La Scienza dei numeri di Pitagora*
di Edouard Schuré - 29/03/2006
Fonte: riflessioni.it
Era un giorno fortunato, «un giorno dorato», come dicevano gli antichi, quello in cui Pitagora riceveva il novizio nella sua dimora e lo ammetteva solennemente al rango di allievo. Prima di tutto, si entrava in rapporto continuativo e diretto con il maestro, si penetrava nel cortile interno della sua abitazione riservata ai fedeli. Di qui il termine di esoterici (allievi dell'interno), contrapposto a quello di essoterici (dell'esterno). La vera iniziazione cominciava allora.
La rivelazione consisteva in un'esposizione completa e ragionata della dottrina occulta, dai principi contenuti nella scienza misteriosa dei numeri alle estreme conseguenze dell'evoluzione universale, ai destini e ai fini supremi della divina Psiche, dell'anima umana. Questa scienza dei numeri era nota sotto diversi nomi nei templi d'Egitto e d'Asia. Essa costituiva la chiave dell’intera dottrina, e perciò era accuratamente nascosta al volgo. Le cifre, le lettere, le figure geometriche, o le rappresentazioni umane che servivano da segni a questa algebra del mondo occulto erano comprese solo dall'iniziato. Questi ne rivelava il senso agli adepti solo dopo averne ricevuto il giuramento del silenzio. Pitagora formulò questa scienza in libro scritto di suo pugno e intitolato Hiéros Logos, la parola sacra. Questo testo non ci è pervenuto, ma gli scritti posteriori dei pitagorici Filolao, Archita e Ierocle, i dialoghi di Platone, i trattati di Aristotele, di Porfirio e di Giamblico ce ne fanno conoscere i principi, rimasti incomprensibili ai filosofi moderni, perché non hanno saputo comprendere il significato e la portata, accessibili solo attraverso la comparazione con tutte le dottrine esoteriche dell'Oriente.
Pitagora chiamava i suoi allievi matematici, perché il suo insegnamento superiore cominciava con la dottrina dei numeri. Ma quella matematica sacra, o scienza dei princìpi, era insieme più trascendente e più viva della matematica profana, la sola nota ai nostri dotti e ai nostri filosofi. Il numero non vi era considerato come una quantità astratta, ma come la virtù intrinseca e attiva di un Uno supremo, di Dio fonte dell'armonia universale. La scienza dei numeri era la scienza delle forze vive, delle facoltà divine in azione nel mondo e nell'uomo, nel macrocosmo e nel microcosmo... Penetrandoli, distinguendoli e spiegandone il gioco, Pitagora costruiva niente di meno che una teogonia, o una teologia razionale. Una vera e propria teologia dovrebbe fornire i principi di tutte le scienze: sarà scienza di Dio solo se dimostrerà l'unità e la concatenazione delle scienze della natura. Merita tale nome solo se costituisce l'organo e la sintesi di tutte le altre scienze. Proprio questo era il ruolo occupato nei templi egizi dalla scienza del Verbo sacro, formulata e precisata da Pitagora con il nome di scienza dei numeri. Essa aveva l'aspirazione a fornire la chiave dell'essere, della scienza e della vita. L'adepto, guidato dal maestro, doveva cominciare dal contemplarne i princìpi nella sua stessa intelligenza, prima di seguirne le molteplici applicazioni nell'immensità concentrica delle sfere dell'evoluzione.
Un poeta moderno ha presentito questa verità quando ha fatto scendere Faust al regno delle Madri per restituire la vita al fantasma di Elena. Faust afferra la chiave magica, la terra si fonde ai suoi piedi, è colto dalla vertigine e precipita nel vuoto degli spazi. Infine, arriva presso le Madri che vegliano sulle forme originarie del grande tutto e fanno scaturire gli archetipi. Queste Madri sono i Numeri di Pitagora, le forze divine del mondo. Il poeta ci ha reso il brivido del suo pensiero di fronte a questo tuffo negli abissi dell’Insondabile. Per l’antico iniziato, nel quale la vista diretta dell’intelligenza si risvegliava a poco a poco come un senso nuovo, questa rivelazione interiore sembrava piuttosto un'ascensione nel sole incandescente della Verità, dal quale egli contemplava nella pienezza della Luce gli esseri e le forme proiettati nel turbine delle vite da una vertiginosa irradiazione.
Non si perveniva certo in un giorno al possesso della verità, in cui l'uomo realizza la vita universale attraverso la concentrazione delle proprie facoltà. Ci volevano anni di esercizio, il così difficile accordo di intelletto e volontà. Prima di padroneggiare la parola creatrice — quanto pochi sono coloro che arrivano a questo! — bisognava compitare il Verbo sacro lettera per lettera, sillaba per sillaba.
Pitagora aveva l'abitudine di impartire questi insegnamenti nel tempio delle Muse. I magistrati di Crotone lo avevano fatto costruire, su sua precisa indicazione e secondo le sue istruzioni, accanto alla sua dimora, in un giardino chiuso. Gli allievi del secondo livello vi entravano soli con il maestro.
All'interno dei tempio circolare si vedevano le nove Muse di marmo. In piedi al centro vegliava Hestia, avvolta da un velo, solenne e misteriosa. Con la mano sinistra proteggeva la fiamma di un focolare e con la destra indicava il cielo. Presso i Greci, come presso i Romani, Hestia o Vesta era la custode del principio divino presente in tutte le cose. Coscienza del fuoco sacro, aveva il suo altare nel tempio di Delfi, al Pritaneo di Atene come in ogni casa, anche la più modesta. Nel santuario di Pitagora simboleggiava la Scienza divina e centrale o la Teogonia. Intorno ad essa le Muse esoteriche portavano, oltre al loro nome tradizionale e mitologico, il nome delle scienze occulte e delle arti sacre, che avevano il compito di tutelare. Urania proteggeva l'astronomia e l'astrologia; Polimmia la scienza delle anime nell'altra vita e l'arte della divinazione; Melpomene, con la sua maschera tragica, la scienza della vita e della morte, delle trasformazioni e delle rinascite. Queste tré Muse superiori costituivano insieme la cosmogonia o fisica celeste. Calliope,
Clio ed Euterpe presiedevano alla scienza dell'uomo o psicologia, con le arti corrispondenti: medicina, magia, morale. L'ultimo gruppo, Tersicore, Erato e Talia, abbracciava la fisica terrestre, la scienza degli elementi, delle pietre, delle piante e degli animali. Così, al primo sguardo, l'organizzazione delle scienze, ricalcata su quella dell'universo, appariva all'allievo nel cerchio vivente delle Muse, illuminate dalla fiamma divina. Dopo aver condotto gli allievi in questo piccolo santuario, Pitagora apriva il libro del Verbo e cominciava il suo insegnamento esoterico. « Queste Muse » diceva « non sono che le effigi terrestri delle potenze divine, di cui voi contemplate in voi stessi l'immateriale e sublime bellezza. Come esse sorvegliano il fuoco di Vesta da cui emanano e che conferisce loro il movimento, il ritmo e la melodia, così voi dovete tuffarvi nel Fuoco centrale dell'universo, nello Spirito divino, per diffondervi insieme nelle sue manifestazioni visibili. » Allora, con mano potente e ardita, Pitagora sottraeva gli allievi al mondo delle forme e delle realtà, cancellava il tempo e lo spazio e li faceva discendere con sé nella grande Monade,nell'essenza dell'Essere increato. Pitagora lo chiamava l'Uno primo composto d'armonia, il Fuoco maschile che attraversa tutto, lo Spirito che si muove autonomamente, l'Indivisibile, il grande Non-Manifesto il cui pensiero creatore i mondi effimeri manifestano, l'Unico, l'Eterno, l'Immutabile, nascosto nelle cose molteplici che passano e cambiano. «L'essenza di sé si sottrae all'uomo », dice il pitagorico Filolao. « Egli conosce solo le cose di questo mondo, dove il finito si combina con l'infinito. E come può conoscerle? Perché fra lui e le cose esiste un'armonia, un rapporto, un principio comune, e questo principio è conferito dall'Uno, che attribuisce loro, con l'essenza, la misura e l'intelligibilità. È la misura comune fra il soggetto e l'oggetto la ragione delle cose, attraverso la quale l'anima partecipa alla ragione ultima dell'Uno. »12 Ma come avvicinarsi a Lui, all'Essere inafferrabile? Qualcuno ha forse mai visto direttamente il signore del tempo, l'anima dei soli, la fonte delle intelligenze? No: solo confondendosi in lui se ne penetra l'essenza. È simile a un fuoco invisibile posto al centro dell'universo, la cui agile fiamma circola in tutti i mondi e muove la circonferenza. Aggiungeva che l'opera dell'iniziazione consiste nell'avvicinarsi al grande essere assomigliandogli, rendendosi il più perfetto possibile, dominando le cose con l'intelletto e diventando attivi come quest'ultimo e non passivi come le prime. « II vostro essere, la vostra anima, è un microcosmo, un piccolo universo. Ma è piena di tempeste e di discordie, mentre si tratta di realizzarvi l'unità nell'armonia. Allora, e solo allora. Dio scenderà nella vostra coscienza, e voi parteciperete al suo potere e farete della vostra volontà la pietra del focolare, l'altare di Vesta, il trono di Zeus. »
Dio, la sostanza indivisibile, ha dunque per numero l’unità che contiene l’Infinito, per nome quello di Padre, di Creatore o di Eterno Maschile, per segno il Fuoco vivente simbolo dello Spirito, essenza del Tutto. Ecco il primo dei principi.
Ma le facoltà divine sono simili al loto mistico, che l'iniziato egizio, disteso nel suo sepolcro, vede sorgere nella notte buia. Inizialmente è solo un punto brillante, che si apre poi come un fiore, il cui centro incandescente sboccia come una rosa di luce dalle mille foglie. Pitagora diceva che la grande Monade agisce come Diade creatrice. Dal momento in cui Dio si manifesta, egli è duplice: essenza indivisibile e sostanza divisibile, principio maschile attivo, animatore, e principio femminile passivo, o materia plastica animata. La Diade rappresenta dunque l'unione dell'Eterno Maschile con l'Eterno Femminile in Dio, le due facoltà divine essenziali e corrispondenti.
Orfeo aveva poeticamente espresso questa idea in un verso:
Giove è lo Sposo e la Sposa divina.
Tutti i politeismi hanno intuitivamente avuto coscienza di questa idea, rappresentando la Divinità sia sotto forma maschile, sia sotto forma femminile. In questa Natura vivente, eterna, la grande Sposa di Dio non è solo la natura terrestre ma la natura celeste invisibile ai nostri occhi di carne, l'Anima del Mondo, la Luce primordiale, di volta in volta Maia, Iside, Cibele, che vibrando per prima sotto l'impulso divino racchiude le essenze di tutte le anime, i tipi spirituali di tutti gli esseri. In seguito è Demetra, la terra vivente e tutte le terre con i corpi che racchiudono, in cui le anime vengono a incarnarsi. Poi è la Donna, compagna dell'Uomo. Nell'umanità la Donna rappresenta la Natura; e l'immagine perfetta di Dio non è l'Uomo solo, ma l'Uomo e la Donna. Perciò la loro reciproca attrazione è cosi stregata e fatale. Di qui l'ebbrezza dell'Amore, in cui vive il sogno delle creazioni infinite e l'oscuro presentimento che l'Eterno Maschile e l'Eterno Femminile si appaghino in un'unione perfetta in seno a Dio. « Onore dunque alla Donna in terra e in cielo», diceva Pitagora, come tutti gli iniziati antichi, «la singola donna ci fa comprendere la Natura, questa grande Donna totale. Ne deve essere l'immagine santificata e aiutarci a risalire gradualmente fino alla grande Anima del mondo, che partorisce, conserva e rinnova, fino alla divina Cibele, che trascina il popolo delle anime nel suo manto di luce. »
La Monade rappresenta l'essenza di Dio, la Diade la sua facoltà generatrice e riproduttiva. Essa genera il mondo, sviluppo visibile di Dio nello spazio e nel tempo. Ma il mondo reale è triplice; infatti, come l'uomo si compone di tre elementi distinti, ma fusi l'uno nell'altro: il corpo, l’anima e lo spirito, così l'universo è diviso in tre sfere concentriche: il mondo naturale, il mondo umano e il mondo divino. La Triade, o legge del ternario, è dunque la legge costitutiva delle cose e la vera chiave della vita; perché si ritrova a tutti i livelli della scala vitale, dalla costituzione della cellula organica attraverso la costituzione fisiologica del corpo animale, il funzionamento del sistema sanguigno e di quello cerebro-spinale, fino alla costituzione iperfisica dell'uomo, a quella dell’universo e di Dio. Così, come per incanto essa dischiude allo spirito meravigliato la struttura interna dell’universo, mostra le corrispondenze infinite del macrocosmo con il microcosmo- Agisce come una luce che passi nelle cose per renderle trasparenti e fa risplendere i mondi piccoli e grandi come altrettante lanterne magiche.
Spieghiamo questa legge tramite la corrispondenza essenziale fra l'uomo e l'universo.
Pitagora ammetteva che lo spirito umano, l’intelletto, proviene da Dio, da cui deriva la sua natura immortale, invisibile, assolutamente attiva. Infatti lo spirito è ciò che muove se stesso. Chiamava corpo la sua parte mortale, divisibile e passiva. Pensava che ciò che chiamiamo anima è strettamente legato allo spirito, ma formato da un terzo elemento intermedio, proveniente dal fluido cosmico. L’anima somiglia dunque a un corpo etereo, che lo spirito si tesse e costruisce da solo. Senza questo corpo etereo, quello materiale non potrebbe essere vivificato e resterebbe una massa inerte e senza vita.13 L’anima ha una forma simile a quella del corpo che vivifica, e gli sopravvive dopo la dissoluzione e la morte. Diventa allora, secondo l'espressione di Pitagora ripresa da Fiatone, carro sottile, che solleva lo spirito verso le sfere divine o fo lascia ricadere nelle regioni tenebrose della materia, a seconda che sia più o meno buona o malvagia. La costituzione e l'evoluzione dell'uomo si ripete, in cerchi sempre crescenti, su tutta la scala degli esseri e in tutte le sfere. Come l'umana Psiche lotta fra lo spirito che l'attrae e il corpo che la trattiene, così l'umanità evolve dal mondo naturale e animale, dove affonda le sue radici terrestri, al mondo divino dei puri spiriti, dov'è la sua fonte celeste e verso il quale aspira ad elevarsi. E ciò che accade nel mondo umano accade
in tutte le terre e in tutti i sistemi solari, in proporzioni sempre diverse, in modi sempre nuovi.
Se si estende il cerchio all'infinito — e, se possibile, si abbracciano in un solo concetto i mondi senza limite — che cosa si troverà? Il pensiero creatore, il fluido astrale e un'infinità di mondi in evoluzione: lo spirito, l'anima e il corpo della divinità. Sollevando un velo dopo l'altro e sondando le facoltà di questa divinità, vedrete la Triade e la Diade intrecciarsi nell'oscura profondità della Monade come una efflorescenza di stelle negli abissi dell'immensità. Dopo questa rapida esposizione del sistema di Pitagora è chiara l'estrema importanza che in esso assumeva la legge del ternario.
Si può affermare che essa costituisce la pietra angolare della. Scienza esoterica. Tutti i grandi iniziatori religiosi ne hanno avuto coscienza, tutti i teosofi l'hanno presentito. Un oracolo di Zoroastro dice:
II numero tre regna ovunque nell'universo
e la Monade è il suo principio.
Il merito incomparabile di Pitagora è di avere formulato questa legge con la chiarezza del genio greco. Egli ne fece il centro della sua teogonia e il fondamento delle scienze. Già velata negli scritti esoterici di Platone, ma del tutto incompresa dai filosofi posteriori, questa concezione è stata compresa appieno, nei tempi moderni, solo da pochi iniziati delle scienze occulte.14 Vediamo fin d'ora quale ampia e solida base la legge del ternario universale offrisse alla classificazione delle scienze, all'edificio della cosmogonia e della psicologia. Come il ternario universale si concentra nell'unità di Dio o nella Monade, il ternario umano si concentra nella coscienza dell'io e nella volontà, che raccoglie tutte le facoltà del corpo, dell'anima e dello spirito in una vivente unità. Il ternario umano e divino riassunto nella Monade costituisce la Triade sacra. Ma l'uomo realizza la propria unità in un modo soltanto relativo. Infatti, la volontà che agisce su tutto il suo essere non può agire simultaneamente e pienamente nei suoi tre organi, cioè nell'istinto, nell'anima e nell'intelletto. L'universo e Dio stesso gli appaiono solo di volta in volta e successivamente riflessi in tre specchi.
1) Visto attraverso l'istinto e il caleidoscopio dei sensi, Dio è multiplo e infinito come le sue manifestazioni. Di qui il politeismo, dove il numero degli dei è illimitato.
2) Visto attraverso l'anima ragionevole. Dio è duplice, cioè è spirito e materia. Ne nasce il dualismo di Zoroastro, dei Manichei e di molte altre religioni.
3) Visto attraverso l'intelletto puro, è triplice, cioè costituito da spirito, anima e corpo, in tutte le manifestazioni dell’universo. Ne derivano i culti trinitari dell'India (Brama, Visnu e Siva) e la trinità del Cristianesimo (Padre, Figlio e Spinto Santo).
4) Concepito dalla volontà che riassume il tutto, Dio è unico, ed abbiamo così il monoteismo ermetico di Mosè in tutto il suo rigore.
A questo punto, niente più personificazione, niente più incarnazione: emergiamo dall'universo visibile e rientriamo nell'Assoluto. L'Eterno regna da solo sul mondo ridotto in polvere. La diversità delle religioni proviene dunque dal fatto che l'uomo realizza la divinità solo attraverso il proprio essere, che è relativo e finito, mentre Dio realizza in ogni momento l'unità dei tre mondi nell'armonia dell'universo. Quest'ultima applicazione dimostrerebbe di per sé la virtù in qualche modo magica del Tetragrammaton nell'ordine delle idee. Non solo vi si trovavano i princìpi delle scienze, la legge degli esseri e il loro sistema di evoluzione, ma anche la ragione delle diverse religioni e quella della loro superiore unità. Era veramente la chiave universale. Perciò l'entusiasmo di Liside, che ne parla nei Versi dorati. I Pitagorici giuravano in nome di questo grande simbolo:
Giuro in nome di colui che incise nei nostri cuori
la Tetrade sacra, immenso e puro simbolo,
fonte della Natura e modello degli Dei.
Pitagora si spingeva molto più in là nell'insegnamento dei numeri. In ognuno di essi definiva un principio, una legge, una forza attiva dell'universo. Ma diceva che i princìpi essenziali sono contenuti nei primi quattro numeri, perché addizionandoli e moltiplicandoli si trovano tutti gli altri.
L'infinita varietà degli esseri che compongono l'universo è prodotta, così, per combinazioni di tre forze primordiali: materia, anima e spirito, sotto l'impulso creatore dell'unità divina, che li mescola e li differenzia, li concentra e li vivifica. Al pari dei principali maestri della scienza esoterica, Pitagora attribuiva grande importanza al numero sette e al numero dieci. Essendo composto da tre più quattro, il sette rappresenta l'unione dell'uomo e della divinità. È la cifra degli adepti, dei grandi iniziati, ed esprime la realizzazione completa in ogni cosa attraverso sette livelli, rappresenta la legge dell'evoluzione. Il numero dieci, formato dall'addizione delle prime quattro cifre e che contiene il precedente, è il numero perfetto per eccellenza, perché rappresenta tutti i principi della divinità sviluppati e riuniti in una nuova unità.
Concludendo l'insegnamento della sua teogonia, Pitagora mostrava ai discepoli le nove Muse, che impersonavano le scienze raggruppate a tre a tre, che presiedevano al triplo ternario evoluto in nove mondi e formavano, con Hestia, la scienza divina, custode del Fuoco primordiale, la Decade sacra.
*Estratto del testo “I Grandi Iniziati” di Schurè, ed. Laterza