Lo sviluppo? E' nascosto nel paesaggio
di Franco Monteforte - 01/04/2006
Fonte: geofilosofia.it
Luisa Bonesio, “Oltre il paesaggio. I luoghi tra estetica e geofilosofia”, Arianna Editrice
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Un libro controcorrente della filosofa valtellinese docente all’università di Pavia
LO SVILUPPO? È NASCOSTO NEL PAESAGGIO
Per Luisa Bonesio in montagna va azzerato tutto e riscoperti luoghi e tradizione
Da tempo nel lessico corrente la parola progresso è stata sostituita da sviluppo. Ma quando pensiamo allo sviluppo è soprattutto, se non esclusivamente, a quello economico che pensiamo, col sottinteso che sviluppo economico e progresso coincidano. Ma non sempre è così. Lo sviluppo in montagna, ad esempio, pensato in termini esclusivamente economici produce la distruzione dell’ambiente e del paesaggio alpino e la sua inevitabile omologazione alla cultura urbana di pianura. La montagna, infatti, ha una propria identità geografica e culturale al cui centro sta il paesaggio frutto di una lunga tradizione in cui si esprime un rapporto non di conflitto, ma di armonica integrazione fra l’uomo e la natura. Il rispetto della tradizione è dunque il primo requisito per un vero sviluppo in montagna. Ma tradizione non significa necessariamente museificazione del territorio, stasi economica, nostalgia del passato, ma significa sviluppo di attività, come quelle agrarie, che nascono da un rapporto diretto con la natura, significa costruire case che entrano in rapporto armonico con lo spazio circostante e siano espressione soprattutto di un bisogno reale, di una necessità di vita, perché è la vita che trasforma un territorio naturale in un “luogo”, che dà cioè ad esso senso e significato. Per dirla con Pier Luigi Cervellati, insomma, in montagna “la tradizione è un’innovazione riuscita.” E questa è anche la convinzione di Luisa Bonesio, valtellinese, docente di estetica all’università di Pavia, cui dobbiamo saggi penetranti su Nietzsche, Spengler e Jünger, critici fra i più radicali della modernità, ma cui dobbiamo anche una vigorosa ripresa, in chiave geofilosofica, degli studi sul paesaggio, in cui esso sta al centro della riflessione sulla società e sull’uomo. Il paesaggio, infatti, per dirla con Spengler è “il secondo volto dell’uomo”, quello del suo spirito e della sua storia fissati nella natura. Questo volto è oggi minacciato per la Bonesio dalla prevalenza pressoché assoluta nel mondo globalizzato dell’economico sul culturale, cioè della spasmodica ricerca di un benessere materiale che vede nella natura solo un ostacolo e un limite da superare e si traduce perciò continuamente in disagio spirituale, fondato com’è sullo sradicamento e sulla perdita dei “luoghi” come punto di riferimento indispensabile dell’esistenza e di produzione di senso per la vita. Gioca certamente in tutto questo l’idea che il rapporto primario con la terra e con la natura sia il fondamento di ogni cultura e gioca la forte avversione a ogni forma di nichilismo per cui nulla ha valore e tutto è possibile, ma gioca anche sicuramente l’origine montanara e valtellinese della Bonesio, che trapela in più punti del libro come quando ricorda lo sciagurato abbandono nel recente passato, in nome di un malinteso sviluppo, della coltivazione del grano saraceno, un sapere antico che oggi, nel momento in cui se ne è riscoperto il valore dobbiamo rapidamente riapprendere. O come quando ricorda la vicenda della centrale di teleriscaldamento “di un paese delle Alpi”, in cui è per noi facile riconoscere Sondalo, paese natale della Bonesio. Qui per la centrale che brucia legno è stato sacrificato, con il consenso degli ambientalisti, un grande e antico prato, elemento distintivo dell’identità e della memoria del paese, in cambio della pulitura dei boschi e della manutenzione dei sentieri. Un esempio questo che per Luisa Bonesio dimostra come la prospettiva ecologica, centrata sull’ambiente, a differenza di quella geofilosofica, centrata sul rapporto uomo-natura, esprima una visione riduttiva che non riesce “a comprendere la logica culturale ed epocale che fa sì che il rapporto con la natura possa essere concepito in termini di dominio e di intervento indiscriminato”.
Insieme alla critica dell’ecologismo, l’altro punto forte del libro mi pare la sostanziale rivalutazione del Romanticismo, non solo perché dal Romanticismo è nata storicamente la moderna sensibilità estetica verso la natura e la montagna, ma perché esso è stato anche la prima forma di “reazione etica alla distruzione della natura e al degrado dei paesaggi provocato dall’incipiente industrializzazione.” La Bonesio non si nasconde che il Romanticismo sta anche all’origine della deriva irrazionalistica e misticheggiante nei confronti della natura e di tanti stucchevoli stereotipi kitsch sulla montagna, ma il suo merito maggiore sta per lei nell’aver mostrato che l’uomo è la natura formano un tutto vivente, che anche la natura ha un’anima e un’espressività intraducibili nel linguaggio umano, che costituiscono il vero limite all’arbitrio umano e alle pretese di dominio della scienza e della tecnica. Il logico corollario è perciò di “demolire letteralmente quanto costituisce solo sfregio estetico e sprezzo dei luoghi [...] una necessaria opera di pulizia, una preliminare tabula rasa che restituisca molti luoghi alle loro intrinseche proprietà formali, simboliche e ambientali, senza aspettare che quest’opera sia attuata qua e là dalla montagna stessa”. Un pensiero radicale (ma ogni vero pensiero va sempre alla radice dei problemi), che si scontra con il corso reale delle cose assumendo non i colori dell’utopia, ma il sapore della tragicità, perché in esso c’è qualcosa che tutti noi sentiamo vera, ma che siamo impotenti a tradurre in realtà, paralizzati da un destino che ci sovrasta e ci domina.