Questo libro di Ronald Wright, romanziere, storico e saggista inglese, non è di difficile lettura. Non è insomma il solito testo sul progresso a uso esclusivo dei professori universitari, infarcito di riferimenti dotti, rimandi filosofici e storici di difficile lettura e interpretazione. E' un libro per tutti.
L'autore ripercorre la storia del progresso umano, come idea e fatto, ma al tempo stesso riflette sul nostro futuro in modo disincantato. E soprattutto mostra chiaramente tutti i pericoli che possono sorgere da quell'accoppiamento poco giudizioso, imposto dal capitalismo moderno, tra progresso economico infinito ed esaurimento di risorse limitate.
Secondo Wright l'andamento della storia umana segue una ciclicità ecologico-sociale. E, a ogni esaurirsi di ciclo, la posta in gioco, in termini ecologici, tende a farsi sempre più "grossa". Ciò significa, sul piano delle costanti sociali, che più una società diviene ricca e consumista più cresce il pericolo del degrado ambientale. Perciò la civiltà moderna rischia più di tutte le altre precedenti... Soprattutto perché si ostina a credere nel progresso "a senso unico": una specie di farmaco miracoloso privo di controindicazioni...
In realtà la storia umana ha visto dissolversi (anche se non del tutto, culturalmente e artisticamente parlando) sia grandi civiltà come la sumera, romana, maya eccetera, sia microciviltà come ad esempio quella dell'Isola di Pasqua. Perché?
Questi gruppi sociali, grandi e piccoli, avrebbero abusato delle risorse ambientali, saccheggiando il proprio ecosistema. Tra le cause del crollo vanno perciò indicate oltre alle guerre, alle epidemie, alle invasioni, anche la siccità, l'impoverimento del suolo e l'interruzione degli scambi commmerciali. E sotto quest'ultimo aspetto il libro è ricco di esempi e raffronti storici interessanti.
Memorabile (e istruttiva) è la spiegazione del "crollo" della civiltà dell'Isola di Pasqua. "Caduta" che è collegata alla costruzione delle famose e colossali statue di pietra (ancora oggi ammirate dai turisti). Un' edificazione sempre più massiccia, diffusa, inarrestabile, esclusivamente legata a crescenti, ipnotiche e autodistruttive motivazioni di "prestigio clanico". E dunque provocata da una specie di volontà "criptoconsumistica" che nel corso di alcuni secoli (circa dieci, dal IV al XIV secolo d.C.), visto che per trasportare e costruire le statue servivano sempre più ingenti quantità di legname, avrebbe causato il totale disboscamento dell'isola. E di conseguenza condotto all'impossibilità di costruire imbarcazioni valide per la pesca in mare aperto. "Allora gli abitanti, osserva Wright, seppero che la pesca sarebbe stata magra e - peggio - che non ci sarebbe stata alcuna via di scampo (...). Scoppiarono guerre per il possesso delle vecchie assi di legno e dei frammenti tarlati dei relitti. Gli abitanti dell'isola mangiarono tutti i loro cani e quasi tutti gli uccelli marini, così l'insopportabile quiete del luogo si gravò del silenzio degli uomini (...). E quando nel XVIII secolo arrivarono gli europei, il peggio era passato; essi trovarono solo una o due anime vive per statua, un triste residuato, uomini 'piccoli, magri, timidi e miserabili', secondo le parole di Cook"" (p. 74-75). E oggi, noi occidentali, conclude Wright, "ci troviamo nella fase in cui gli abitanti dell'Isola di Pasqua avrebbero ancora potuto fermare l'insensato abbattimento degli alberi e avrebbero potuto conservare gli ultimi semi degli alberi fuori dalla portata dei topi" ( p. 157).
A buon intenditor...