo significa che chiunque nel mondo voglia acquistare petrolio deve per prima cosa procurarsi dei dollari. Per fare questo deve dare in cambio qualcosa all'unica agenzia autorizzata a stamparli: la banca centrale degli Stati Uniti. In pratica, con questo meccanismo gli Stati Uniti controllano il mercato del petrolio e non è cosa da poco: si tratta oggi di un giro di circa 1500 miliardi di dollari all'anno. A questo si aggiunge il commercio mondiale di gas liquefatto e di carbone, anche questi normalmente prezzati in dollari.
Se la moneta scelta per le transazioni non dovesse essere più il dollaro, le conseguenze sarebbero importantissime con la possibilità di spostare il centro di dominazione geopolitico mondiale dagli Stati Uniti all'entità che gestisse questa nuova moneta. E' evidente la posta in gioco ed anche altrettanto evidente l'opposizione che qualsiasi tentativo del genere incontrerebbe. Fino ad oggi, c'è stato solo un tentativo di qualche peso in questo senso, la decisione del 2002 da parte del governo di Saddam Hussein di vendere il petrolio iracheno in euro, cosa che secondo alcuni è stata una delle ragioni per l'invasione del 2003. La "Borsa Iraniana del Petrolio" potrebbe essere qualcosa che si colloca nella stessa linea e che potrebbe generare ulteriori azioni militari nella zona del golfo.
Queste ipotesi non sembrano del tutto campate in aria, ma potrebbero essere anche molto esagerate. In effetti, sono immense le difficoltà che l'Iran potrebbe affrontare per generare un "effetto valanga" di allontanamento dal dollaro. L'Iran produce meno del 5% del petrolio mondiale e ne vende circa la metà sul mercato mondiale, il resto lo consuma internamente. La produzione Iraniana di petrolio sembrerebbe aver già raggiunto il suo picco ed essere ormai in declino. Per finire, il greggio Iraniano è del tipo "pesante" che richiede una raffinazione più complessa e costosa di quello "leggero" prodotto in altre aree. Anche se nella situazione attuale il sistema mondiale non può fare a meno del petrolio Iraniano, l'Iran rimane comunque un produttore marginale in confronto a paesi come l'Arabia Saudita, L'Iraq (almeno in potenza), la Russia e gli stessi Stati Uniti.
Sembrerebbe in effetti che la famosa "borsa iraniana del petrolio" sia più che altro una leggenda che si trova soltanto nella stampa occidentale. Un esame dei siti internet iraniani in inglese mostra che non parlano molto di queste cose, se non, paradossalmente, riprendendo notizie prese dalle agenzie occidentali. Esaminando i commenti di vari esperti di finanza petrolifera, poi, si trova un diffuso scetticismo sulla notizia (vedi per esempio http://www.energybulletin.net/13192.html). Allora, cosa c'è di vero inquesta storia?
Nella pratica, nulla impedisce al governo iraniano di provare a mettere su una "borsa del petrolio" ma i risultati difficilmente saranno devastanti come qualcuno sembra credere. Il petrolio viene oggi commercializzato principalmente nelle borse di New York e Londra, non è ovvio che i traders vorrebbero spostarsi in Iran per una borsa che avrebbe l'unico vantaggio di trovarsi in vicinanza di un produttore che controlla, al massimo, qualche percento della produzione mondiale. Se la cosa fosse boicottata attivamente dai principali attori del commercio internazionale non ci sarebbe bisogno di bombe atomiche per fermarla. Quello che il governo Iraniano può fare, al massimo, è di vendere il proprio petrolio direttamente in Euro a chi lo vuol comprare. Questo potrebbe avere un valore dimostrativo, ma da solo non stravolgerà certamente il mercato.
In fin dei conti, il nocciolo della dominanza planetaria del dollaro non sta tanto nel fatto che il petrolio viene comprato in dollari, ma in quello che succede ai dollari dopo che sono stati usati per comprare il petrolio. Ovvero, una volta che i dollari sono finiti nelle tasche dei petrolieri, dove vanno a finire? La risposta è che, al momento, in gran parte ritornano negli Stati Uniti in forma di investimenti bancari, immobiliari e azionari. Questo vale sia che i petrolieri siano le multinazionali occidentali sia gli sceicchi del Medio Oriente. E' questo immenso flusso di ritorno dei cosiddetti "petrodollari" che rende gli Stati Uniti la maggior potenza economica e militare mondiale.
Nessuno è obbligato a investire i petrodollari negli Stati Uniti; se qualcuno li vuole trasformare in Euro, Rubli, o Yuan cinesi o che altro lo può fare quando vuole. Investirli negli Stati Uniti è una scelta dettata dalla percezione generale di stabilità e di convenienza degli investimenti. Tuttavia, il sistema mondiale del commercio del petrolio (noto anche sotto il nome equivalente di "globalizzazione") sta mostrando segni preoccupanti di instabilità. Questa instabilità non è dovuta tanto all'azione politica di qualche potentato locale ma al graduale esaurimento del surplus produttivo che era stato comune fino a poco tempo fa. Se il petrolio si fa scarso, la tentazione di chi lo produce è di *non* venderlo. Ovvero, se i proprietari dei pozzi riterranno che i prezzi siano destinati a continuare ad aumentare, gli conviene tenere il petrolio nei pozzi piuttosto che trasformarlo in dollari, euro, Yuan, o conchiglie di fiume del Belucistan. Questa è una situazione del tutto nuova, di cui non tutti si sono ancora resi conto, ma che ha il potenziale di destablizzare un sistema economico globalizzato che ormai tutti consideravamo la normalità.
Non sarà certamente il presidente Iraniano Ahmadi-Nejad l'untorello che scardinerà il mercato petrolifero mondiale. Ma niente è eterno, specialmente le cose che ci sembrano le più stabili.
Ugo Bardi*
Fonte: http://petrolio.blogosfere.it
Link: http://petrolio.blogosfere.it/2006/03/supereroi_e_bor.html#more
6.03.06
*Docente dal 1990 presso il Dipartimento di Chimica dell'Università di Firenze. La sua carriera precedente include periodi di studio e insegnamento presso le università di New York, Marsiglia, Berkeley e Tokyo. Attualmente si occupa di nuove tecnologie energetiche e di politica dell'energia È membro dell'associazione Aspo, un gruppo di scienziati indipendenti che studiano le riserve di petrolio mondiali e il loro esaurimento.
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