Spadare vietate, ma in Italia le usano tutti
di Andrea Degl'Innocenti - 20/11/2009
La Corte di Giustizia Europea punisce l'Italia con una sanzione per l'utilizzo delle spadare, un tipo di rete usata per la pesca al pesce spada ma che spesso cattura cetacei e specie protette. La spadara è proibita da una normativa europea del 2002, ma in nel nostro paese continua ad essere molto utilizzata.

Le spadare sono reti lunghissime, anche venti chilometri in alcuni casi, profonde fino a trenta metri. Calate in mare, vengono lasciate libere di fluttuare alla deriva
Le chiamano le “muraglie della morte”. I pesci che vi si imbattono hanno possibilità scarsissime di sfuggirne le maglie: i loro movimenti infatti, spostando masse d'acqua, agiscono come una calamita sulla reti, sensibili agli spostamenti delle correnti.
La pesca tramite spadare è particolarmente crudele perché ha un livello di selettività molto basso. Si calcola che solo il 18% dei pesci catturati sia costituito dalla specie bersaglio – nel caso delle spadare, come suggerisce il nome, si tratta spesso dei pesci spada. E gli altri? Gli altri sono un po' di tutto, stenelle, delfini, testuggini, perfino capodogli e balenottere. Ottomila cetacei ogni anno restano vittima di questo tipo di reti.
Per questi motivi la pesca con le spadare fu vietata prima dalle Nazioni Unite (risoluzione 44/225 del dicembre 1989), in seguito dall'Unione Europea, che nel '91 dichiarò illegale l'utilizzo di reti superiori ai due chilometri e mezzo (regolamento CEE n.345/92), e nel '97 dispose la messa al bando totale delle spadare a partire dal gennaio 2002, “ per assicurare la protezione delle risorse biologiche marine nonché uno sfruttamento equilibrato delle risorse della pesca conforme all’interesse sia dei pescatori che dei consumatori” (regolamento 894 del 29 aprile 1997).
Ma in Italia non molto è cambiato e a distanza di quasi vent'anni dal primo divieto, la Corte di Giustizia Europea ha condannato il nostro paese a pagare un'ammenda per non aver “provveduto a controllare, ispezionare e sorvegliare” il proprio territorio né adottato “adeguati provvedimenti nei confronti dei responsabili delle infrazioni”. La legge c'è, insomma, ma nessuno si occupa di farla rispettare.
I motivi sono diversi a partire dai vari decreti ministeriali che, spesso su richiesta dei pescatori, hanno rimodellato – per non dire aggirato – le normative europee rendendo da una parte molto più flessibili i divieti, dall'altra più difficile rintracciare e condannare i contravventori.
È stato espanso a dismisura l'uso delle ferrettare –un tipo di rete che la UE indicava come sostitute delle spadare – rendendo possibile utilizzarle fino a più di 10 miglia dalla costa (la normativa europea le prevede solo nelle prime 3). Chi ne fa uso è stato inoltre autorizzato a tenere sulla propria imbarcazione anche “attrezzi da posta” composti da “reti calate verticalmente per delimitare spazi acquei e provvedere alla cattura 'per imbrocco”: una sorta di spadare, in altre parole.

Non è solo il pesce spada ad essere catturato, ma anche stenelle, delfini, testuggini, perfino capodogli e balenottere
Non sorprende affatto allora la condanna europea, accolta anzi come una manna dalle varie associazioni ambientaliste. Dovrebbe invece far riflettere la totale mancanza di interesse da parte di ministri e governi per la salvaguardia del nostro mare e della fauna ittica.
Le spadare che continuano a stendersi per le nostre acque seguendo le correnti come lunghissimi serpenti marini, e altrettanto letali, razziano il mare per chilometri e chilometri. Le leggi approvate dall'unione per ora non sono valse a modificare una mentalità radicata, basata sull'interesse e sul profitto, che considera il mare come una fonte da cui attingere senza scrupoli. Forse ci riusciranno le sanzioni?