Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Introduzione a La Decrescita Economica

Introduzione a La Decrescita Economica

di Nathan Zippo - 27/11/2009


Il tema della “decrescita economica” è salito solo di recente alla ribalta all’interno del
dibattito economico, politico e sociale in relazione alla questione della sostenibilità
ambientale e sociale della crescita economica. Il “paradigma della decrescita economica”
affronta in maniera diretta ed esplicita la problematica della compatibilità tra il
funzionamento di una civiltà e lo “spazio biologico” disponibile che è all’origine di tale
funzionamento, richiamando l’attenzione sul fatto che la crescita economica illimitata (il
perseguimento costante dell’aumento del “prodotto interno lordo”) non sia sostenibile per
l’ecosistema terrestre, alla luce di una società, come quella odierna, orientata
deliberatamente verso la massimizzazione della crescita economica e verso l’aumento
continuo della produzione e del consumo, senza che sia mai messa in discussione natura e
qualità della produzione. Il movimento che si è costituito – e che si sta costituendo – intorno
all’obiettivo della decrescita economica pone l’accento sull’assenza di qualsiasi riferimento
alla relazione vincolante che deve sussistere tra processo economico e substrato biofisico – il
quale, essendo per sua stessa natura fisicamente limitato, rende insostenibile un sistema
socio-economico orientato verso una crescita infinita. Questo è l’assunto fondamentale da cui
prende forma l’appello del movimento per la decrescita economica, il quale esprime l’urgenza
e la necessità di un’inversione radicale rispetto alla direzione suggerita dall’ideologia
dominante, indicando una prospettiva alternativa rispetto ai diversi modelli di sviluppo
esistenti che sposti l’obiettivo dalla crescita quantitativa allo sviluppo qualitativo.
I fenomeni del degrado ambientale e dell’esaurimento delle risorse dimostrano
questa insostenibilità, e si ricollegano alla duplice funzione svolta dalla natura nei
confronti dell’attività economica: fattore produttivo in termini di risorse naturali che da essa
si possono estrarre e, allo stesso tempo, destinazione finale degli scarti e dei rifiuti della
produzione. La produzione crescente di beni e servizi implica l’utilizzo anch’esso crescente di
materia ed energia le quali, a loro volta, conducono a un impatto crescente sugli ecosistemi;
ogni attività produttiva comporta inoltre una degradazione irreversibile di quantità crescenti
di materia ed energia, il che rende la crescita illimitata della produzione, basata sullo
sfruttamento di risorse finite non rinnovabili, vincolata dai limiti fisici della biosfera.
La “provocazione” della decrescita economica va oltre la dimensione fisica del
processo economico. E’ opportuno rilevare, infatti, come questa teoria si sia sviluppata a
partire dalla critica al “prodotto interno lordo” quale misura imperfetta del benessere e
all’opinione comune secondo cui il benessere sia misurabile attraverso il consumo e la
quantità di beni acquistabili. Il PIL è un flusso puramente mercantile che non solo considera
positiva ogni produzione (e ogni spesa) a prescindere dalla sua natura e dal suo contributo
effettivo al reale benessere individuale e collettivo, ma che, inoltre, non comprende tutte
quelle attività e risorse che pur non essendo di natura mercantile, incidono in maniera
determinate sul benessere, come ad esempio la disponibilità di “beni relazionali”. La
prosperità economica è il risultato dell’accumulazione di continui deficit ecologici e di costi
che pur non essendo “conteggiati” ricadono – e ricadranno – necessariamente sulla
collettività nel suo insieme. Il PIL risulterebbe molto più basso se fossero internalizzati i costi
sociali dei danni provocati dalle attività di produzione e consumo e se venisse tenuto conto
del fatto che materie prime ed energie naturali consumate oggi sono necessariamente
perdute per le generazioni future (sono, cioè, consumo di capitale).
Il paradigma della decrescita economica ha fatto suo l’imperativo di scindere il
miglioramento del benessere dei singoli individui dall’aumento quantitativo della produzione
materiale, con l’obiettivo di promuovere la riduzione del PIL: una riduzione del “ben-avere”
misurato dagli indicatori economici che si accompagna all’aumento del “ben-essere”
realmente vissuto. In questo modo si richiama la necessità e l’urgenza di “scollegare” il
benessere individuale e sociale dall’uso e dallo sfruttamento delle risorse naturali
presenti in quantità fisiche limitate e necessarie al sostentamento della vita stessa. In questo
contesto, la rilevanza economica della decrescita si sostanzia in una riduzione complessiva
delle quantità fisiche prodotte, di quelle consumate, e delle risorse impiegate, attraverso una
trasformazione complessiva della struttura socio-economica, politica, e dell’immaginario
collettivo verso assetti sostenibili, nella prospettiva di un significativo aumento del benessere
sociale.
Contrariamente a quanto gli stessi “obiettori di crescita” sostengono, tra cui lo stesso
“teorico della decrescita”, Serge Latouche, il carattere “rivoluzionario” ed innovativo del
paradigma in questione non risiede nella rottura rispetto all’ideologia dominante della
crescita economica illimitata. Pur riconoscendo la radicalità di una proposta che va a minare
le fondamenta dell’immaginario dominante, questa rottura è abbastanza relativa. Gli impianti
concettuali e le fondamenta scientifiche del paradigma della decrescita sono già stati prodotti
e formulati in maniera più che pertinente nel corso degli ultimi cinquanta anni. Il paradigma
della decrescita va inquadrato, infatti, come il risultato di un processo di maturazione
scientifica che ha ripreso tematiche ed approcci “antichi”, seppure a lungo ritenuti marginali
ed eterodossi. In effetti, l’economia è stata una tra le prime scienze sociali ad affrontare le
questioni relative al benessere individuale, alle interdipendenze tra sistema socio-economico
e ambiente naturale, al degrado ambientale e alla finitezza delle risorse.
La tendenza ad esaltare le differenze e le peculiarità tra questa posizione e tutto ciò
che “è stato” rischia di non riconoscere la rilevanza di tutti quei filoni scientifici che avevano
già mosso sostanzialmente le stesse critiche e sostenuto analoghe soluzioni, seppure forse in
maniera più frammentata. Il “paradigma della decrescita economica” è, però, senza dubbio
quello che più di ogni altro ha fatto propria l’eredità storica ed ideologica di tutti quei
contributi e quelle posizioni che hanno individuato nella crescita economica illimitata la causa
principale della insostenibilità ecologica e sociale.
La decrescita economica non può però esaurire qui il suo ruolo nella proposta di
“natura messianica” e nel suo “carattere rivoluzionario”. Invece deve necessariamente
chiarire e puntualizzare in maniera analitica un impianto concettuale che, per la sua natura
multidimensionale, rischia di rimanere avvolto da una confusione metodologica. Non solo, il
paradigma della decrescita deve concretizzare la sua proposta di trasformazione sociale e
definire una “matrice di alternative”. E ciò per non cadere in una marginalità settaria, quanto
per assumere il più possibile serietà e legittimità. Concentrarsi su tutte le “variabili di input”
e le “variabili di output”, fondamentali per il processo economico, è la strada per indagare a
fondo ed affrontare in maniera diretta le questioni relative alle attività di produzione e di
consumo. Se questo costituisce il suo reale campo di analisi e di azione, dematerializzazione
e cambiamento di preferenze e meta-preferenze rappresentano i reali fondamenti teorici
della decrescita economica, la cui reale novità è rappresentata dal tentativo di costruire la
nuova società attraverso micro-cambiamenti, piccole ma diffuse deviazioni nelle traiettorie
tecnologiche, le quali sarebbero in grado di produrre in futuro nuove dimensioni e nuovi
quadri comportamentali nelle relazioni sociali, nelle relazioni economiche e nei modelli di
produzione e consumo. Inserirsi quindi nel processo di modificazione delle preferenze e
impegnarsi a mostrare, attraverso “micro-azioni”, “micro-innovazioni” e traiettorie
tecnologiche trascurate, come la consapevolezza individuale e sociale possa mutare senza
che siano le modificazioni nei prezzi relativi a governare l’allocazione delle risorse, sia
collettive che individuali, oltre che la non corrispondenza tra benessere ed uso crescente di
materia ed energia, necessario alla crescita della produzione e del consumo materiale.
L’effettiva riduzione in termini assoluti e globali dell’impronta ecologica e dello
sfruttamento delle risorse naturali sino a livelli compatibili con la capacità accertata dei limiti
del pianeta – in una parola: dematerializzazione – è lo strumento necessario a mostrare
come sia possibile aumentare il “ben-essere” a scapito del “ben-avere” e innescare un
“circolo virtuoso” di cambiamento delle preferenze a partire da traiettorie tecnologiche
inesplorate o marginalizzate. Un cambiamento che, come detto, non si sostanzia in un
adattamento ad una variazione dei prezzi relativi, ma in una trasformazione che non guarda
a questi come motore dell’agire sociale. Non solo questa rappresenta la reale “uscita
dall’economico” di cui i sostenitori della decrescita si fanno portavoce, ma rappresenta la
sfida di questo paradigma.
L’imperativo della decrescita economica va concretizzato attraverso questo
inserimento nel processo circolare tra preferenze, società e tecnologia, nella consapevolezza
di come dalla valutazione delle alternative e delle loro conseguenze nascano nuove
preferenze, modifiche nelle aspirazioni e cambiamenti negli stili di vita, nei modelli di
consumo e nei modi di produzione. E se la questione centrale è rappresentata dalla coevoluzione
di preferenze e dematerializzazione, allora non può essere sottovalutato il ruolo
svolto dall’innovazione tecnologica, dove per tecnologia viene inteso non solo l’aspetto
semplicemente tecnico, ma più in generale il livello di conoscenza e di organizzazione della
società, nonché la complessiva intensità d’uso delle risorse ambientali. Un’innovazione
tecnologica che, vincolata dal controllo sociale, deve essere finalizzata alla difesa, alla
preservazione e alla rigenerazione del capitale naturale, abbandonando la falsa concezione
secondo cui questo possa essere sostituito dal capitale artificiale prodotto dall’uomo.
I limiti naturali non devono essere superati o “spostati” attraverso i progressi
tecnologici, ma è all’interno del loro riconoscimento che le “vecchie tecnologie” devono
essere vagliate non tanto alla luce della loro produttività economica privata, quanto alla luce
dei loro benefici e costi sociali. Per questa ragione occorre sviluppare e potenziare
“tecnologie intelligenti” guidate da considerazioni ed esigenze ecologiche; un’intelligenza
che non a caso è possibile chiamare “intelligenza naturale”. Il fatto che queste direzioni e
queste traiettorie tecnologiche “alternative” siano già state intraprese, non solo dal mondo
scientifico ma anche da quello economico ed industriale, rende concretizzabile oggi come non
mai una decrescita economica, anche sullo sfondo di uno scenario istituzionale che, almeno a
livello ideale, ha raggiunto un grado di accordo senza precedenti sul rapporto tra esseri
umani e ambiente naturale.
A mancare non sono oggi le soluzioni o le possibilità, bensì piuttosto una volontà
politica tesa a tutelare una nuova coscienza ed una nuova responsabilità ambientale, tanto
scientifica quanto civile, ancora troppo marginalizzate all’interno dell’odierna società.
Il primo capitolo de La Decrescita Economica espone l’evoluzione storica della
“questione ambientale”, evidenziando le tappe fondamentali di un processo di maturazione
scientifica ed istituzionale, necessario a collocare il paradigma della decrescita economica in
una prospettiva storico-critica. Il secondo capitolo illustra il pensiero di colui che viene
identificato come il “teorico della decrescita”, soffermandosi tanto sugli aspetti rilevanti e le
tematiche innovative, quanto sui limiti e le superficialità del suo approccio. Nel terzo capitolo
vengono analizzati in maniera analitica i reali fondamenti teorici della decrescita economica,
operando un cambio di prospettiva teso a superare la confusione che spesso caratterizza
questo paradigma e a coglierne la reale novità. L’innovazione tecnologica ed i rapporti che la
legano alla decrescita economica sono al centro del quarto capitolo, nel quale viene descritto
il ruolo della tecnologia all’interno della “questione ambientale” e gli elementi che
caratterizzano una “tecnologia intelligente”. Il capitolo successivo, il quinto, conclude questo
lavoro, evidenziando non solo la serietà e la legittimità del paradigma della decrescita ma
dimostrandone anche la concreta possibilità di realizzazione.