Delfini: un massacro di sangue
di Giovanna Di Stefano - 11/11/2009
A Taiji, in Giappone, ogni anno, in nome di una tradizione di un patrimonio ancestrale, vengono uccisi 3000 delfini da settembre a marzo. Un vero business che costa la vita di questi splendidi animali vittime di un orrore inspiegabile.
I delfini in natura non sono detenuti, soggiogati e forzati, così come spesso, invece, l'uomo li costringe a vivere
Gli animali vengono dapprima adescati con stratagemmi che mirano a disorientarli: i pescatori cominciano a battere i remi sull’acqua creando una sorta di "muro di suono" che sconvolge e disorienta i delfini attirandoli inevitabilmente storditi dentro le reti, con cui vengono trascinati in un’insenatura naturale poco distante da Taiji e lì poi massacrati a colpi di coltelli, fiocine e lame. I delfini macellati in questo modo brutale prima di morire agonizzano penosamente, con il corpo squartato si dibattono impotenti tra enormi sofferenze. Il sangue in pochi attimi si riversa nella stretta lingua di mare di questa insenatura che si tinge di rosso.
“Avete mai visto un delfino suicidarsi? Io sì. È arrivato ferito, dietro di sé lasciava una scia di sangue. Ha cominciato a scagliarsi contro gli scogli. Una scena orribile. Alla fine non è più riemerso. Penso gli avessero appena ucciso la mamma. Era disperato, urlava, urlava. Poi il silenzio. E la gente, intorno, che rideva. Di lui, e di noi che piangevamo. Sono ancora sconvolta. L'acqua era tutta rossa. Sono dei barbari assassini”.
Gli animali vengono dapprima adescati con stratagemmi che mirano a disorientarli: i pescatori cominciano a battere i remi sull’acqua creando una sorta di "muro di suono" che sconvolge e disorienta i delfini. Foto tratta da L'espresso/Multimedia
Ma nonostante i cacciatori giapponesi, supportati dalla polizia, cerchino in tutti i modi di impedire l'accesso (tra l’altro illegalmente) alle zone off limits e al loro sanguinario segreto, gli animalisti sono comunque riusciti ad eludere i controlli dei pescatori ed entrare nella “zona rossa” per filmare lo scempio e mostrare al mondo che è proprio il rosso sangue il colore del mare di Taiji. Per mettere a segno la difficile impresa è stato necessario un piano molto ben studiato, un’equipe di gente esperta e soprattutto molto motivata a portare alla luce la verità.
E’ stato O'Barry a condurre il progetto e le stesse riprese, l’ex allenatore del famoso delfino Flipper, poi pentitosi di aver rivestito un ruolo così poco amico degli animali, detenuti, soggiogati e forzati nella loro natura di animali liberi, quindi sceso in campo, da ormai 40 anni, per la loro difesa. Le riprese sono state possibili anche grazie alla professionalità di una coppia di esperti sub, Kirk Krack e la moglie Mandy-Rae Cruickshank, otto volte campionessa mondiale di free diving, che si sono immersi in profondità, ed entrando di nascosto nella baia hanno posizionato le telecamere subacquee ipersensibili (è stato utilizzato materiale molto sofisticato, tra cui anche telecamere termiche montate a bordo di elicotteri radiocomandati) che avrebbero poi ripreso tutte le scene dello scempio.
Un pescatore con le sue "prede". Foto tratta da L'espresso/Multimedia
Il film, realizzato dal regista americano Louie Psihoyos, fotografo di National Geographic insieme allo stesso O'Barry, è intitolato “The Cove”, “la baia”, riferendosi al luogo dove i delfini vengono attirati con l’inganno per poi essere uccisi, ed è stato reso possibile grazie alla generosità del magnate Jim Clark, il miliardario padrone di Netscape e, indirettamente di You Tube, che pare abbia stanziato il sostanzioso budget di 5 milioni di dollari.
La prima del film è stata proiettata, dopo faticose trattative, proprio nelle sale giapponesi, presentata a ottobre al Tokyo International Film Festival ed ha già ricevuto un premio all’edizione 2009 del Sundance Film Festival negli USA. Il trailer è accessibile in rete e sta avendo grande diffusione nel web, mezzo potentissimo che sopperisce in questo caso ad una distribuzione del film che per ovvi motivi sarà piuttosto limitata, dato il suo carattere di documentario e non di intrattenimento puro, quindi con un potenziale pubblico più ristretto.
Ma forse, ancora una volta, non sarà il senso di civiltà, la volontà di affermare un’etica nei consumi, la sana e civile indignazione del mondo di fronte a tanta sofferenza a salvare questi animali. Ancora una volta la salvezza per gli animali proviene da una direzione opposta, dalla volontà di tutelare noi stessi, la salute dell’uomo.
Mar rosso nella baia di Taiji dovuto al sangue dei delfini uccisi
Un esempio di sfruttamento da parte dell'uomo degli animali
Taiji, una cittadina dove in apparenza il delfino viene addirittura venerato, così come la si vede piena di statue, mosaici e murales che riproducono questo splendido animale. Ma la realtà è ben diversa, e poco più in là si consuma l’orrore. Ora tutto il mondo lo sa, grazie al film denuncia The Cove e nessuno potrà più negare la realtà.