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Dobbiamo oltrepassare la desolante banalità dell'uomo-massa stupidamente compiaciuto

di Francesco Lamendola - 27/09/2009


Il tratto antropologico distintivo della società di massa, nella sua fase avanzata, è la banalità: una banalità onnipervasiva, diffusa a tutti i livelli, e, quel che è peggio, apparentemente inconsapevole, anzi, persuasa della propria originalità e creatività.
Le mode servono appunto a questo: a far sentire originale e creativo l'uomo-massa, nel momento del suo supremo conformismo e della sua suprema omologazione. Come bene ha osservato un filosofo che aveva saputo antivedere tali fenomeni, Sören Kierkegaard, la moda sarebbe capace di far mettere l'anello al naso alla donna-massa della società moderna, con la massima facilità e con la massima naturalezza, convincendola, nello stesso tempo, di essere irresistibilmente affascinante e seduttiva (cfr. il nostro precedente articolo, «La donna, schiava della moda fino a lasciarsi mettere l'anello al naso?»; ma cfr. anche F. Lamendola, «Ma una certa idea della donna resterà sempre come un sogno di pace e di bellezza», anch'esso a commento di un brano di Kierkegaard).
Certo, non tutti gli uomini e le donne della società odierna sono così; ma un numero sempre più grande di essi lo sta diventando. La mutazione antropologica è rapida e avviene sotto i nostri occhi: per la strada, nelle scuole, nei locali pubblici, in televisione; e, quel che è più allarmante, nelle famiglie.
Ovunque assistiamo allo stesso, malinconico spettacolo: la banalità che avanza incontrastata, compiaciuta, stupidamente soddisfatta di sé. immaginandosi di essere qualcosa di diverso da ciò che è: un rivestimento più o meno felice, ma sempre standardizzato, per camuffare il più desolante vuoto spirituale che si possa immaginare.
Altro che progresso, questo è un regresso continuo e vistosissimo: un regresso dell'intelligenza, del buon gusto, del puro e semplice buon senso.
Uomini e donne, non avendo più alcuna spiritualità, esibiscono l'unica cosa che sono in grado di mostrare con fierezza, e lo fanno senza pudore e senza senso della misura: il proprio corpo, la propria mancanza di pudore e di riservatezza. Lo fanno tutti alla stessa maniera, secondo riti perfettamente uniformi e prestabiliti; e, facendolo, si credono, chissà come, creativi e originali, quindi coltivano la pretesa di essere interessanti.
Sono vistosi, chiassosi, sfrontati: ma non raggiungono affatto il loro scopo, perché si muovono in mezzo a un esercito di piccoli Narcisi che pensano, sentono e si comportano esattamente come loro, rispettando un copione inderogabile. È dura sperare di emergere, in simili condizioni: come sarebbe vana la pretesa di un automobilista di farsi strada strombazzando il clacson, in una città ove tutti suonassero il clacson all'impazzata. Tutti rumorosi, nessuno in grado di farsi notare; semmai, potrebbe darsi che si faccia notare un individuo che abbia deciso di non fare come gli altri, di non essere inutilmente rumoroso.
Ecco qui una ragazza che se ne va per la via con fare provocante, pantaloni a vita bassissima e ombelico sparato in faccia al prossimo: se fosse l'unica, certo riuscirebbe a farsi notare (non necessariamente per le sue doti di buon gusto, la seduzione è un'altra cosa); ma qui, in mezzo a dieci, cento, mille ragazze acconciate come lei, molte delle quali più giovani e carine - c'è sempre, a questo mondo, qualcuna più giovane e carina - non può che passare totalmente inosservata. Anzi, peggio (dal suo punto di vista): non può che risultare monotona, ripetitiva, perfino stancante, come un profumo dozzinale e troppo forte, che fa venire il mal di testa…
Un altro aspetto della banalità dell'uomo-massa (e della donna-massa) è l'assoluta incapacità a trattenersi dal seguire la strada più facile e ovvia, quella che sembra promettere i maggiori risultati con il minino sforzo.
Ecco qui una donna non più giovane, ma ancora piacente: ha il fisico snello e leggero di un'adolescente. Il fatto è che si veste, anche, come un'adolescente: in tutto e per tutto, come una liceale; ma ha quasi sessant'anni. Su quel terreno, almeno vista da vicino, non potrà che risultare perdente nel confronto con le quindicenni, con le quali vorrebbe competere. Il suo è un comportamento terribilmente banale; banale senza rimedio.
Ha anche delle belle gambe, gambe da giovinetta: ragion per cui indossa volentieri minigonne vertiginose e, sedendosi, accavalla le gambe, specie se vi sono occhi maschili nei paraggi, per esibire a dovere la propria merce. Se si ha qualche cosa da mostrare, perché non metterla in piazza?, ella pensa. Comportamento banale, irrimediabilmente banale.
Infine, è piuttosto bassa di statura: a ciò reagisce calzando abitualmente delle scarpe con i tacchi altissimi, sicché pare che se ne vada in giro sui trampoli: come se non si vedesse che l'altezza in tal modo guadagnata è solo un espediente. Comportamento banale, banalissimo: è come se quella donna dichiarasse apertamente la propria sfiducia in se stessa, nel fatto di poter essere affascinante  su un terreno che non abbia nulla a che fare con i centimetri.
E poi, cosa vogliono dire i capelli tinti di quel colore biondo chiarissimo, che da noi non esiste in natura? È forse per nascondere qualche ciocca grigia? Ma, se proprio non si ha il coraggio di mostrarsi come si è veramente, non si potrebbe, almeno, scegliere una tinta un po' meno artificiale, un po' meno vistosamente improbabile? È come richiamare l'attenzione sul proprio artificio: guardate, i miei capelli non possono certamente essere così - io ho sessant'anni -, ne ho parecchi di bianchi: sono una nonna, non una bomba sexy di telefilm americani come «Baywatch».
Il fatto è che non c'è assolutamente niente di male ad essere delle nonne. Non c'è niente di male ad avere le rughe, qualche ciocca bianca e, magari, qualche chilo di troppo; non c'è niente di male ad essere basse di statura. Per chi si sa accettare, gli interventi estetici per ritoccare la propria immagine si riducono a poca cosa; per chi non ha alcuna fiducia in se stesso, divengono così massicci e vistosi, da ottenere il contrario dell'effetto desiderato.
Inoltre, adottando strategie come quelle sopra descritte, donne del genere possono stare ben certe che finiranno per attrarre l'attenzione solo e unicamente di uomini vuoti, infantili, immaturi: uomini che guardano solo i centimetri, le curve e così via. Non troveranno mai uomini capaci di guardare la loro anima, la loro bellezza interiore; di apprezzare il loro spirito, la loro intelligenza, la loro bontà, la loro cultura, il loro buon gusto. E poi, magari, se ne andranno in giro, dicendo che tutti gli uomini sono sporcaccioni, tutti gli uomini sono inaffidabili; invece tutti no, ma quelli che il loro modo di fare attira, certamente sì…
Non ce l'abbiamo con le donne; anzi, per la «par condicio», ci affrettiamo a spendere qualche parola (poche, per carità di patria) sulla banalità al maschile.
Scriveva incidentalmente Francesco De Sanctis, un secolo e mezzo fa, che si vedono per la strada degli individui abietti (adoperava proprio questo termine: «abietti»), i quali se ne vanno in giro a petto in fuori, esibendo la loro forza fisica, per essere ammirati e invidiati, forse temuti, come se in ciò vi fosse qualcosa di cui vantarsi. Che cosa penserebbe oggi, se potesse gironzolare per le nostre strade, osservando lo spettacolo di tutti questi uomini che si credono virili, solo perché esibiscono muscoli (ottenuti forse con steroidi e anabolizzanti) e abbronzatura fuori stagione (ottenuta con le lampade), e non sanno che la virilità è tutta un'altra cosa; anzi, diciamolo pure, che si esibiscono come fanno le donnette vanitose e un po' oche?
Imparare ad accettare se stessi, è il primo passo per uscire dal circolo vizioso della banalità che chiama altra banalità; dell'insulsaggine, che chiama altra insulsaggine; del cattivo gusto, che chiama - ancora e sempre - cattivo gusto.
Quanto cattivo gusto, quanto poco buon senso vu devono essere, in quegli individui d'ambo i sessi i quali, pur di seguire la moda, non si rendono conto di accentuare gli aspetti meno estetici del loro corpo, indossando abiti e scarpe assolutamente inadatti alla loro conformazione fisica!
Ci siano limitati a parlare dell'aspetto più vistoso della banalità, quello che si manifesta immediatamente attraverso il modo di vestire, di truccarsi, di gestire la propria corporeità a livello sociale (beninteso, quei tali negherebbero che si tratti di un fatto sociale, ossia di una loro ben precisa strategia, e direbbero, immancabilmente, che si vestono e si muovono così «perché gli va», o «perché ciò li fa star bene»: strana coincidenza, lo fanno simultaneamente a qualche altro milione di persone, e nello stesso identico modo).
Parlare della banalità dei pensieri, dei sentimenti, dei comportamenti più complessi che si esplicano nelle relazioni umane, significherebbe avventurarsi su di un terreno ancor più deprimente: preferiamo risparmiarcelo. Del resto, sono cose che si vedono tutti i santi giorni, in tutti i luoghi e a tutti i livelli: basta avere occhi per vedere e orecchi per udire.
Quello che maggiormente ci interessa, è indicare una via di uscita per venire fuori dalla palude della banalità, di ciò che è scontato, ripetitivo, scioccamente superficiale, nonché sincronizzato con ciò che fanno innumerevoli altri uomini-massa e donne-massa, nello stesso modo.
Abbiamo detto che il primo passo è quello di accettarsi, dunque di imparare a volersi bene, così come si è, indipendentemente dalla (supposta) approvazione o disapprovazione altrui.
Ma non è un passo da poco. Presuppone, anzi, un lungo e impervio cammino solitario: è il punto di arrivo di chi ha già fatto molta strada, e può permettersi il lusso di riposare un poco, prima di rimettersi in marcia. Chi ha imparato ad accettarsi, ha anche imparato a volersi bene: e, per potersi voler bene senza narcisismo e senza troppe indulgenze, bisogna aver prima imparato a perdonarsi, nonostante i propri sbagli e le proprie debolezze.
Ma, di nuovo: per giungere a tanto, bisogna prima avere il coraggio di guardarsi dentro con onestà e con lucidità, senza sconti e furberie da quattro soldi: e saper riconoscere i propri sbagli e le proprie debolezze. L'uomo massa, invece, cosa fa? Nega di avere commesso sbagli, nega di avere in sé delle debolezze: vorrebbe far credere agli altri, e perfino a se stesso, di ritenersi già perfetto, pronto solo per esibirsi in vetrina agli sguardi di tutti.
E allora diciamolo forte: è da persone forti saper riconoscere le proprie debolezze e i propri errori; ed è da persone deboli negare di averne, e riversare sugli altri tutte le colpe per le cose che non vanno nella nostra vita. Ecco l'autentica virilità: che si accompagna, sempre, alla capacità di assumersi le proprie responsabilità, di farsi carico delle conseguenze delle proprie azioni.
L'uomo massa non possiede questa forza: non è virile; non sa assumersi alcuna responsabilità, e nega ferocemente che le sue azioni implichino delle conseguenze sugli altri, che potrebbero anche non risultare piacevoli. All'uomo-massa (e, beninteso, alla donna-massa) basta gratificare se stesso, nella maniera più scontata e banale. Gli basta fare colpo sugli altri, a buon mercato.
È, fondamentalmente, un pigro (o una pigra): il lavoro serio, assiduo, tenace, non fa per lui; vorrebbe ottenere chissà quali risultati, ma con poca spesa, giocando al risparmio. Trova perfettamente naturale che gli altri debbano faticare per ottenere le cose; ma, quanto a se stesso, adotta istintivamente tutta un'altra filosofia. È convinto che il suo fascino personale gli permetterà di superare tutti gli ostacoli, di affermarsi e di conquistare quella posizione eminente che ritiene gli spetti di diritto.
In fondo, egli sta bene così com'è; o, se pure lo molesta una interna inquietudine, non è assolutamente disposto a investire energie per individuarne la causa, il che implicherebbe niente di meno che rivoluzionare le proprie idee su se stesso e sul mondo.
Bisogna lasciarlo al suo destino: vuole restare nel fango; chi tentasse di convincerlo che non si tratta di una bella posizione, dovrebbe poi vedersela con la sua ira.
Più che altro, egli costituisce un esempio negativo da evitare: chiunque voglia diventare un essere umano adulto, un vero uomo e una vera donna, deve osservarlo bene, al solo scopo di capire come non ci si dovrebbe porre di fronte alla realtà…
L'uomo-massa e la donna-massa, per il solo fatto della loro esistenza, costituiscono un fortissimo elemento a favore della metempsicosi. Di quante vite avranno bisogno individui simili, per cominciare a comprendere che il fango della palude non è la collocazione ideale per la vita dell'anima?
«Non ti curar di lor - dice Dante - ma guarda e passa»…
Verrà anche per loro il tempo di capire, prima o dopo: impareranno a proprie spese, ma solo quando sarà arrivato il momento.
Per adesso, non c'è niente che si possa fare…