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Triora: 400 anni fa

di Ippolito Edmondo Ferrario - 06/11/2009

Fonte: triora

I FATTI

 

Numerosi processi alle streghe ebbero luogo nella Liguria Occidentale e il più celebre di tutti rimane ancora oggi Triora. Secoli sono passati da allora,ma il ricordo del borgo dell’alta valle Argentina quale luogo stregonesco rimane sempre vivo;le pubblicazioni in merito sono state numerose: nel 1898 rinveniamo un primo libro che cerca di far luce sul processo e si tratta di un opuscolo intitolato “Le streghe di Triora in Liguria” del Prof. Michele Rosi; un altro scrittore che affronta l’argomento nel 1939 è Siro Attilio Nulli con un capitolo dedicato a Triora nel suo “I processi alle streghe”. A questi due si aggiunge Padre Francesco Ferraironi che in un epoca di poco successiva torna ad indagare la questione.

Cominciamo a parlare dei luoghi trioresi frequentati dalle “bagiue” ;vi era per prima la Ca Botina,fuori dalle mura dell’abitato e definita dallo stesso Ferraironi “orrida e deserta”;è qui che si sarebbero svolti i rituali che vedevano le streghe palleggiarsi allegramente i bambini in fasce tra gli abitati di Triora e quelli di Molini di Triora e di Andagna. Bisogna comunque sottolineare che la Ca Botina era la zona più povera del paese ,quella al di fuori della cinta muraria e dunque maggiormente esposta ai pericoli;coloro che vi abitavano,donne comprese, si erano dovute abituare a condizioni di vita certamente precarie e difficili.(Già quì si intravede una spaccatura sociale presente nel borgo,tra gli strati più umili e le famiglie nobili).Altre località frequentate dalle bagiue erano la fontana di Campomavùe (ancora oggi rimasta fuori dall’abitato,in una zona tranquilla e silenziosa) e la fontana detta della Noce,all’ombra appunto di un grande albero di noci. Si crede però che le streghe circolassero indisturbate anche all’interno del borgo e nella tradizione si asseriva che abitualmente si ritrovassero addirittura in quella via chiamata Dietro la Chiesa,a pochi passi dalla parrocchia.Numerosi sono poi i luoghi di convegno nelle vicinanze di Triora:uno per tutti è il bellissimo LaguDegnu,remota località in fondo al Cian di Vunda,dove si trova uno smeraldino lago artificiale formato dal rio Grugnardo che s’immette nel torrente Argentina.

Ma torniamo con il pensiero proprio all’anno del processo,il 1587. Una grave carestia imperversava già da due anni e le condizioni del popolo non erano certo delle migliori. L’acuto Ferraironi riferisce che nello stesso anno anche Roma fu afflitta dalla stessa piaga che produsse migliaia di vittime;i più poveri abbandonavano la città per raggiungere le campagne dove morivano di stenti.Lo storiografo triorese pone l’accento sul fatto che all’epoca Triora,per la sua posizione remota tra i monti di Liguria,vivesse ancora in una dimensione dominata dalla superstizione e da arcaiche credenze,tagliata fuori dal fervore illuminista. Non occorse molto perché le voci si trasformassero in accuse e le donne che abitavano alla Ca Botina venissero additate come streghe e dunque responsabili della carestia (le accusate non erano solo le più umili,ma anche quelle che vivevano in condizioni degradate,sfuggendo alle regole della comunità).

Il podestà, in carica al tempo, era tale Stefano Carrega,forestiero come ogni podestà;fu il Parlamento locale a chiedere a quest’ultimo di procedere contro le stesse.
Nell’ottobre del 1587 giunsero così a Triora il sacerdote Girolamo Del Pozzo,in veste di Vicario del Vescovo di Alberga (Il borgo ne dipendeva come curia) e un vicario dell’Inquisitore di Genova.I due celebrarono una messa nella chiesa della Collegiata e durante la predica, secondo le prescrizioni,invitarono chi sapeva a denunciare i fatti.La predica ebbe i suoi tragici effetti e le accuse furono molteplici e dettagliate.

Il processo dunque,così voluto a pieni voti dal Parlamento locale (“La volontà di questo populo è sempre stata et è che cotali malefiche totalmente si estirpino et su sradichino da questi paesi,e tutti in alta voce in parlamento congregati hanno con acceso animo gridato et di continuo gridano che si estirpino,et non solo hanno voluto che si spendi scudi 500 per questo fatto,ma ancora vogliono che spendisi le facoltà loro et le campagne,prima che si manchi di questa impresa” da una lettera degli Anziani del luogo al Doge di Genova),ebbe inizio.

I due vicari fecero preparare della case private da adibire a carcere e si procedette all’arresto di venti donne.Il Ferraironi identifica alcune delle case utilizzate e che ancora sono visibili:la casa detta del Meggia,situata in piazza San Dalmazio,ma che poggia le fondamenta nel vicolo detto Rizzetto;da questo si scorgono infatti delle finestre munite di pesanti inferiate.La stessa casa è anche chiamata Ca’ de baggiure (casa delle streghe) e Ca’ di spiriti.Sarebbero proprio le inferiate a confermare la tradizione in quanto assenti in tutte le altre abitazioni.Dal processo scaturirono le prime accuse contro ben tredici donne e un fanciullo.Si procedette alla tortura e le accuse estorte durante gli interrogatori portarono in carcere altre donne.Nel popolo cominciò a serpeggiare un certo malumore,come se il tanto invocato intervento delle autorità cominciasse a spaventare per la ferocia.Infatti nel 1588,e precisamente a gennaio, altre trenta donne furono incarcerate e questa volta non c’era solo il coinvolgimento dei ceti più umili.I tormenti non risparmiarono nessuna,come riferiscono sempre gli Anziani che parlano appunto di “matrone”.

E a questo punto intervenne proprio il Consiglio degli Anziani(di cui facevano parte elementi delle famiglie più importanti e ricche del borgo,aristocratiche e non) per porre rimedio alla tragedia,visto che i primi morti gettavano ombre sul processo: la sessantenne Isotta Stella, morta agonizzante dopo le torture,e un’altra donna,caduta da una finestra in seguito ad un tentativo di fuga.
Alcuni uomini del consiglio si rivolsero al Parlamento locale chiedendo che il governo di Genova venisse avvertito dei fatti.La richiesta fu purtroppo respinta.Lo stesso Podestà rifiutò di scrivere al Doge e fu così che gli Anziani lo fecero in prima persona, chiedendo che il processo venisse sospeso perché non garantiva più alcun tipo di giustizia.Gli Anziani nella loro lettera sottolinearono come le accuse nascevano dall’uso indiscriminato dei tormenti e così riferirono sul caso di Isotta Stella :”…dopo essere stata tormentata più volte alla corda,nonostante che fusse vecchia più di anni sessanta,un giorno fra li altri quasi disperata,chiamato a sé il vicario di mons. vescovo confessò aver complici di quanto era sospetta,perché indi a presso nodrita di pane e acqua,straciata di tormenti, se ne è morta in confessa et senza ordini di chiesa”.

Gli Anziani non si fecero neppure scrupolo di raccontare a quale trattamento andavano incontro le poverette “con darli corda per lungo spatio e puoi fuoco alli piedi per longo spatio anchora;appresso le fanno vegliare per più d’hore quarantacinque incominciando dalla sera,oltre averle fatte con rupitorii pelare in tutte le parte del corpo;ne è questo populo redatto in desperatione maxime che s’intende che a quest’hora vi siino più di dugento persone nominate;e nel modo che sino a qui si è fatto,prima che si finisci saranno nominate la più parte del populo et forse tutta”.Gli Anziani si lamentarono anche con i due vicari chiedendo di liberare le incarcerate; si sottolineò ad esempio lo scempio fatto con una delle due donne morte che “si gettò giù d’un barcone altissimo et restò stropiata;et così stropiata fu fatta andare alla curia minacciandola darline (di bastonarla);e tre giorni dopo se ne è morta”.Gli Anziani nella lettera al Doge accusavano apertamente i vicari e anche il rozzo Parlamento locale,prevedendo che presto dal paese sarebbero sfuggiti in molti per sottrarsi alla crudeltà del processo.

L’acuto Ferraironi però sottolinea un particolare importante;
il consiglio degli Anziani si mosse così aspramente solo quando le donne accusate furono quelle dei ceti importanti;si può supporre che se il processo fosse rimasto arginato alle donne della
Ca botina nessuno sarebbe intervenuto.
La situazione è molto chiara:il Parlamento è composto da gente ignorante che davanti alla carestia non sa darsi spiegazioni razionali;così subentra la figura delle strega,dell’emarginata e dunque facilmente incolpabile e punibile perché non ha mezzi per difendersi.
Gli Anziani sono i primi a scorgere la perversione del processo imbandito in cui è lo stesso inquisitore a suggerire alle accusate le colpe.I fatti proseguono: il 16 gennaio 1588 il Doge informa il vescovo di Albenga,dietro la lettera ricevuta dal consiglio degli Anziani,di fare luce sui fatti e di eventualmente procedere.Di riflesso il vescovo scrive immediatamente al proprio vicario chiedendo spiegazione dei fatti.Il 25 gennaio il vescovo di Albenga fa giungere al Doge una lettera,ricevuta quattro giorni prima,in cui Girolamo del Pozzo si discolpa e difende il proprio operato.
Il Del Pozzo nella sua lettera comunque prometteva di non imbastire nuovi processi e di limitarsi ai primi per i quali era giunto a Triora. Gli stessi Anziani accettarono il compromesso e il 20 gennaio scrissero nuovamente a Genova dichiarandosi soddisfatti di questa nuova posizione.

Dopo questo chiarimento tra il vescovo,il Doge e gli Anziani il caso sembrò rientrare.Leggendo la lettera in cui il vicario Del Pozzo prende le proprie difese si rimane stupiti di come certe colpe evidenti vengano legittimate dagli Anziani,finalmente certi che la classe benestante non verrà d’ora in poi più coinvolta nel processo.Il Del Pozzo così giustifica la morte di Isotta Stella,negando che potesse avere settant’anni (nella loro lettera gli Anziani dicevano che ne aveva più di sessanta),ma allo stesso tempo rivendica il diritto di averla torturata perché secondo le leggi anche un’anziana se accusata di lesa maestà,soprattutto divina,poteva andare incontro ai supplizi.Per quanto riguarda l’altra donna caduta dal balcone sostiene che non fosse fuggita per le torture alle quali non era stata neppure sottoposta,ma “…una notte,poco doppo che fu presa,tentata dal diavolo si procurò la fuga con guastare una sua veste che aveva indosso e accomodarla a guida di benda,ma non essendole riuscito il disegno, cascò subito che fu fuori dalla finestra et essendosi stropiata con pericolo di vitta, confessò subito tutto e chiedendo misericordia a Dio sen’è poi morta ultimamente confessa et per quanto si poteva scorgere contrita”.

Particolare è la posizione del podestà Stefano Carrega che anch’egli scrive al Doge,difendendo i processi alle streghe e dicendo che “la volontà di questo populo è sempre statta et è che cotali malefiche totalmente si estirpino et si sradichino da questi paesi”.
Della stessa Isotta Stella dice che “gridando ad alta voce tutto il giorno il diavolo,et domandandolo in suo ajuto se ne è morta in prigione in confessa et senza sacramento della chiesa”.
Lo stesso sostiene che fu torturata ,ma che la donna,aiutata dalle sue arti magiche, sopportava il supplizio arrivando addirittura ad addormentarsi. Per la donna caduta dal balcone il Carrega sostiene la tesi del demonio,la stessa dell’inquisitore.
Il 10 e l’11 gennaio gli inquisitori partono da Triora,lasciano le accusate in carcere.

Il governo genovese non si era del tutto convinto della regolarità del processo a Triora e decise di interessarsene più da vicino ,visto che riguardava cittadini della repubblica.Con quella partenza lo stesso Parlamento, che fino a quel momento aveva sostenuto il processo,vide che c’era qualcosa che non andava;le donne rischiavano di rimanere in prigione per molto tempo e la questione in sospeso.Il Parlamento si rivolse anch’esso a Genova,al Doge,chiedendo che intervenisse per “riveder li processi,che questo populo per ogni miglior modo di giustizia e con sicurezza resti purgato di tale eresia,acciocché siano castigate le colpevoli et liberate e non travagliate le innocenti”.

Essendoci di mezzo poteri molto forti la questione rimase bloccata per alcuni mesi.Gli inquisitori erano partiti probabilmente per riferire dei loro atti ai propri superiori,mentre dall’altra parte il governo del Doge si contrapponeva al vescovo di Alberga chiedendo chiarezza.Le sole a rimetterci furono le donne imprigionate.Nei primi giorni di maggio giunse a Triora l’Inquisitore Capo per visitare le donne in carcere e accertarsi della situazione.Tutte,eccetto una,negarono quanto avevano ammesso prima.

Rimasero tutte in carcere,eccetto una ragazzina di 13 anni che fu lasciata libera.Il solo sblocco di una situazione sempre più tragica e stagnante ci fu nel giugno del 1588:Genova mandò a Triora un commissario speciale,Giulio Scribani che Luigi de Bernardi nel suo”Storie di streghe” (Edizioni Polaris,Sondrio) non esita a definire “lucido e crudele”.Lo Scribani portò con sé una ventata di terrore in quanto giunse,come lui stesso asserì,” per smorbar di quella diabolica setta questo paese che resta quasi per tal conto tutto desolato”.In principio la sua permanenza a Triora sarebbe dovuta durare non più di due mesi,ma sarà lo stesso a chiederne una proroga.

In quel periodo il Podestà viene rimosso e sostituito da G.B.Lerice,mentre si ordina che le donne incarcerate vengano trasportate a Genova (di queste sole tre appartengono alle famiglie più importanti:i Giauni,gli Stella, e i Borelli.Lo Scribani dunque disillude le aspettative generali e giunge a Triora con la volontà di trovare nuove streghe.Come i due precedenti vicari cominciò nuovi interrogatori, procedette a incarcerazioni e sottopose al supplizio del fuoco molte innocenti. Le accuse che egli muove alle donne sono sempre sostanzialmente tre: reato contro Dio, commercio con il demonio, omicidio di donne e bambini.

L’opera dello Scribani interessò anche paesi vicini a Triora:venti donne accusate a Castelvittorio,due a Montalto,poi altre a Badalucco,per arrivare fino a Porto Maurizio e Sanremo. Il 22 luglio lo Scribani spedisce a Genova le sue richieste di condanna a morte sul rogo per quattro donne di Andagna. A questo punto il governo genovese di fronte a una richiesta così grave ed esplicita si ritrovò perplesso,anche perché lo Scribani si arrogava di accusare per delitti materia solo ed esclusivamente dell’Inquisizione.La repubblica si affida dunque a Serafino Petrozzi,in veste di auditore e consultore. Quest’ultimo redige la sua relazione opponendosi allo Scribani e alla sua proposta di pena;dice che la confessione non è sufficiente per suffragare l’accusa.Da questa analisi sortiscono i primi effetti.La missione dello Scribani viene prorogata di un mese,ma gli si raccomanda solo di occuparsi della giustizia secolare,tralasciando le accuse materia dell’Inquisizione.Gli si ricorda anche di non procedere negli interrogatori suggerendo le accuse e soprattutto gli si raccomanda moderazione nell’agire.Per quanto riguarda le supposte streghe di Andagna e altre di Bajardo gli si chiede di fornire prove certe..Lo Scribani risponderà qualche giorno più tardi giustificandosi dell’impossibilità di addurre altre prove in quanto i delitti sarebbero stati consumati molto tempo prima,mentre altri sarebbero avvenuti fuori dallo Stato (Ad esempio nel Finale,comprendente i comuni di Finale Ligure,Finale Borgo,Finale Marina,Finale Pia o ad Oneglia,facente parte del principato dei Savoia).

Allo Scribani non rimane che rifare i processi e lo fa celermente,arrivando il 30 di agosto nuovamente alla condanna a morte per le quattro streghe di Bajardo.Per quanto riguardava la sorte di un’altra ragazza dello stesso paese,egli in un primo tempo propose che fosse messa in convento,poi si convinse invece della pena di morte come per le altre (lettera del 31 ottobre).Il governo di Genova si oppose e assegnò un curatore alla ragazza che nel frattempo era imprigionata da mesi.Il colpo di scena però arriva poco dopo,quando al Petrozzi vengono affiancati altri due giudici e tutti e tre danno incredibilmente ragione allo Scribani.Il Nulli imputa questo cambiamento repentino di parere proprio a causa dell’affiancamento degli altri due giudici;probabilmente influenzato dagli altri due anche il Petrozzi si convince delle ragioni dello Scribani.I due nuovi commissari aggiunti sono:Giuseppe Torre (podestà,ma non si conosce la località che amministra) e Pietro Alaria Caracciolo.Appena riunitisi i tre giudici convalidano le accuse e danno il via libera alla messa al rogo:si tratta di Peirina di Badalucco (definita dallo Scribani “malefica confessa et convinta”) e di Gentile di Castelvittorio (nella cui casa,durante una perquisizione furono rinvenuti due vasi d’olio diabolico). Quando dunque sembra di essere giunti alla drammatica conclusione (condanna per impiccagione e incenerimento dei resti) ecco che interviene il Padre Inquisitore di Genova che chiedendo di rispettare la sua carica fino a quel momento estromessa dal processo.

Infatti spettava a lui e solo a lui,in quanto rappresentante dell’Inquisizione di Roma,giudicare i crimini delle streghe.Avviene così il trasporto da Triora a Genova delle cinque accusate,che partono dal borgo nell’ottobre del 1588.Viaggiarono per mare e una volta arrivate a Genova vennero messe nelle carceri governative,in quanto l’Inquisizione non aveva posto sufficiente.Queste si andarono ad aggiungere alle prime tredici già incarcerate e lì trasportate.Delle prime tredici non si conosce la sorte e c’è la possibilità che alcune fossero state rimandate già a Triora in quanto ritenute innocenti.E’ una fase particolare del processo,caratterizzata da un acceso attrito fra poteri istituzionali che si contrappongono.La repubblica di Genova ha il ruolo di carceriere delle innocenti e il Doge non prende una posizione specifica,ma si mantiene neutrale,relegando il compito di giudicarle ai poteri competenti.L’unica cosa che fece fu quella di sollecitare la Congregazione del Santo Offizio in quanto la salute delle donne era cagionevole,considerate le condizioni in cui erano tenute.E’ l’8 febbraio del 1589 quando il Doge scrive che “si vanno consumando nonostante che da noi per quel che merita la condition loro le sia fato provedere di tutto il necessario,et che già tre di loro sono morte”. Le rimostranze giacciono inascoltate,e verranno ripetute ad aprile.Le seconde vengono presentate attraverso il cardinale Sauli,raccomandandosi “ch’era ormai tempo di finire i processi contro le maliarde, e di liberare le carceri da tale impedimento”.

Il 23 aprile 1589 giunge la svolta: l’ Inquisizione ordina di terminare il processo,attenendosi al principio “di conservare la vita a sudditi della Signoria”.Dalla lettera si deduce che si sarebbe poi proceduto alla liberazione delle tredici incarcerate (non più diciotto in quanto cinque erano morte durante la carcerazione).Infatti dalle cronache sappiamo che tre erano perite in febbraio e le altre due in aprile o maggio.Si presume dunque che le sopravvissute inviate a giugno furono rimandate libere a Triora,ma non ne abbiamo certezza.

Qui di seguito riportiamo un breve schema riassuntivo del Ferraironi:

-Sul finire dell’estate del 1587 si additano alla giustizia alcune supposte streghe di Triora,le quali vengono incarcerate.

-Ai primi di ottobre,giungono sul luogo due inquisitori,che erano mandati:uno da Genova (Inquisizione) ed uno da Albenga (cioè del vescovo diocesano).

-Nel gennaio 1588 gli Anziani di Triora si lagnano con Genova nel modo con cui sono condotti i processi di stregoneria.

-Genova comunica al vescovo le lagnanze che le sono pervenute;ed il vescovo dà assicurazione che verrà preso rimedio contro ogni inconveniente;e intanto il suo vicario si discolpa,ed il podestà di Triora giustifica l’opera dei due inquisitori.

-Ma la procedura dei processi zoppica ancora,e perciò ai primi di maggio si reca sul luogo il Capo Inquisitore di Genova.

-Il giorno 8 giugno,essendo ripartito il Capo Inquisitore,giunge in Triora un commissario straordinario per definire la faccenda.Tredici streghe sono inviate nelle carceri di Genova.

-Il detto commissario inquisisce su altre streghe,e propone a Genova la condanna di cinque di queste.Ma il processo che ne aveva istruito il commissario viene fatto rivedere:prima da un solo giudice,e poi da altri due aggiunti.E tutti e tre confermano le sentenze di morte già pronunziate;e anche il senato di Genova approva.

-Ma interviene il capo inquisitore di Genova (settembre 1588),e mette il suo veto,poiché spetta alla Congregazione del S.Offizio il pronunciare la sentenza.

-Cinque streghe vengono mandate a Genova (ottobre) e vi sono rinchiuse nelle carceri con le altre che vi erano già da quattro mesi.

-I processi sono inviati a Roma;ma la decisione non avviene che verso la fine d’agosto dell’anno successivo.E intanto,alcune streghe (tre delle prime tredici,e due del secondo gruppo) se ne morirono nelle carceri ;e le altre,forse (poiché non risulta con certezza,per mancanza di documenti) furono mandate libere.

-Dal S.Offizio è scomunicato chi aveva istruito il processo di condanna delle streghe,per essersi ingerito in cose spettanti all’autorità ecclesiastica;ma viene concessa l’assoluzione.