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La figura dell’esperto in TV e la farsa della democrazia

di Stefano Sissa - 30/03/2006

Fonte: Stefano Sissa



 
A livello di comunicazione di massa, soprattutto quella televisiva, vi sono due tipologie principali di persone  tra i non professionisti della TV (conduttori, soubrette, ecc.)  che vengono solitamente interpellate per commentare eventi, situazioni, ecc. Una è la categoria dell’esperto, al quale non è richiesto di portare una memoria personale (poiché è considerato assolutamente neutrale, oggettivo), ma la “pura” e irrefutabile verità della scienza, l’altra è il personaggio tipo “gente comune”, in realtà molto stereotipato oppure opportunamente acconciato e/o strumentalizzato dagli autori della trasmissione; a quest’ultimo è praticamente vietato offrire considerazioni che abbiano pretese oggettivanti o possano valere come parere vincolante sul piano del dibattito civile, in merito a temi rilevanti come la politica, la religione, la sessualità, la salute, la morale, l’ecologia, l’economia generale, ecc. Il personaggio del ‘popolo’ (“uno di noi!”), quando non è un attore o un figurante (e capita di frequente!) va ben controllato. Non sarebbe tollerabile, in virtù della sua icona di “gente come noi” che esprimesse in diretta delle opinioni in contrasto con gli impliciti codici della propaganda disciplinare/sociale. Quando capita  perché a volte capita , il conduttore ha cura subito di introdurre con enfasi elementi marcatori per segnalare come improprie, arbitrarie e stravaganti le cose dette, a volte anche con nette stroncature, in cui l’autoritarismo di fondo è addolcito solo dalla sua maschera populista e da cortesia fittizia.
La situazione indica quanto sia fallace oggi parlare  come spesso si fa  di primato della public opinion, ovvero di possibilità per i cittadini di informarsi tramite i mass media e partecipare così in modo consapevole e determinante alla vita civile del Paese; infatti chi è titolato a parlare di cose realmente significative e ha il diritto di essere preso sul serio è appunto soltanto l’esperto. Ma non l’esperto qualsiasi, bensì quello indicato, autorizzato, sponsorizzato dal circuito corporativo che raduna le categorie di esperti che hanno certificato la loro aderenza e fedeltà al sistema vigente di norme, comportamenti, valori e credenze. Tale sistema deve così essere mostrato come la “naturale” disposizione delle cose, scientificamente accertata e inoppugnabile. In linea di massima, questi circuiti corporativi sono all’interno delle università o di grandi enti pubblici (più di rado privati); spesso sono rafforzati da legami massonici o comunque clientelari (rispetto a partiti, chiesa, grandi industrie, ecc.). Quello degli esperti televisivi è un circuito cui molti aspirano: infatti ogni apparizione comporta un appetitoso ‘gettone di presenza’; inoltre la popolarità televisiva produce una notevole ricaduta sulla carriera professionale (lo psicologo venderà dieci volte tanto i libri che vendeva prima, il ricercatore, frequentando i salotti televisivi, potrà stringere relazioni con uomini potenti che potranno sovvenzionare le sue ricerche, ecc.). Molti dunque sono quelli che desiderano essere cooptati, e che quindi son ben disposti ad essere  alla prima opportunità che si presenta loro  molto affidabili e accondiscendenti, per essere così nuovamente interpellati.
Al comune cittadino è invece negata la significatività; può soltanto incarnare il ruolo preconfezionato che viene richiesto in quel momento dalle esigenze della produzione (broadcasting) e dalla agenda politica delle istituzioni (government). Questo ruolo può essere di due tipi:
a)      il prototipo della normalità, che riproduce la sensibilità e l’esperienza di vita dell’uomo medio, soltanto un po’ ‘caricata’ e macchiettistica, per avere più presa televisiva; il suo compito è quello di confermare la norma in termini quantitativi (“anche lui è come me!”);
b)      il ‘caso umano’ di turno (la persona che ha molto sofferto, la vecchia abbandonata dai figli, la moglie del carabiniere ucciso a Nassyria, l’immigrato che finalmente ha trovato una casa e un lavoro e ringrazia la bontà degli italiani, ecc.) che invece esprime una qualche eccezionalità, situata però su di un piano meramente episodico, che non tocca in alcun modo gli aspetti strutturali della società, della cultura, ecc.; il suo compito è di confermare la regola attraverso l’eccezione (“ma pensa un po’ che storia: poteva capitare anche a me!”).
Comunque sia, la persona normale in TV non può esprimersi in modo pertinente a nulla che trascenda la singolarità inessenziale della sua personale life-experience. Può parlare in modo oggettivante solo chi ha le competenze tecniche riconosciute dall’istituzione addomesticata.

Figure interessanti di esperti sono quelle cui viene socialmente attribuito un particolare potere:
·       In primis il medico (soprattutto l’oncologo o il genetista perché esprimono il massimo della potenza tecnica: rispettivamente, chi può negare la morte, chi potrà presto ‘fabbricare’ la vita); uno dei motivi del suo successo risiede forse nel fatto che tutti avvertono, magari solo inconsciamente, l’intrinseca patologia della nostra forma di vita sociale e vogliono allontanarne l’angoscia che ne deriva, mitologizzando la tecnica medica che ci potrà “rendere immortali”;
·       il nutrizionista, che sa i segreti per cui si è obesi o anoressici, due facce della stessa medaglia della civiltà paranoica del consumo capitalistico, della solitudine, del disagio, dell’ansia;
·       il giurista che, in virtù della possibilità di maneggiare l’ormai enorme ed intricatissima mole di codici e di motivi per cui ad esempio una persona può essere multata o incarcerata anche se innocente, è visto quasi come un mago, un alchimista; l’unico capace di districarsi nel labirinto kafkiano di leggi e tribunali;
·       l’economista, che serve alternativamente a) per rassicurare il cittadino medio che il sistema economico non andrà a picco e che quindi si deve continuare a consumare e comprare azioni, b) per spiegare i motivi per cui gli interventi sulla spesa pubblica sono “inevitabili”, in quanto prodotti da circostanze che prescindono dalla volontà politica;
·       il politologo o l’esperto militare che devono ad un tempo rassicurare che la nostra civiltà non crollerà nell’impatto con altre (gli islamici ad esempio), ma anche che i tempi sono difficili ed è necessario tutelare la sicurezza aumentando il controllo e i mezzi tecnologico-militari in grado di mantenere la pace (ad esempio “bombe intelligenti”, telecamere posizionate in ogni dove, ecc.);
·       il sacerdote, inteso come esperto delle questioni dell’anima e della morale, il cui intervento solitamente si basa su presupposti di valore che  al di là dell’essere condivisibili o meno  non possiedono alcun criterio di scientificità;
·       l’imprenditore, che è un esperto sui generis: egli infatti non proviene come tutti gli altri dal mondo universitario (può essere laureato, ma non è un professore), ma è strutturalmente congeniale al medesimo apparato di sapere/potere di cui sono rappresentanti i “professori”; è particolarmente interessante, poiché è praticamente l’unica figura cui viene concesso di fare considerazioni che siano allo stesso tempo il resoconto della loro esperienza personale (i sacrifici del loro papà per farli studiare all’università, come sono arrivati al successo, come sono riusciti a contrastare la concorrenza cinese, licenziando tutto sommato pochi operai, ecc.) e una valutazione oggettiva/scientifica dei processi economici e sociali in atto a livello anche internazionale. Questa prerogativa degli imprenditori è significativa al massimo grado, poiché indica che l’unica tipologia di persona cui è possibile ricomporre la scissione tra vita personale e oggettività delle cose del mondo è quella del capitalista.


Fare “cultura” in senso proprio, ossia escludendo gli aspetti più squisitamente di costume (la moda, la musica pop, ecc.) al di fuori di questi canali è praticamente impossibile, perché il livello di integrazione del sistema capitalista-tecnocratico ha raggiunto ormai i massimi livelli. Oggi anche soltanto avere una sala civica dove fare un dibattito è impresa considerevole, a meno che non si abbiano soldi per pagare affitti, particolari raccomandazioni e appoggi, ecc.
Per ora sembra che gli unici spazi siano quelli della rete Internet, ma non è probabile che la libertà di espressione vi duri ancora molto. Già ci sono segnali di irregimentazione. Ad esempio, in tempi recenti, il sito di informazione indipendente Indymedia si è riempito di commenti antisemiti o presunti tali, scatenando una campagna giornalistica contro i mezzi di comunicazione antagonisti, rei di sospetto odio razziale. Il sospetto vero, invece, è che si tratti di un’operazione guidata (chiunque può pubblicare contributi su questi siti, anche i servizi segreti), per screditare le uniche aree critiche esistenti in un mare di consenso che viene pilotato anche soltanto grazie all’ormai intrinseco funzionamento sistemico dell’apparato mediatico.