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Unità e pluralismo del movimento dell’ecologia profonda

di Paolo Vicentini - 29/03/2006

Fonte: filosofiatv.org

 

 

 

1. Premesse storiche

      

       Quando nel 1972 Arne Naess propose la famosa distinzione fra ecologia profonda ed ecologia superficiale,[1] la contrapposizione che egli cercava di codificare aveva in realtà una già lunga storia, il cui primo e più illustre esempio può essere fatto risalire alla fine dell’Ottocento. Fu a quel tempo, infatti, che ebbe inizio la querelle che coinvolse i naturalisti Gifford Pinchot — primo direttore generale del Servizio Forestale degli Stati Uniti e consulente in materia ambientale di Theodore Roosvelt —, e John Muir — primo presidente della più importante associazione ambientalista degli Stati Uniti, il Sierra Club.

       Secondo Gifford Pinchot, tra i primi importanti sostenitori dell’idea moderna dello sviluppo e della conservazione delle risorse naturali in termini utilitaristici, i beni ambientali andavano amministrati razionalmente con mezzi scientifico-tecnologici al fine di beneficiarne il maggior numero di uomini delle presenti e future generazioni. Con lui la conservazione divenne un perfetto sistema per distribuire le risorse in modo da favorire la crescita economica attraverso una manipolazione dei sistemi naturali su scala sempre più ampia. Contro questa concezione utilitaristica della natura si batté strenuamente John Muir. Per proteggere ampie zone di territorio dagli ingranaggi della macchina economica americana, egli sostenne l’istituzione di foreste e parchi nazionali in nome di una visione radicalmente non-antropocentrica che non considerava la natura come un magazzino di risorse a disposizione dell’uomo.[2]

       Queste due forme di ambientalismo tornarono poi a fronteggiarsi durante gli anni Sessanta. Da una parte fece la sua comparsa, ad opera soprattutto di Barry Commoner e Ralph Nader, un tipo di ambientalismo strettamente orientato verso l’inquinamento urbano e la questione della sopravvivenza umana. Dall’altra figure come quelle di Rachel Carson, Gary Snyder, David Brower, Paul Ehrlich imputarono a questo tipo di ambientalismo strettamente antropocentrico di non riuscire ad assumere una prospettiva ecologica più ampia che, insieme a quello per gli esseri umani, implicasse interesse anche per l’integrità ecologica della Terra e per il benessere delle altre specie viventi.[3]

       Evidenziando la distinzione fra un movimento ambientalista “superficiale” (shallow), tecnocratico e antropocentrico, interessato principalmente all’inquinamento, all’esaurimento delle risorse, alla salute e alla ricchezza delle persone dei paesi sviluppati e totalmente all’interno dell’attuale assetto economico, sociale e tecnologico, ed un movimento ambientalista “profondo” (deep) e di lungo periodo (long-rage), decisamente non-antropocentrico e interessato ad una trasformazione radicale di tutti gli aspetti della vita umana, Naess non fece dunque nulla di più che dare un nome a due schieramenti che già da lungo tempo si stavano opponendo.[4]

       E’ forse anche dovuto a questi motivi se in quell’ormai storico articolo Naess non rivolse molta attenzione alla definizione dell’ecologia superficiale, affermando solamente che essa “combatte contro l’inquinamento e lo spreco delle risorse. Obiettivo primario: la salute e il benessere della popolazione nei paesi sviluppati”. Dedicò invece il rimanente spazio a disposizione alla delineazione dei sette principi fondamentali del movimento dell’ecologia profonda, di cui diamo qui un breve sunto:

 

1.    Immagine del campo totale relazionale. Gli organismi sono come nodi in una rete di relazioni intrinseche. Una relazione intrinseca fra due oggetti è tale quando la relazione stessa rientra nella loro costituzione fondamentale, cosicché senza di essa non sono più la stessa cosa.

2.    Egualitarismo biosferico (in via di principio). Tutti gli esseri hanno un eguale diritto a vivere e realizzare i propri fini. “La clausola ‘in via di principio’ è necessaria perché qualsiasi prassi realistica richiede qualche forma di uccisione, sfruttamento e soppressione”.

3.    Principi di diversità e di simbiosi. La diversità accresce le potenzialità di sopravvivenza, le possibilità di nuovi modi di vita, la ricchezza delle forme.

4.    Posizione anticlassista. Le diversità dei modi di vita dovute allo sfruttamento e all’oppressione da parte di certi gruppi sociali, o di certe nazioni, su altri va eliminata, poiché limita le potenzialità di autorealizzazione. Il principio di diversità non riguarda le differenze provocate dal divieto o dalla forzata  restrizione di certe attitudini o certi comportamenti.

5.    Lotta contro l’inquinamento e lo spreco delle risorse. Tale lotta, in comune con l’ecologia superficiale, deve essere condotta tenendo al contempo presenti tutti gli altri sei principi.

6.    Complessità, non complicazione. La complessità (complexity) è una molteplicità di fattori interagenti che opera insieme per formare un’unità, un sistema. Essa è tipica degli organismi, degli ecosistemi e della biosfera in generale. Senza alcun principio unificatore la molteplicità è mera complicazione (complication).

7.    Autonomia locale e decentralizzazione. La vulnerabilità di una forma di vita è grosso modo proporzionale alla quantità di influenze esterne e lontane rispetto alla regione in cui essa ha raggiunto il suo equilibrio ecologico. Ciò induce a favorire l’autonomia di governo e l’autosufficienza materiale e mentale, che a sua volta presuppone la decentralizzazione.

 

       A conti fatti bisogna forse dire che questo articolo ha più nuociuto che giovato alla causa dell’ecologia profonda. L’intenzione di Naess era infatti di condensare in questi punti una base filosofica e programmatica minima comune ai vari ecologisti impegnati sul fronte dell’ambientalismo non-antropocentrico, che lasciasse però spazio ai differenti sistemi filosofici o religiosi di appartenenza. Ben presto, in seguito anche alle critiche mossegli dall’ecofilosofo australiano Richard Sylvan,[5] egli comprese di non esser riuscito a formulare una prospettiva sufficientemente generale, poiché quei sette punti erano ancora troppo intrisi della sua personale visione del mondo, o, per usare le sue stesse parole, “sapevano troppo della particolare metafisica di un Naess più giovane”.[6]

 

 

2. La piattaforma dell’ecologia profonda

 

       Bisognerà attendere più di dieci anni, ossia l’aprile del 1984, perché Naess, insieme a George Sessions, formuli, questa volta in otto punti, una nuova e ben diversa versione dei principi fondamentali dell’ecologia profonda, denominata: “Proposta di una piattaforma dell’ecologia profonda” ma che Naess avrebbe preferito definire: “Una serie di enunciazioni sufficientemente generali che sembrano essere accettate da quasi tutti i sostenitori del movimento dell’ecologia profonda”.

       Poiché la piattaforma ha subito nel corso degli anni numerose modifiche e adattamenti, riportiamo quella che crediamo essere, almeno in ordine cronologico, l’ultima versione:

 

1.    Il fiorire della vita umana e non umana ha un valore intrinseco. Il valore delle forme di vita non umana è indipendente dall’utilità che queste possono avere per gli scopi umani.

2.    La ricchezza e la diversità delle forme di vita sulla Terra, che comprende le culture umane, ha valore intrinseco.

3.    Gli esseri umani non hanno il diritto di ridurre questa ricchezza e questa diversità, se non per soddisfare bisogni vitali.

4.    Il fiorire della vita umana e delle diverse culture è compatibile con una sostanziale diminuzione della popolazione umana.

5.    L’attuale interferenza umana nel mondo non umano è eccessiva, e la situazione sta peggiorando.

6.    I punti precedenti indicano che sono necessari dei cambiamenti nel modo prevalente in cui fino ad ora gli uomini si sono comportati nei confronti della Terra nella suo insieme. Le trasformazioni dovranno riguardare principalmente le strutture politiche, sociali, tecnologiche, economiche ed ideologiche.

7.    Il cambiamento ideologico nei paesi ricchi dovrà consistere soprattutto nell’accresciuta capacità di apprezzare la qualità della vita piuttosto che un alto tenore materiale di vita, creando in questo modo i presupposti per una condizione mondiale di sviluppo ecologicamente sostenibile.

8.    Coloro che sottoscrivono i punti precedenti si impegnano, direttamente o indirettamente, a cercare di realizzare le trasformazioni necessarie attraverso mezzi nonviolenti.[7]

 

       Alla piattaforma fa seguito un commento esplicativo ai vari punti, il quale ha anch’esso subito delle revisioni nel corso del tempo, in parte rispecchianti quelle apportate alla piattaforma. Nell’ultima sua versione esso, fra le altre cose, precisa che:

·      Per “vita umana e non umana sulla Terra” s’intende l’insieme dell’ecosfera e non solo la biosfera, poiché il rispetto per le forme di vita non deve essere limitato in senso strettamente biologico. Il termine “vita” è usato qui in un’accezione non tecnica e comprende anche ciò che i biologi classificano come “non vivente”: i fiumi, le montagne, gli ecosistemi, le culture, ecc.

·      Ogni forma di vita, anche la più semplice, ha valore in se stessa e non solo come passaggio verso altre forme di vita cosiddette superiori o razionali.

·      All’espressione “bisogni vitali” non è data una definizione precisa, per consentirne una interpretazione adatta al luogo e alla cultura.

·      La “diminuzione della popolazione umana”, se mai avverrà, richiederà molto tempo e per il momento bisogna sviluppare strategie di transizione. Ovviamente, se tutta l’attuale popolazione umana mutasse comportamento e assumesse atteggiamenti e modi di vita ecologicamente responsabili la sua riduzione non si renderebbe più necessaria, ma tale possibilità è troppo remota per essere presa in considerazione.

 

       Le modifiche apportate da Naess alla piattaforma ed al suo commento si debbono al tentativo di dare una forma quanto più possibile generale ed accettabile a livello astratto ad alcuni principi, alcuni punti di vista, comuni alla maggioranza dei sostenitori del movimento dell’ecologia profonda. E’ per tale motivo che per la sua stesura è stato scelto un linguaggio non tecnico, adatto anche a chi non sia un filosofo o uno scienziato di professione. Ed è sempre per tale motivo che in seguito sono stati tolti alcuni riferimenti, presenti nella prima versione, relativi al valore intrinseco ed al valore inerente quali sinonimi di valore in sé “indipendente da ogni interesse o valore dato all’oggetto da parte di un qualunque essere consapevole”; oppure relativi al fatto che i punti 1 e 2 escluderebbero l’idea di un valore intrinseco maggiore o minore di alcune forme viventi rispetto ad altre.

       Naess però non ha la presunzione di aver offerto una codificazione dei principi comuni agli ecologisti profondi esauriente, definitiva o anche solo propria di tutti i membri del movimento. Egli anzi ritiene auspicabile che siano formulate versioni alternative della piattaforma, poiché “è innaturale che solo un tipo di formulazione possa essere adeguato”.[8] Naess stesso suggerisce la necessità di un’analoga piattaforma che esprima una prospettiva simile a questa ma con un linguaggio adatto agli ecologisti profondi delle parti non industrializzate del mondo, visto che, ad esempio, in quella presente la validità del punto 7 è limitata ai soli paesi ricchi.[9]

 

 

 

 

 

3. La definizione di movimento dell’ecologia profonda

 

       Sbaglierebbe, quindi, chi volesse vedere nella piattaforma una definizione del movimento dell’ecologia profonda, poiché essa non lo è né dal punto di vista pratico né da quello teorico.[10] La comprensione di cosa realmente intenda Naess per “movimento dell’ecologia profonda”  (deep ecology movement) va dunque cercata altrove, cominciando col chiedersi il preciso significato dei tre termini che ne compongono il nome.

       L’ecologia profonda è infatti innanzitutto un movimento di carattere sociale.

 

L’“ecologia profonda” non è una filosofia in senso propriamente accademico, né è istituzionalizzata come una religione o un’ideologia. Piuttosto, ciò che accade è che nelle campagne e nelle azioni dirette persone differenti si incontrano. Esse formano una cerchia di amici che condividono lo stesso modo di vivere che altri possono chiamare “semplice”, ma che per loro è ricco e vario. Si trovano d’accordo su un’ampia gamma di contenuti politici, anche se sono di partiti politici diversi. Come in tutti i movimenti sociali, gli slogan e la retorica sono indispensabili per l’unità del gruppo. Insieme essi reagiscono alle stesse minacce in modo per lo più non violento. Probabilmente i sostenitori più influenti sono gli artisti e gli autori che non sviluppano le loro idee nei concetti propri dei filosofi di professione, ma li esprimono in opere d’arte o in poesia. Per queste ragioni preferisco il termine “movimento” a “filosofia”.[11]

 

       Ciò ovviamente non significa che l’ecologia profonda non implichi “una presa di posizione di tipo filosofico tutte le volte in cui si presenta il problema essenziale di compiere una scelta”,[12] ma solo che essa non si identifica in un’unica filosofia ed inoltre prevede delle conseguenze pratiche, un’azione di tipo sociale, estranee alla filosofia così come oggi accademicamente intesa.[13]

       L’ecologia profonda è poi sicuramente anche un movimento ecologico, in quanto trae ispirazione dalla scienza dell’ecologia, sebbene abbia dei contenuti normativi non derivabili da essa né da alcun’altra scienza. Al riguardo Naess compie una distinzione molto importante fra ecologia, ecofilosofia ed ecosofia, o ecosaggezza, il suo modo preferito per definire l’ecologia profonda.[14] L’ecologia è quella branca della biologia che studia scientificamente, in modo interdisciplinare, le condizioni di vita di organismi interagenti fra loro e con la realtà circostante, nei suoi elementi sia organici che inorganici, ed il cui approccio e la cui metodologia possono essere riassunti nella massima “tutto dipende da tutto”. L’ecofilosofia è invece lo studio, di tipo descrittivo e non prescrittivo, dei problemi comuni all’ecologia ed alla filosofia, come quello relativo al posto dell’uomo nella natura. Essa cioè, così come la scienza dell’ecologia, non si fa coinvolgere nelle situazioni concrete e non opera una scelta fra differenti priorità di valore. Quando ciò accade, quando cioè l’ecofilosofia si applica a tali questioni ed elabora un codice di valori ed una visione del mondo che orientino le decisioni della persona nell’agire quotidiano essa diviene ecosofia, ossia ecosaggezza. Il suffisso sophia, saggezza, sta proprio ad indicare la sapienza pratica, prescrittiva, che non è più solo descrizione e previsione scientifica, ma ha in sé norme, regole, postulati, priorità di valore e ipotesi sulla condizione del nostro universo. L’ecosofia è dunque “una visione (o sistema) globale di tipo filosofico che trae ispirazione dalle condizioni di vita nell’ecosfera”,[15] “una filosofia dell’armonia o dell’equilibrio ecologici”.[16]

       E’ chiaro allora che l’ecologia, in quanto scienza, da sola non ci può aiutare a risolvere problemi come quelli dell’inquinamento chimico o del dilavamento del suolo nella foresta pluviale, poiché la scienza è in grado di riconoscere un cambiamento, non di valutarlo. Senza tener conto del fatto che spesso non è in grado di fare neppure questo, vista la frequente ammissione di ignoranza degli esperti circa gli effetti a lunga scadenza di un nuovo prodotto chimico; un’ignoranza su cui regolarmente giocano i burocrati pubblici e privati per evitare di intraprendere qualsiasi seria e radicale politica ecologica e che fa sì che la determinazione dei valori dominanti della società resti nelle mani di ristretti gruppi di potere economici e politici orientati verso il profitto e l’aumento indiscriminato del tenore della vita (quantità) a scapito della sua realizzazione (qualità).

       E’ necessario dunque dare “profondità”  (deepness) all’ecologia, passare dalla scienza alla saggezza, dall’ecologia all’ecosofia. L’ecologia deve diventare ecologia profonda.

 

L’essenza dell’ecologia profonda — rispetto alla scienza dell’ecologia e a quello che io chiamo il movimento ecologico superficiale — sta nel porsi domande più profonde [deeper questions]. L’aggettivo “profondo” [deep] sottolinea il fatto che noi ci chiediamo il perché ed il come mentre altri non lo fanno. Per esempio, l’ecologia come scienza non chiede quale sarebbe il tipo di società più adatto alla conservazione di un particolare ecosistema — si ritiene che questa domanda spetti alla teoria normativa, alla politica, all’etica. Fino a quando gli ecologisti si atterranno strettamente alla loro scienza, non si porranno queste domande. Ciò di cui abbiamo bisogno oggi è un’enorme trasformazione del pensiero ecologico in quella che definisco ecosofia. Sofia deriva dal termine greco sophia, “saggezza”, che è in relazione all’etica, alle norme, alle regole ed alla pratica. L’ecosofia, o ecologia profonda, allora, implica il passaggio dalla scienza alla saggezza.[17]

 

       Il motivo principale della profondità dell’ecologia profonda, rispetto a quella superficiale, è quindi individuato da Naess nella volontà di mettere radicalmente in questione tutte quelle prassi, quelle politiche, quei valori che sono alla base della crisi ecologica, dell’attuale modo di relazionarsi dell’uomo alla natura.

 

La differenza fondamentale fra un’ecologia profonda e una superficiale, in pratica, consiste nella volontà di discutere e nell’apprezzare l’importanza di mettere in discussione pubblicamente ogni prassi politica ed economica. Questo mettere in discussione è sia “profondo” che pubblico. Esso chiede con insistenza e fermezza “perché”, non dando nulla per scontato![18]

 

       Questo punto riveste una notevole importanza e richiede che ci si soffermi un attimo.

       Naess parte dalla convinzione che non esista alcuna articolata visione del mondo filosofica o religiosa alla base dell’attuale ruolo dell’uomo nell’ecosfera, ma che vi siano solo ben radicati modi di produzione e di consumo.[19] Qualsiasi grande filosofia o religione del passato scegliessimo per giudicare secondo i suoi insegnamenti l’epoca attuale (aristotelismo, buddhismo, confucianesimo, cristianesimo, induismo, platonismo, ecc.), il suo giudizio sarebbe pesantemente negativo. Esse ricercano la grandezza qualitativa (spirituale), non quantitativa (materiale). Nessuna di esse considerebbe il mercato, la produzione, insomma l’“economico”, quale fonte di norme e valori ultimi per lo stato, la società, l’individuo.[20] Perciò l’obiezione principale che Naess muove all’ecologia superficiale non è che essa si basi su fondamenti filosofici o religiosi errati, ma che essa sia carente o addirittura manchi del tutto di tali fondamenti. Per converso, egli ritiene che qualsiasi articolato sistema filosofico o religioso contemporaneo, se solo si soffermasse ad indagare le cause della crisi ambientale, sarebbe in grado di fornire un valido sostegno al movimento dell’ecologia profonda. “I sostenitori del movimento dell’ecologia profonda non hanno dunque alcuna articolata filosofia cui opporsi. L’attuale situazione ecologica è il risultato, più che del pensiero, dell’assenza di pensiero”.[21]

       Ne consegue che al sostenitore del movimento dell’ecologia profonda è sufficiente interrogarsi ed interrogare sul perché ed il percome dell’attuale atteggiamento dell’uomo nei confronti dell’ecosfera, è sufficiente indagare in profondità i presupposti dello stile di vita contemporaneo, affinché molte o addirittura tutte quelle persone che ora, per mancanza di consapevolezza e di riflessione, li appoggiano si trovino d’accordo con le posizioni espresse dall’ecologia profonda. Secondo la ferma convinzione di Naess, ciò che allora caratterizza l’ecologia profonda rispetto a quella superficiale non è tanto la risposta data agli interrogativi sulle cause fondanti il nostro sistema di vita ed il conseguente degrado ambientale, quanto piuttosto il fatto che essa ponga questi interrogativi, attui questa “messa in discussione più profonda” (deeper questioning), mentre l’ecologia superficiale non lo fa.

 

Dando uno sguardo alla letteratura al riguardo e alle discussioni pubbliche, la mia conclusione è (da lungo tempo) che ciò che caratterizza il movimento profondo (in relazione a quello superficiale) non sono tanto le risposte date ai “profondi interrogativi” [deep questions] quanto piuttosto il fatto che questi “profondi interrogativi” siano sollevati e presi sul serio. All’interno del movimento superficiale i tipi di discussione raramente toccano gli interrogativi più profondi: non troviamo il completo Problematizierung sociale/filosofico. Ma se i sostenitori del movimento superficiale sono invitati a rispondere agli interrogativi profondi, è mia esperienza che i punti di vista del movimento dell’ecologia profonda sono spesso accettati.[22]

 

Chi scrive all’interno del movimento dell’ecologia profonda cerca di chiarire i presupposti fondamentali che stanno alla base dell’approccio economico dominante in termini di priorità di valore, filosofia e religione. Nel movimento superficiale la messa in discussione e il dibattito si fermano molto prima. Il movimento dell’ecologia profonda è quindi “il movimento ecologico che mette in discussione più profondamente” [the ecology movement which questions deeper].[23]

 

       Questo problematizzare, termine con cui sarebbe più corretto tradurre l’inglese questioning,[24] si muove in due direzioni opposte ma complementari. Da un lato esso produce, a livello teorico, una “profondità dei presupposti” (deepness of premises) su cui basare i nostri tentativi di risolvere la crisi ambientale e, prima ancora, su cui fondare l’intera nostra visione del rapporto uomo/natura; mentre dall’altro porta, a livello pratico, a comprendere la “profondità del cambiamento” (deepness of change) necessario sul piano sociale (in senso lato) affinché a questa situazione sia posto rimedio. La profondità dei presupposti e la profondità del cambiamento sono i due obiettivi fondamentali che Naess attribuisce al profondo problematizzare che caratterizza il movimento dell’ecologia profonda a partire dal suo stesso nome.[25]

       E’ importante sottolineare la natura espressamente filosofica di questo atteggiamento problematizzante proprio dell’ecologia profonda. Secondo Naess il chiedere insistentemente il “perché” ed il “come” delle cose conduce inevitabilmente ad aree di ricerca tipiche della filosofia.[26] Ciò non è in contrasto con l’affermazione precedente secondo cui l’ecologia profonda sarebbe prima di tutto un movimento sociale più che una filosofia, nel senso accademico del termine. Naess distingue due significati fondamentali della parola “filosofia”: 1) filosofia come “area di studi, approccio alla conoscenza”; 2) filosofia come “codice di valori e visione del mondo che orienta le decisioni di una persona (nella misura in cui sente ed è pienamente convinta che siano le decisioni giuste)”.[27] La problematizzazione profonda non è quindi che il metodo, l’approccio alla conoscenza (“filosofia” nel primo significato) che, se applicato a questioni di tipo ecologico come il rapporto fra noi stessi e la natura — cioè qualora diventi ecofilosofia —, porta a sviluppare una visione ecologica globale di tipo filosofico, una ecosofia (“filosofia” nel secondo significato). Per filosofia accademica, Naess intende la filosofia nel suo primo significato, ossia come metodo, come problematizzare profondo. Questo è sì una caratteristica peculiare dell’ecologia profonda rispetto a quella superficiale, ma non è sufficiente a definirla.[28] Ciò che definisce l’ecologia profonda è il fatto di essere non tanto una filosofia (nel suo primo significato), quanto una ecosofia. Essa cioè implica sempre il riferimento ad una visione filosofica generale informata dall’ecologia, con il relativo contenuto di scopi, obiettivi, valori guida, le relative priorità normative, i conseguenti criteri di scelta. Una delle caratteristiche distintive fondamentali dell’ecologia profonda è dunque costituita dal fatto, più volte ribadito da Naess, di pensare in termini di visione totale (total view), ossia cercando di articolare una prospettiva globale sulla realtà, che includa un’ontologia, una metodologia, una semantica, una epistemologia, un’etica, ecc. In altre parole: una prospettiva che tenti di formulare un intero sistema filosofico.

Sebbene gran parte del pensiero filosofico contemporaneo, nato per reazione ai grandi sistemi filosofici del passato (Tommaso d’Aquino, Cartesio, Spinoza, Hegel, ecc.), dia ad essa una connotazione negativa, secondo Naess non bisogna temere di usare la parola “sistema”. Sistematizzare — dal greco syn (insieme) e ístemi (fondare, costituire) — significa solo raccogliere degli elementi in modo da formare un’unità coerente. Naess non utilizza questo termine nel senso dogmatico di chi proclama con esso una verità assoluta ed eterna, ma in quello, tipico del pensiero sistemico ecologico, secondo cui la realtà si dà sempre in forma complessa, cioè come insieme di unità, o costellazioni, in cui le singole componenti sono inscindibilmente e costitutivamente collegate le une alle altre.[29] Poiché la realtà si manifesta in modo “sistematico”, qualsiasi nostra pur minima affermazione su di essa, si sia di ciò consapevoli o meno, è altrettanto “sistematica”, cioè presuppone l’adesione ad una visione complessiva del mondo, una visione del mondo comprendente un’ontologia, una metodologia, un’epistemologia, un’etica, ecc.[30] L’invito rivolto da Naess, dunque, è solo quello a dare una esplicita formulazione a quella visione globale del mondo, a quel sistema, già implicito nel nostro modo di atteggiarci verso la realtà. E’ inoltre un invito alla consapevolezza e alla responsabilità, a divenire cioè coscienti che ogni nostra azione, ogni nostro pensiero nei confronti della natura è il risultato di precise scelte di valore ed ipotesi fattuali.

 

Assumere una posizione in una disciplina scientifica significa averla assunta anche in tutte le altre. Se si analizzano a fondo i postulati, si scopre che qualsiasi risultato teorico in qualsiasi disciplina scientifica presuppone l’assunzione di una determinata posizione in tutti i settori della filosofia. Il fatto di avere una filosofia o visione del mondo non è presunzione. Possiamo benissimo riconoscere la nostra infinita ignoranza. Presuntuosa è invece la pretesa di agire in modo integralistico. Se rivendichiamo ciò, dobbiamo ammettere che abbiamo dei presupposti indiscutibili, di cui siamo consapevoli o meno. [...] Ovviamente, nessun individuo o gruppo può pretendere di articolare in modo completo una visione totale. [...] Tuttavia, tutto quello che facciamo sottintende in qualche modo l’esistenza di un sistema di questo tipo, per quanto esso sfugga a qualsiasi descrizione completa.[31]

 

 

       Dal punto di vista ambientalistico, i benefici apportati dal pensiero ecosofico sono evidenti. Poiché infatti il problema centrale di questo tipo di società è quello di aver trasformato quelli che dovevano essere solo dei mezzi per realizzare la qualità della vita (la tecnica, l’economia, il lavoro) in fini, senza tuttavia dare a questa trasformazione la necessaria base filosofica o religiosa, è compito del movimento dell’ecologia profonda far comprendere alle persone questo avvenuto capovolgimento di valori consentendo così loro di riappropriarsi dei veri fini. Ciò però è possibile solo se si riesce a far loro capire che, benché essi non lo vogliano ammettere e benché essi pensino di avere a che fare solo con fatti, qualsiasi loro decisione è innervata da precise scelte di valore, delle quali, se consapevoli, non sarebbero forse così convinti sostenitori.

 

La forza del movimento dell’ecologia profonda dipende dalla volontà e dalla capacità dei suoi membri di obbligare gli esperti ‘drogati’ dai fatti, che puntellano le decisioni in materia ambientale, ad accettare una discussione in termini di valori e priorità.[32]

 

La filosofia dell’ecologia profonda insiste sul fatto che qualsiasi argomentazione derivata deve essere riportata per conferma alla sua base fondamentale: quelle priorità di valore che guidano le decisioni di una persona matura o di un gruppo responsabile. Il limite del movimento ecologico superficiale non è dovuto a una filosofia debole o non-etica, ma all’assenza di un riferimento esplicito a scopi, obiettivi e norme fondamentali. Perciò il compito dei sostenitori del movimento dell’ecologia profonda più consapevoli dal punto di vista filosofico consiste in gran parte nel mettere in questione [questioning] le scelte di carattere utilitaristico ponendo la domanda: in che modo sono in rapporto con i fini ultimi?[33]

 

       A questo punto, tentando di riassumere quanto siamo andati esponendo, possiamo definire il movimento dell’ecologia profonda come: l’insieme dei sostenitori di tutte quelle ecosofie i cui presupposti ultimi sono compatibili con i principi espressi dalla piattaforma dell’ecologia profonda. Tali ecosofie sono caratterizzate, in misura maggiore o minore, dal mettere profondamente in discussione le prassi, le politiche, i valori a fondamento dell’attuale crisi ecologica e dal promuovere un radicale cambiamento sociale sulla base di norme e valori ultimi, di carattere filosofico o religioso, conciliabili con le condizioni di vita nell’ecosfera.

 

 

4. Il grafico a grembiule:

unità e pluralismo dell’ecologia profonda

 

       Per illustrare schematicamente la visione del mondo dei sostenitori del movimento dell’ecologia profonda Naess ha utilizzato un sistema normativo a più livelli di proposizioni derivate, illustrato nel seguente grafico detto “a grembiule” (apron diagram):[34]