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La rivolta degli schiavi

di Christian Elia - 28/03/2006

Fonte: peacereporter.net

 

Negli Emirati Arabi Uniti, per la prima volta, scioperano i lavoratori immigrati
L’altezza definitiva che avrà la torre Burj Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, non la conosce nessuno. Lo scopo principale è quello di stupire il mondo con l'edificio più alto di sempre e il dato va tenuto segreto per evitare che qualcuno si metta in testa di costruirne una più alta. Si sà però che la lavorazione dell’ennesima costruzione eccentrica di Dubai avviene sfruttando in modo disumano i lavoratori stranieri emigrati negli Emirati. Ma i nuovi schiavi hanno incrociato le braccia.
 
I nuovi schiavi. Da tre giorni infatti è in atto uno sciopero senza precedenti degli operai, circa 2500, che lavorano al progetto. Chiedono salari più congrui e condizioni di lavoro più umane, ma è comunque troppo per i ricchi sceicchi dell’emirato di Dubai, che hanno reagito mandando la polizia a caricare i dimostranti. In realtà il principale azionista del consorzio che sta costruendo il Burj Dubai è la sudcoreana Samsug, ma la classe dirigente degli Emirati non tollera che l’attrazione irresistibile esercitata da questo paese da anni sugli investitori stranieri possa venire inficiata da questo sciopero, che rovina l’immagine del nuovo paradiso fiscale del mondo. Da anni negli Emirati si lavora per rendere il paese un eldorado per i capitali stranieri che qui trovano le migliori condizioni d’investimento e un costo del lavoro tra i più bassi del mondo. E’ il caso di tutti i cosiddetti ‘elefanti bianchi’, una serie di costruzioni eccentriche che hanno ridisegnato il profilo degli Emirati e che hanno contribuito a far conoscere il paese nel mondo. Solo che tutto il gioco si basa sullo sfruttamento inumano dei lavoratori immigrati, in prevalenza dall’Estremo Oriente. Aziende edili locali forniscono, a costi irrisori, la manodopera alle aziende investitrici straniere. Così la Samsug si è rivolta, per la costruzione del Burj Dubai, all’impresa degli Emirati al-Naboodah. Quest’ultima ha ottenuto l’appalto grazie al basso costo della manodopera.
 
operai stranieri in un cantiere di dubaiLa rabbia degli sfruttati. Il prezzo si spiega con la totale mancanza di sicurezza sul lavoro, con le paghe da fame agli operai, che vivono in veri e propri accampamenti alle porte di Dubai, in baracche senza luce e senza acqua, stipati come sardine. Gli operai hanno incrociato le braccia per chiedere un salario adeguato e per chiedere condizioni igienico-sanitarie minime. Il salario giornaliero per un operaio specializzato negli Emirati Arabi Uniti è di circa 6 euro,  per un operaio senza qualifica scende a meno di 4 euro. E si parla di giornate lavorative di 12/14 ore. La rabbia degli operai immigrati ha causato un violento scontro, durato due giorni, con la polizia locale che, secondo fonti della stampa di Dubai, avrebbe causato danni per un milione di dollari. Dopo le manganellate, che non hanno convinto i lavoratori a riprendere il lavoro, gli ispettori del ministero del Lavoro degli Emirati hanno fatto sapere che sono in corso colloqui per sanare la controversia tra gli operai e i manager della al-Naboodah. Ma, per la prima volta, gli artefici del boom edilizio degli Emirati Arabi Uniti hanno dovuto confrontarsi con la disperazione delle migliaia di lavoratori provenienti dall’Estremo Oriente. Gli immigrati che lavorano in condizioni disumane rappresentano ormai la metà della popolazione residente nel paese e, se questa volta hanno sfasciato solo uffici e macchinari, in futuro potrebbero minacciare lo sviluppo forsennato degli Emirati. Non a caso, anche questo per la prima volta, è apparso da qualche tempo in internet un sito che funziona da megafono delle lamentele degli operai stranieri sfruttati. Non si può certo parlare di sindacato, ma qualcosa nella consapevolezza degli sfruttati si muove e non sempre le richieste dei nuovi schiavi possono venire soffocate dai manganelli.