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Paganesimo e Cristianesimo

di S. Givone - 25/09/2009

Fonte: paganitas

 

Paganesimo e cristianesimo: definiamo questa loro contrapposizione, questo stare l'uno di fronte all'altro a partire da quei caratteri che appunto giustificano l'opposizione stessa.  Cominciamo, allora, con il dire che il paganesimo è una religione, anzi una religiosità, un atteggiamento religioso, fondato su quella - se vogliamo usare l' espressione di Nietzsche - che potremmo chiamare la fedeltà alla terra, al finito. È una forma di religiosità il cui paradigma resta quello naturale, è una religiosità che ci parla di nascita e di morte, che ci parla di un grande ciclo, che ci parla di una realtà vivente, che incarna le forze della natura. Insomma, la natura è davvero lo sfondo su cui si stagliano questi grandi racconti, che sono i racconti mitologici. In questo senso si può parlare di fedeltà alla terra.

Più esattamente ancora sarebbe il caso di parlare di fedeltà alla natura, ma a una natura animata, perché questo è anzitutto il paganesimo. A quest'idea risponde il paganesimo: che la natura è viva, che la natura ha una sua dinamica, una sua anima, una sua realtà che deve essere rispettata e che soprattutto ci parla. Ci parla per enigmi, ci parla lanciandoci dei messaggi, ci parla dicendoci qualche cosa che noi dobbiamo ascoltare e interpretare. Rispetto della natura: non soltanto rispetto della natura, ma anche consapevolezza che la natura è inoltrepassabile, è come un orizzonte, è uno sfondo sul quale si stagliano i racconti nei quali decifriamo i segni che ci parlano delle nostre realtà più profonde. Per l'appunto la natura deve essere rispettata e ascoltata perchà è viva, anzi è la vita, è la nostra vita, è l'origine stessa della vita. E, in quanto vita, tutte le sue espressioni sono a loro volta animate. Le divinità non sono altro che forme della natura stessa, espressioni di questa forza vitale che ha il suo luogo nella natura. Dunque fedeltà alla terra, rispetto e ascolto della natura, natura come limite ultimo, religione, che, appunto ci lega in questo senso ultimo di finitezza.

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La natura è opera di Dio. Esce dalle mani di Dio e Dio la giudica come un suo prodotto, e la giudica come un suo prodotto buono. "Valde bonum", "fortemente buono" è ciò che esce dalle mani, dalle mani di Dio. Ma, per l'appunto, esce dalle mani di Dio, è qualche cosa cui Dio dà una sorta di avviamento, lasciando poi che faccia il suo corso, ritirandosi presso di sé.

Questa idea di Dio che si ritira che, volendo lasciar essere la natura, deve, in qualche modo, ritirirarsi e ritrarsi è un'idea ebraica, ma poi raccolta anche dalla tradizione cristiana. Dio è creatore della natura, ma proprio in quanto creatore, la natura ha una sua libertà, una sua indipendenza nei confronti di Dio stesso, che si inabissa nella sua trascendenza assoluta rispetto alla natura stessa. Proprio qui incontriamo un principio che giustificherà nell'ambito della tradizione cristiana, quello che è il riconoscimento della possibilità di superare i limiti della natura. La natura non è un qualcosa di ultimo, la natura non è l'orizzonte entro cui l'esperienza è possibile e al di là del quale in fondo non c'é nulla, non c'é nulla perché Dio se è qualcosa, la divinità se è qualcosa non è se non a misura che è incarnata nella natura. La natura, abbiamo visto, per il cristiano è la scena della sua vita, è il campo in cui si gioca la sua vita. Ma il principio decisivo della sua stessa vita è altrove, rimanda a quell'altrove che è Dio, che è Dio stesso. Il principio, come avrebbe detto Kierlegaard, di libertà. Mentre il pagano nella natura vede come un orizzonte inoltrepassabile della sua esperienza, il cristiano è originariamente chiamato a oltrepassare questo stesso orizzonte in nome di quella libertà il cui fondamento è il ritrarsi di Dio, il fatto che Dio per creare la natura si è ritratto presso di sé e ha lasciato essere la natura nella sua libertà. Da questo punto di vista non possiamo parlare propriamente di fedeltà alla terra, di fedeltà alla natura da parte del cristiano. Il cristiano è fedele a qualcosa d'altro e di diverso, è fedele non tanto alla natura e alla terra, ma a qualcosa di altro rispetto alla natura e alla terra.

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A che cosa? Allo spirito. Naturalmente qui il discorso si fa particolarmente complesso e vasto, ma quando diciamo che il cristiano non è fedele alla terra, ma fedele allo spirito, diciamo che il cristiano, a differenza del pagano, è un uomo libero, cioè un uomo che è responsabile delle sue azioni. Non che il pagano non lo sia, ma lo è in modo diverso. C'é una identificazione per il pagano con la realtà naturale dentro la quale lui si trova a vivere, c'é una sorta di immediatezza. L' "eros", per esempio, qualcuno ha detto è un fatto tipicamente cristiano. Mi sembrerebbe strano, perché il cristianesimo se mai censura l'esperienza erotica, censura un'esperienza che invece il pagano viveva come assolutamente naturale. Ma appunto, proprio perché il pagano viveva questa esperienza come assolutamente naturale, non faceva problema per lui. Al cristiano invece, rinviando come principio ultimo della sua esperienza ad una alterità, ad un altro rispetto alla natura, gli elementi propriamente naturali, tra cui l' "eros", fanno problema. Si dice che il cristiano ha posto l' "eros" escludendolo. Meccanismo dialettico ben noto, ma che consiste precisamente nel rinvio a un principio spirituale di ordine superiore. Cos'é questo principio spirituale di ordine superiore incarnato da Dio? È la libertà, cioè la responsabilità per tutte le proprie azioni. Il cristiano non si può riparare dentro la sua appartenenza alla natura. La natura non è più la salvaguardia del cristiano, la giustificazione del cristiano, perché la giustificazione è al di là. Dunque non la fedeltà alla terra, ma la fedeltà allo spirito.

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Il cristianesimo ci fa uscire da un mondo mitologico, come era quello tipicamente pagano, per entrare in un mondo invece storico, un mondo di realtà non più puramente fantasticate, immaginate, ma di realtà che vogliono essere veramente tali, realtà storiche. E perché questo? Perché la natura animata, la natura che si esprime nella forma di divinità che non sono altro che forze della natura, che anzi non sono nient'altro che la natura nelle sue infinite manifestazioni, ecco questo mondo non può avere altro veicolo, altro modo di esprimersi che il mito. Perché che cos'é il mito se non la natura vivente nel suo divenire, nelle sue infinite metamorfosi ? Che cosa sono i racconti mitici, questi racconti mitici che germinano, che vengono fuori come da un fondo inesauribile, appunto il fondo della natura. Cosa sono questi racconti mitici se non la natura stessa nel suo esibirsi, nel suo mostrarsi, nel suo parlare all'uomo che vive in simbiosi con essa.

Il mondo mitologico è questo, ma se il mondo mitologico è questo, il cristianesimo esce dal mito, esce dal mito e prende le distanze dalla natura, non vive più in simbiosi con la natura, la natura non gli parla più come se fosse quella realtà vivente di cui l'uomo partecipa e in cui l'uomo si identifica. La natura è piuttosto la scena della sua vita, il campo d'azione, è ciò che gli offre gli strumenti per costruire, per l'appunto, un mondo non più mitico, ma storico. Costruire. Tutto ciò che il cristianesimo ha prodotto successivamente, lo si comprende solo a partire da questa considerazione. È anche vero che potremmo anche ribaltare questo discorso e riconoscere che l'opposizione presuppone degli intrecci, un'oscura solidarietà tra cristianesimo e paganesimo. Perché, se è vero che il paganesimo è la religione della terra, della natura, del mito mentre il cristianesimo è la religione dello spirito, della trascendenza di Dio e quindi di una speranza radicalmente storica, è anche vero che ci sono nel cristianesimo molti elementi pagani e ci sono nel paganesimo delle anticipazioni di elementi, che poi il cristianesimo avrebbe adottato, sviluppato e fatti suoi.

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Il cristianesimo poi, o meglio, la tradizione cristiana ha utilizzato le categorie elaborate in ambito pagano, le categorie filosofiche elaborate in ambito pagano. Questo vale non soltanto per la tradizione più tarda, quella scolastica per esempio, ma ci si potrebbe chiedere se il credo di Nicea, questo atto fondatore della dogmatica cristiana, sarebbe davvero pensabile se mettessimo tra parentesi quelle categorie pagane che sono state utilizzate dai Padri della Chiesa e poi non soltanto dai Padri della Chiesa, ma anche dai dottori della Chiesa. Ma al di là dei Padri e dei dottori, c'é l'immensa realtà della mistica. Ebbene all'interno della mistica cristiana, incontriamo delle esperienze le cui radici certo sono pre-cristiane, vanno al di là del cristianesimo stesso. Da questo punto di vista ciò che ci colpisce è una oscura, profonda solidarietà tra due prospettive sul mondo che, come abbiamo visto, sono di fatto antagonistiche e fondamentalmente diverse. Ma allora, di nuovo, riportiamo il discorso al problema filosofico che incontriamo qui. Il problema filosofico è anzi tutto quello di una definizione di ciò che è proprio del paganesimo e di ciò che è proprio del cristianesimo, tanto che a più riprese si assite a tentativi, proprio a tentativi svolti filosoficamente di riprendere, di riattivare, di rimettere, di riattualizzare, di rimettere in circolo visioni, immagini del mondo di tipo pagano o tentativi di ritrovare l'autentico cristianesimo al di là di queste commistioni.

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Sarebbe cavarsela a buon mercato dire che, per l'appunto, si tratta di due visioni del mondo contrapposte, ma anche di due visioni che storicamente si sono poi intrecciate. Anche qui io credo valga la pena forzare il discorso in senso filosofico e chiedersi che cosa hanno propriamente pensato i pagani, i filosofi pagani, quei filosofi pagani di cui si parlava, quando hanno parlato di "distacco" dal corpo e che cosa precisamente pensavano i cristiani quando hanno parlato di redenzione e di resurrezione, di redenzione della corporeità, di resurrezione del corpo e hanno parlato di salvezza globale della persona umana. Ecco io credo che qui abbiamo a che fare con un tentativo di definire qualche cosa che continuava naturalmente a sfuggire agli uni e agli altri, qualcosa di difficile da definire, ma qualche cosa che io definirei in termini di libertà. Quando i cristiani rinviano a un Dio trascendente, trovano la giustificazione dei loro atti, non nel fatto di appartenere a un mondo naturale, ma nel fatto di essere responsabili, sulla base di un principio superiore. Fanno valere un'istanza di libertà, la quale, proprio perché è libertà, pensata non solo asceticamente, presupponeva ed esigeva la redenzione tutta intera dell'individuo e quindi la resurrezione del corpo. Viceversa i filosofi pagani, che pensavano la libertà come distacco dalla natura, dovevano dare a questo un contorno, una coloritura essenzialmente e specificamente ascetica. Ascetica in che senso? Nel senso di "liberazione da". La libertà non come, dunque, l'atto costitutivo, che mi costituisce in quanto persona, in quanto responsabile di fronte al tribunale, a quell'istanza superiore che è Dio stesso, responsabile di fronte a Dio dei reati, ma, semplicemente, se possiamo dire così, come colui che deve perseguire, ricercare la felicità nel mondo. Essere il meno possibile soggetto a tutto ciò che costituisce un elemento di disturbo, essere il meno possibile soggetto a tutto ciò che può umiliare, che può circoscrivere il raggio d'azione dell'uomo e che può appunto soffocare questo raggio d'azione.

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Ma non solo: il cristianesimo è l'ultima delle religioni, ma anche la religione, che non è più religione, nella misura in cui il cristianesimo opera il passaggio dal mondo mitico al mondo storico. Lasciamo stare adesso che ciò avvenga sulla base del mito fondatore. Abbiamo detto: cristianesimo é, a suo modo, un mito, è un annuncio, è un annuncio che non ha altra realtà se non la realtà della parola. Ma il mito cristiano distrugge se stesso in quanto mito, apre nella direzione di una salvezza storica, che vuole essere storica. La salvezza di cui parla il cristianesimo non è la salvezza operata per via simbolica, metaforica o altro che sia, è la salvezza di questa mia vita, di questa realtà, è per l'appunto la salvezza di noi così come siamo nella realtà storica. Ora si potrà chiedere: questa salvezza viene nella storia o al di là della storia? Certamente il cristianesimo dice: al di là della storia. Ci sono forme del cristianesimo che cercano di collocare al di qua della fine della storia, quindi nella storia stessa la salvezza. E si parla di un cristianesimo mondanizzato o secolarizzato. Ma quello che è certo è che la secolarizzazione, - se secolarizzazione è questo passaggio da un mondo mitico a un mondo storico - la secolarizzazione è figlia del cristianesimo. E giustamente è stato detto che le grandi istanze salvifiche del mondo moderno, quelle che passano attraverso prospettive non cristiane - la rivoluzione oppure la rivoluzione politica o anche la rivoluzione industriale, la tecnica come strumento di redenzione del mondo, eccetera - , tutto ciò che ci allontana per altro verso dal mondo religioso di provenienza, ci allontana anche dal cristianesimo, tutto ciò è impensabile se non a partire dal cristianesimo, proprio perché è stato il cristianesimo a farci pensare la salvezza in termini storici e non mitici, non mitologici.