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Lettera a un’amica con un male incurabile

di Francesco Lambendola - 09/10/2009


Cara amica,
mi hai chiesto che cosa possa significare per te la felicità, per te che porti nel tuo corpo un male incurabile, dato che ti esorto continuamente a cercare di essere felice.
Forse pensi che sottovaluti il tuo male, che lo prenda un po’ troppo alla leggera.
Effettivamente, la circostanza che esso non ti abbia recato dei veri dolori fisici, che non ti abbia eccessivamente debilitato, che non ti abbia tolto neppure un poco di lucidità; il fatto, soprattutto, che tu sia riuscita - per una tua libera scelta - a tenerlo nascosto a tutti quanti, e ai medici per primi, potrebbe indurre a questo errore di sottovalutazione.
Ma io non lo sottovaluto: e so che, se tu e lui vi siete adattati a convivere quasi da buoni amici - lui evitando di tormentarti con inutili sofferenze, tu astenendoti dall’aggredirlo con le solite terapie massicce ed invasive -, ciò non significa che la tua anima non venga sottoposta a una tensione notevolissima, tanto più nella situazione di solitudine psicologica e affettiva nella quale ti sei venuta a trovare.
E nemmeno ti starò a raccontare la solita banalità che tutti dobbiamo morire e che anch’io, che in questo momento scoppio di salute, domani stesso, o magari fra mezz’ora, potrei andare all’altro mondo, finendo sotto le ruote di un camion, o in una maniera anche meno drammatica, ma - se possibile - perfino più stupida, per esempio con la testa fracassata dal proverbiale vaso di fiori caduto da qualche terrazza.
Quelle sono tutte balle, naturalmente.
Perché è diverso sapere che si morirà presto, oppure che si morirà - presumibilmente - fra parecchio tempo.
Oppure  no?
Forse ti avrà colpito il fatto che non ti tratto, né ti ho mai trattato, da malata. Non ti faccio sconti, qualche volta ti maltratto come se tu stessi benone, come se in questa amicizia ci fosse ancora chissà quanto tempo.
Forse hai pensato che sono insensibile e che sottovaluto il tuo problema; altrimenti, dovrei rendermi conto che non è il caso di maltrattare una persona con la quale potrebbe non esserci il tempo di spiegarsi, di chiarirsi, di fare la pace.
Invece, non lo sottovaluto affatto; semplicemente, penso che un quel genere di problemi non ci riguardi.
Tu se qui; io sono qui: questo è ciò che importa. Tutto il resto sono storie, sono illusioni e timori che non ci riguardano per nulla.
«Ma io sto morendo.»
«E cosa vorresti dire con ciò?»
«Che mi resta solo poco tempo.»
«Poco tempo, per fare che cosa?»
«Per vivere».
«Non è vero.»
«Come sarebbe, non è vero?»
«Il tempo per vivere non è mai poco, se si acquisisce la consapevolezza e se ci si risveglia.»
«Ma risvegliarsi da che cosa?»
«Da quel brutto sogno che quasi tutti chiamano vita, mentre è solo il groviglio arruffato di illusorie paure e illusorie speranze.»
«Ma come: proprio tu mi parli male della vita? Tu che dici sempre che la vita è bellissima, che dobbiamo vivere aspirando alla felicità?»
«Appunto, aspirando alla felicità. Ma non come a qualcosa che, per definizione, non potremo mai raggiungere. Anch’io, in passato, sono incorso in questo errore. Poi, mi sono risvegliato: e ho capito.»
«Che cosa hai capito?»
«Che la felicità è la gioia di essere qui, ora, in questo preciso istante.»
«Ma a me resta poco tempo, restano troppo pochi istanti: capisci?»
«Sei tu che non capisci. L’istante non è tempo, è assenza di tempo. L’istante è fuori del tempo, è un’altra cosa. È qui e ora: illuminazione allo stato puro, se ne siamo consapevoli.
Le persone dormono e credono di essere sveglie, credono di vivere. Ma non è vero. Sono addormentate, come dice Anthony De Mello, e quindi non vivono affatto. È come se fossero già morte.»
«Però la morte fisica, è un’altra cosa.»
«E tu come lo sai? Te lo ha detto qualcuno? Ne hai fatto l’esperienza? Si direbbe di no, dal momento che sei qui e mi stai parlando. E allora, perché vuoi essere morta prima del tempo?»
Ecco, cara amica, è proprio questo ciò di cui ti voglio parlare oggi.
La paura di morire ci fa morire prima del tempo.
Io so che tu non hai paura, però credi di avere ancora poco tempo da vivere: è la stessa cosa. Per una persona risvegliata, illuminata, e perciò consapevole, per una persona viva, il tempo non è mai poco, perché lei si trova già FUORI DEL TEMPO. Il tempo della felicità è l’istante, e l’istante è fuori del tempo, è assenza di tempo.
Tu sei triste pensando al passato, a tutti i dolori e a tutte le fiere delusioni che la vita non ti ha risparmiato. Sei triste perché pensi di aver sofferto troppo.
Io credo che ti sbagli; e ritengo, al contrario, che tu non abbia sofferto ABBASTANZA. Se tu avessi sofferto a sufficienza, saresti arrivata al punto di dire: «Basta!»; e avresti dato una svolta alla tua vita, a qualunque costo.
«Ma adesso è troppo tardi», mi dici. «Sono quasi vecchia; e, per giunta, mi resta poco da vivere. Posso solo prepararmi ad andarmene serenamente.»
Strano ragionamento. Il tuo modo di pensare mi ricorda uno che abbia digiunato per tutta la vita e che, arrivato ormai verso la fine, dica: «Lasciatemi in pace tutti quanti, adesso, perché devo prepararmi a digerire come si deve!». Ma che cosa vuoi che digerisca, se non ha messo niente nello stomaco da chissà quanto tempo?
Mia cara, sei piena di rimpianti, che non servono a nulla, e di rimorsi, che ti tormentano con i loro fantasmi irreali.
Sì, irreali: il passato è passato, e tu ora sei qui, che ti piaccia o non ti piaccia. Non puoi farci niente, non dipende da te.
Da te dipende una cosa sola, e questa la puoi fare: aprire gli occhi e risvegliarti, e dire a te stessa: «Sono viva e voglio essere felice».
Come si fa ad essere felici?
Scoprendo se stessi, riconoscendo se stessi.
Si trascorrono anni e decenni in compagnia di uno straniero, di uno sconosciuto, più o meno frustrato e amareggiato: e quello sconosciuto siamo noi. Non ha mai avuto fiducia in se stesso, si è sempre preoccupato eccessivamente di quello che gli altri pensavano di lui.
E così, per far contenti gli altri e mettere a tacere i propri sensi di colpa, lo sconosciuto si è sacrificato.
Giorno dopo giorno, anno dopo anno. Per tutta la vita.
Ma adesso arriva un rompiscatole e ti dice: «Basta dormire! Hai dormito abbastanza. Ora è giunto il momento di svegliarsi, di aprire gli occhi.»
Tu non vorresti, hai paura.
Ti sei affezionata alle tue sicurezze, alle tue comodità di disperata. Hai vissuto in una tranquilla disperazione - ci stavi così bene, dopotutto: una bella nicchia calda dove autocommiserarti e piangere di nascosto, in santa pace. E intanto, ti consolavi pensando all’altra vita.
Ma che cosa importa l’altra vita, se non si è capaci di vivere bene QUESTA vita?
Per vivere bene questa vita, bisogna spogliarsi delle false sicurezze e aprirsi alla vita, mettersi in gioco.
«E vuoi che lo faccia proprio io, che mi trovo in queste condizioni?»
Sissignora: non hai voluto farlo prima; puoi farlo adesso.
Non è MAI troppo tardi. L’illuminazione, che a sua volta dona la consapevolezza, è fuori del tempo. La si può ricevere anche un istante prima di morire; ed è l’esperienza di gran lunga più importante che sia concessa ad un essere umano. Quella che, appunto, conferisce un profondo significato al fatto di aver vissuto.
Se si trattasse di un bene materiale, sarei d’accordo con te: che senso può avere mettere le mani su un tesoro, se si ha un tumore maligno? Non ci sarebbe più il tempo per goderselo.
Ma l’illuminazione, il risveglio, non sono beni materiali: sono il bene spirituale per eccellenza.
E il bene spirituale non è nel tempo, non appartiene al tempo; non si ha bisogno di tempo per goderlo.
Il bene spirituale è veder cadere le mura della prigione in cui si è vissuti, e lasciarsi inondare dalla luce.
È meraviglioso.
È questo, che io chiamo la felicità.
Vedere gli alberi, le case, il celo, la terra, e sentire che tutto è come dev’essere, che tutto è pervaso di luce e di amore.
Ed è meraviglioso.