Le ragioni del federalismo
di Sergio Terzaghi - 29/03/2006
Fonte: insorgente.org
A partire dagli anni ottanta, il federalismo ha tenuto banco nelle discussioni culturali: talvolta le ha persino monopolizzate. La storia però ci ha consegnato scenari politici ed economici a quell’epoca davvero inimmaginabili. Ne sono d’esempio il crollo dell’internazionalismo sovietico, la trasformazione della “guerra fredda” in “pace calda”, l’esplosione del terrorismo internazionale, il consolidamento egemonico dell’imperalismo statunitense, l’avvento della globalizzazione nonché le odierne pulsioni dispotiche dell’Unione Europea. Molte sirene hanno gridato al pericolo di nuovi totalitarismi senza mai indicare itinerari percorribili. In antitesi ai recenti fenomeni di rilevanza globale, solo un’esigua minoranza ha proposto l’antidoto federalista. Invero, il federalismo, patto tra popoli coniugante decisione e libertà, è un modello autentico di democrazia decentrata, poiché riconosce a pieno titolo le autonomie locali, ma anche di democrazia diretta poichè non può prescindere dalla partecipazione dei cittadini, veri detentori della sovranità. Gli articoli della riforma costituzionale riguardanti la devoluzione dei poteri dallo stato alle regioni, se confermati dal referendum, potrebbero rappresentare un timido punto di partenza d’un sentiero già tracciato dalla storia. Non è un caso che la maggioranza degli stati europei, persino la Francia giacobina, abbia rimodellato il proprio ordinamento in ossequio alle richieste provenienti dal locale. Alcuni stati si sono addirittura scissi: valga d’esempio quanto accaduto pacificamente tra Slovacchia e Repubblica Ceca. Tutto ciò è il sintomatico del fatto che i moderni Stati–nazione sono diventati troppo grandi per affrontare i piccoli problemi e, al tempo stesso, troppo piccoli per affrontarne di grandi. Una formula interpretativa: più ci si allontana dal locale, più il potere deve diminuire. Per intenderci: Roma – ed ogni altro governo centrale – non dovrebbe più arrogarsi il diritto d’impedire l’insegnamento di storia e cultura locale a Varese, Bologna o Catania, né tanto meno imporre la realizzazione di grandi opere (ad es. l’alta velocità) senza prendere atto delle istanze territoriali. Al contempo, ciascuno stato non dovrebbe nemmeno arrogarsi il diritto di decidere, in modo autonomo, se intervenire “preventivamente” in una guerra lontana migliaia di chilometri dai propri confini. Già Ortega y Gasset, una sessantina d’anni orsono, così profetizzava: “la nazione moderna è sempre in procinto di farsi o disfarsi. O guadagna adesioni, o le sta perdendo, secondo che il suo Stato rappresenti, o no, nell’attualità, un’impresa vitale”. Infatti, oggigiorno, quei popoli, che rivendicano un riconoscimento giuridico e politico poiché hanno una coscienza identitaria, sono ad un bivio. Ciò accade in virtù del fatto che al centralismo dello Stato-nazione si è aggiunto quello continentale, la burocrazia centripeta di Bruxelles, fatta di trattati illeggibili mascherati sotto il nome di costituzione. Nonostante ciò, non va negata né l’esistenza dell’Europa, esempio millenario di cultura e civiltà, perché negheremmo la nostra identità, né, tanto meno, va rifiutata la prospettiva di un’altra Europa, quella dei Popoli. Nietzsche, più d’un secolo fa, ne “La Volontà di Potenza”, sosteneva che “i piccoli Stati (…) diventeranno insostenibili economicamente, viste le esigenze sovrane delle grandi relazioni internazionali e del grande commercio (…). Il denaro da solo obbligherà l’Europa, prima o poi, a coagularsi in un’unica massa”. Quindi, se si è davvero innamorati del Vecchio Continente, occorre interrogarsi sull’Unione europea, simile ad un mercato di nazioni, e riformarla in toto per costruire una nuova civiltà dai confini precisi. Ma, per porre in essere questo progetto che includerà il superamento degli Stati moderni, i popoli delle regioni europee, dopo essersi liberati dalle pressioni anglo-americane, dovranno unirsi in una vera federazione, dove il principio di sussidiarietà non sia solo enunciato, ma sia applicato ad ogni livello. Solo così l’Europa, quale grande spazio continentale di popoli tanto coesi quanto autonomi, potrà tornare ad essere la prima potenza del globo e potrà anche regolare i vigenti contrasti tra Oriente, medio ed estremo, e l’Occidente d’oltreoceano. A tal fine, le istituzioni europee – la Commissione su tutte - andranno riformate nel rispetto delle regole della democrazia diretta.
La storia mette la libertà nelle mani dei popoli d’Europa. E’ tempo che questi, tornando ad essere artefici del loro destino, prestino giuramento in segno di reciproca fedeltà per sciogliere le catene dello Stato-nazione. Se Nietzsche sosteneva che l’Europa si farà sull’orlo della tomba, il declino degli Stati moderni ed la presunzione d’infallibilità dell’Unione europea non possono che essere di buon auspicio.
Traendo spunto da questi presupposti, per intraprendere itinerari inclini alla nostra causa, non serviranno persone che vivano la politica come un lavoro redditizio o che recitino una parte urlando slogan. Il sogno d’una Europa dei Popoli si potrà concretizzare solo grazie all’impegno di quegli uomini che, incarnando le idee in cui credono, saranno in grado di tramutare il pensiero in azione, soprattutto rifiutando compromessi con i nostri nemici.