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Il mondo non finirà nel 2012

di Mario Tozzi - 02/10/2009

  
 
Due terremoti di spaventosa potenza (superiori a magnitudo 7 Richter, come a dire diverse centinaia di bombe paragonabili a quella di Hiroshima che esplodono nel sottosuolo contemporaneamente) in rapida successione bastano a riportarci alla condizione umana su un pianeta che mette in gioco energie e tempi incommensurabilmente più grandi di noi. Ma anche a farci tremare per una fine del mondo che sembra essere ormai prossima. Se però conoscessimo bene la Terra sapremmo che non è così e, anzi, dovremmo ricordare che forse sono proprio le crisi tettoniche ad aver permesso ai nostri antenati di evolversi qualche milione di anni fa nell’Africa orientale.

Grazie ai terremoti il mondo della foresta fu diviso da quello della savana, e, in quel nuovo ambiente, appena scesi dagli alberi, gli ominidi hanno sviluppato la stazione eretta, le strategie di sopravvivenza, in definitiva, il cervello. Insomma siamo figli dei terremoti e della geologia di un pianeta inquieto, nonostante il fatto che negli ultimi mille anni i sismi hanno ucciso otto milioni di persone e tutto lascia intendere che le cose potrebbero andare peggio nel prossimo futuro, su una Terra più popolata proprio nelle regioni a rischio. In tremila anni di storia la Cina ha visto 13 milioni di vittime e ogni anno muoiono, in media, fra le 10 mila e le 15 mila persone a causa dei terremoti, se si considerano anche i maremoti, le carestie e le pestilenze connesse.

Il terremoto è la catastrofe per antonomasia, etimologicamente è lo stravolgimento completo delle esistenze, a partire dalle abitazioni distrutte o, in aggiunta, dalle gigantesche ondate di maremoto, che in certe regioni del mondo, non sembrano mancare mai. E cosa c’è di peggio di quando ci manca la terra sotto i piedi, di quando traballano i punti di riferimento, o di quando le crisi si susseguono come guidate da una mano invisibile che disegna un meccanismo perverso? Ma le catastrofi naturali non esistono, esistono solo le sciagurate conseguenze di comportamenti insensati degli uomini che abitano dove non dovrebbero e costruiscono troppo e male. E il terremoto è un fenomeno assolutamente «normale» e molto frequente sulla Terra, almeno come le tempeste: ogni anno si registrano milioni di scosse e solo una decina superano, in media, la magnitudo 7 Richter, che possiamo idealmente assumere come limite dei terremoti più violenti. Non c’è un tetto superiore della cosiddetta scala Richter: il massimo mai raggiunto è poco superiore a 9, come nel caso di Sumatra (2004) o del Cile (1960), ma in teoria sono possibili terremoti anche molto più energetici.

Non c'è quindi alcuna fine del mondo che si approssima, ma solo la casuale giustapposizione di scosse molto forti in un settore apparentemente piccolo del mondo: il sisma delle isole Samoa è migliaia di chilometri lontano da quello di Sumatra, e c’è un intero continente in mezzo, più un pezzo di oceano. Inoltre sono due strutture geologiche differenti, due scontri diversi di placche geologiche lontane. Eppure questi eventi vengono letti come il medesimo segno di una crisi geologica che non c’è: il pianeta fa semplicemente il suo mestiere e solo per caso due scosse molto forti si susseguono ravvicinate nel tempo e (peraltro un po’ meno) nello spazio.

Ma il terremoto evoca la nostra atavica debolezza, l’incapacità di confrontarsi con la natura quando la riteniamo davvero arrabbiata: in realtà la natura fa il suo corso senza curarsi di noi o di altri viventi e non ci sarà nessuna fine del mondo per congiunzioni astrali di pianeti nel 2012 o per un susseguirsi di terremoti violenti. La tremenda sequenza calabrese della fine del XVIII secolo, i vari big-one della California o del Giappone, gli tsunami del Sud-Est asiatico, le scosse dell’intero «anello di fuoco» del Pacifico sono solo i segni di un pianeta attivo e dinamico che dovremmo semplicemente guardare con rispetto.