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Freud di destra?

di Marco Iacona - 09/10/2009


Il suo nome è Freud. Sigmund Freud. E tanto basta. Ha rivoluzionato la cultura a cominciare da quella medica (una delle discipline principe del Novecento), come mai nessuno prima. Né Wagner per l’arte, né Nietzsche – che con Schopenhauer può essere considerato un suo precursore – per il pensiero filosofico, possono stargli alla pari. Forse solo Socrate o Kant possiedono la sua stessa importanza; e di certo anche San Paolo, figura fondamentale per il cristianesimo, può reggere con facilità il suo passo. Ma nessuno come Freud è stato anche abominato, soprattutto dalla intellettualità conservatrice di tipo accademico, eppure citatissimo, ovunque. Ha conosciuto crisi e sconfitte ma ancora oggi la sua ombra riesce a distinguersi dalle sagome dell’altro Novecento; e poi, principalmente Freud è grande perché è andato oltre il campo dello specialismo clinico, divenendo il caposcuola di una mentalità viepiù diffusa. La narrativa contemporanea gli deve il merito di grandi capolavori (La coscienza di Zeno, si dice il più bel romanzo italiano del ‘900). Parte della saggistica senza di lui non sarebbe quella che è (giudizi di valore a parte). Perfino lo spettacolo, con l’arte surrealista, il cinema a cominciare dalla avanguardie e il teatro, non ha saputo/potuto rinunciare al suo pensiero. Anzi. Il medico di  Freiberg, formatosi in una Vienna nemica-amica, verrà corteggiato dalle major statunitensi (riflettiamo sul fatto che cinema e psicanalisi furono grossomodo contemporanei) e dagli anni Venti, la “scienza nuova” del nostro dottore sarà tutt’uno con l’attrazione per ciò che odorava di nuovo o di proibito. Inutile dire però che non di vero “freudismo” si trattava (almeno a quel tempo), ma di uno sciroppo contenente anche culture politiche (quella dei liberali di sinistra, per esempio) e rivendicazioni sociali, oltreché facili e giovani pedagogismi.
Indirettamente, dal papà della psicanalisi, grazie alla pagine che ci ha lasciato, sono nate le storie più torbide – ma anche allegre – ricordate oggi. Memorie d’infanzia, fobie, conflitti e soprattutto amori sopra le righe: tutto questo è stato cinema e letteratura da psicanalisi insieme. Da Hitchcock a John Huston, da David Cronenberg a Billy Wilder (passando per il grande Woody Allen). Come a dire: i luoghi all’interno della psiche nascondono il possibile, compreso naturalmente quel che non si conosce, che è poi il tema centrale della psicanalisi. Freud è morto settant’anni fa, a Londra il 23 settembre del 1939. I nostri padri o nonni avrebbero potuto perfino conoscerlo, parlargli e ottenerne un’impressione diretta, sedendo accanto a uno degli uomini rappresentativi di un Occidente a un tempo storia-e-concetto (per la cronaca, Freud era e resterà un aristotelico puro). A noi, tuttavia, basta un comune manuale di psicologia a contenere i suoi periodi da sbatterci la testa al muro: «la scoperta dell’inconscio è la terza ferita inflitta al narcisismo umano», diceva Freud (parlando ovviamente di se stesso), «con Copernico l’uomo non è più al centro dell’universo, con Darwin non è creato direttamente da Dio, con la psicoanalisi non è più padrone in casa propria». Chi più di lui, ammiratore dello stesso papà dell’evoluzionismo, era consapevole della rivoluzione che stava capitanando?
Attratto all’inizio dall’ipnosi (che conobbe a Parigi grazie a J.-Martin Charcot) e dalle pratiche di Josef Breuer come cura per i soggetti isterici (l’ipnosi come regressione verso il punto in cui il “male” ha aggredito la mente), attraverso la tecnica delle “libere associazioni” e l’idea di rimozione Freud giunge alla vera teoria psicanalitica e alla sua pratica principe cioè l’interpretazione dei sogni. È questa insieme ad altre indagini che attengono al quotidiano a mostrare l’esistenza dell’inconscio, ove appunto si trovano stratificati pulsioni e desideri (sessuali) rimossi o respinti perché in contrasto con la coscienza morale dell’individuo. L’idea centrale del pensiero di Freud (quanti fraintendimenti, però) è e rimane antirazionalista: le “certezze” ereditate e le norme del vivere sociale rappresentano un ostacolo – a volte eccessivo – agli impulsi e agli istinti della persona. E conservatrice: ciò che conta in primo luogo è l’infanzia, la crescita sessuale del bambino e lo sviluppo dei suoi complessi; come conservatrici (o elitiste) erano le sue idee politiche. Ovvio d’altra parte, che il nostro medico fosse inviso allo stesso tempo ai cattolici, la cui “trasformazione” delle tecniche freudiane in una complessa visione del mondo (sottilmente pansessualista), non poteva non dispiacere; agli scienziati della tradizione positivista nel cui elenco di discipline i temi freudiani erano “arte”, “poesia” o pura follia; e infine a chi amava ribellarsi all’onnipotenza dell’inconscio, e a chi non pensava che l’uomo - o per meglio dire l’Io - fosse agito e non invece agente, peraltro dimentico del motto freudiano: «dov’era l’Es deve diventare l’Io». Proprio per questi ultimi Freud rappresentava una vera e propria iattura, in quanto abituati a pensare all’uomo come protagonista pressoché unico – e autentico – delle proprie scelte esistenziali. Per non tacere, infine, delle tristi vicende legate alla politica e al nazionalsocialismo. Nel 1938, dopo l’occupazione dell’Austria Freud è costretto a partire per Londra (forse in suo favore si muoverà lo stesso Mussolini). Già malato di cancro, qui morirà un anno dopo.
La storia della psicoanalisi è dunque in primo luogo la storia di Freud. E viceversa («la psicanalisi è … una mia creazione»). Dalla prima guerra mondiale all’età hitleriana essa si sviluppa nella vecchia Europa, poi migra in America e in Gran Bretagna una prima volta, e poi ancora un’altra nel periodo della seconda guerra mondiale. Dopo di che di afferma a livello massa (parliamo ancora di strati medio-alto borghesi, ovviamente). Anche per questo (ma non solo), l’elenco e dei seguaci e dei “traditori” di mastro Freud è a dir poco vasto. La scuola psicodinamica e delle psicologie cliniche, con Carl Gustav Jung (1875-1961), Alfred Adler (1870-1937) e gli altri (Melanie Klein, Erich Fromm e la scuola francese), è andata avanti, eccome, fino ai giorni nostri e fra dialoghi e chiusure successive. Potrebbe peraltro suonare strano a chi legge: ma a causa di veti, contrasti e “infedeltà” il nome di Freud – non proprio un campione di tolleranza raccontano i biografi – pare fosse più apprezzato fra i cosiddetti dilettanti (coloro cioè che occupandosi non specificamente di psicologia clinica o psichiatria, amavano il Freud filosofo o, ben più in là, la guida “pop” per il benessere psicologico), che non fra i professionisti della mente volgarmente detti “strizzacervelli”. Chi s’intende di questioni riguardanti associazioni, scuole e dinamiche di gruppo non avrà difficoltà a comprendere le ragioni per cui un capo carismatico (Freud) e una serie di allievi legati fra loro da vincoli emotivi non fossero granché amati al di fuori del loro ambiente, né si sentissero particolarmente attratti da “vecchi” metodi e tecniche non psicanalitiche.
E a casa nostra? In un’Italia refrattaria al nuovo, ma già crocevia di culture prima francesi poi anglosassoni, la psicanalisi come idea (di inconscio, di libido ecc…) e come pratica sperimentale, ha tardato a diffondersi. Oltre ai limiti imposti dalla Chiesa, né il marxismo (almeno fino a una certa epoca), né il fascismo (quello moralista), né certa tradizione umanistica hanno favorito la nascita di importanti filoni metaculturali di tipo freudiano. Né, d’altra parte, parlare di sesso (freudiano o meno...) è stato oltremodo facile, almeno fino agli anni Sessanta (potrà sembrare strano, ma i bacchettoni stavano – e stanno – molto più a sinistra che a destra…). Si tenga conto poi che anche i seguaci del papà della psicoanalisi ne criticarono a più riprese l’eziologia (cioè la relazione causa-effetto) sessuale.
Qui comunque giova ricordare che già Julius Evola nel 1958 (è noto il suo Metafisica del sesso), si interessò della più grande forza magica della natura – in direzione, però, certamente non freudiana – e che per molti anni si occupò anche di discipline che in qualche modo col freudismo erano imparentate. Ad esempio, criticò Freud nell’altrettanto noto Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo (ma non in modo così negativo come si potrebbe pensare!), e criticò anche Willhelm Reich – altro allievo di Freud - e le sue teorie sulla repressione e sulle patologie sessuali, perché risalenti a meri principi “biologici” (o al più oscuri o perfino “banali”) e non metafisici nelle forme cioè del principio della “vita” e dell’“essere”. Si occupò anche di un “discepolo” di Reich, il liberale Luigi De Marchi e del suo volume Sesso e civiltà (1960), recensendolo solo in parte positivamente (a sua volta De Marchi era rimasto colpito dalle pagine evoliane sull’eros). Vicino inizialmente a Evola (al suo “magico gruppo di Ur-Krur” degli anni Venti) fu tuttavia anche Emilio Servadio, studioso legato alle religioni orientali e importante esoterista, che fu fra i padri della psicanalisi italiana come Edoardo Weiss, triestino, e il più noto Cesare Musatti. Come a dire: le vie percorse dalla mente sono infinite e – presto o tardi – passano per i parenti prossimi dello spirito (o viceversa).
Spesso, poi, ci si fermano a parlare più del previsto, lo sappiamo bene.