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Gentile e l’ora di religione. Sì ma solo nelle elementari

di Sergio Romano - 06/11/2009



Lei ha sostenuto che la Chiesa avrebbe chiesto e ottenuto l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole italiane.
Se questo è vero sarebbe però utile ricordare come l’insegnamento della religione fosse stato già introdotto dalle riforme gentiliane della scuola, le quali non possono, data la statura intellettuale del proponente, essere liquidate come semplice tappa di avvicinamento alla Conciliazione, tanto più che Gentile stesso fornì ripetutamente motivazioni filosofiche della sua scelta pedagogica. Il problema era tanto sentito tra i cattolici italiani che Alcide De Gasperi, nel primo dopoguerra, caldeggiava il mantenimento di tale insegnamento nelle scuole delle terre redente, ove era previsto in virtù della normativa Imperiale al riguardo, la quale però prevedeva, come a Trieste, anche l'insegnamento della religione israelitica.
David Rettura 


Caro Rettura, 
Il problema dell’insegna­mento della religione nel­le scuole elementari fu concretamente affrontato quando Benedetto Croce di­venne ministro della Pubbli­ca istruzione nel governo di Giovanni Giolitti fra il 1920 e il 1921. Il filosofo era convin­to che la scuola elementare non potesse essere «neutra» e che la religione cattolica, se i genitori ne desideravano l’insegnamento, potesse esse­re «appaltata» ai sacerdoti. Era la naturale reazione di un liberale a cui sembrava che lo Stato, nelle questioni che non erano di sua diretta responsa­bilità, facesse un passo indie­tro e garantisse ai cattolici una sorta di «autogestione». Gentile, che in quel momen­to era il più intimo consiglie­re di Croce, riteneva invece che l’insegnamento della reli­gione fosse una sorta d’intro­duzione allo studio della filo­sofia e che lo Stato, quindi, dovesse tenerlo saldamente nelle sue mani.
Il passaggio di Croce al pa­lazzo della Minerva (dove era allora il ministero) durò sol­tanto dodici mesi, dal giugno 1920 al giugno 1921, e il com­pito della riforma cadde final­mente, dopo la formazione del primo governo Mussoli­ni, su Giovanni Gentile. A proposito della natura e dei compiti della scuola elemen­tare il filosofo siciliano non aveva dubbi. Disse che dove­va essere «aderente al senti­mento, all’esperienza, alle tendenze, ai costumi, alla lin­gua, all’anima del popolo, reli­giosa insieme e poetica, lega­ta alle forme venerande delle credenze tradizionali, ma aperta e pronta alle suggestio­ni e ispirazioni della poesia e dell’arte che sorgono sponta­nee dalla psicologia più inge­nua e sognante della moltitu­dine dei fanciulli». La religio­ne quindi sarebbe stata inse­gnata come mito, favola, rac­conto poetico. Sarebbe stata cattolica perché il cristianesi­mo romano era la forma stori­ca della spiritualità italiana. Ma avrebbe lasciato il posto alla filosofia non appena il bambino fosse divenuto ado­lescente.
È inutile dire che questa im­postazione non poteva piace­re alla Chiesa. Ed è altrettanto superfluo ricordare che Genti­le fu contrario al Concordato. In un discorso a Bologna, nel 1926, disse: «Lo Stato (...) contiene e garantisce tutti i valori spirituali, la religione compresa, né può ammette­re, senza spogliarsi d’ogni principio di sovranità, potere superiore». Gentile non pote­va ignorare che il governo sta­va negoziando con la Santa Sede la «conciliazione», ma sperò sino all’ultimo momen­to di evitare quella che a lui sembrava una resa dello Sta­to alla Chiesa. Perdette la par­tita l’11 febbraio 1929.