I limiti della potenza petrolifera saudita
di Michael T. Klare - 06/04/2006
Fonte: Il Manifesto
Polemiche sulle riserve provate del regno
Nuovo attentato contro una raffineria di petrolio in Arabia saudita, il 24 febbraio. Rivendicato dal ramo saudita di al Qaeda, non ha recato danni alla produzione. Ma questo incidente, come le incertezze sulla questione del nucleare iraniano, pesa sul prezzo del barile. Qualsiasi choc sull'approvigionamento è temuto, poiché le riserve saudite si stanno rivelando meno abbondanti di quanto non dicano i dirigenti di Ryadh.
Mentre negli Stati uniti e altrove l'inquietudine cresce di giorno in giorno, gli esperti sono divisi in due campi: gli ottimisti credono che l'abbondanza sarà la regola ancora per lunghi anni, i pessimisti ritengono che il petrolio diventerà ben presto una rarità. Gli uni e gli altri sono però d'accordo nel pensare che l'Arabia saudita - primo produttore mondiale - svolgerà un ruolo essenziale. Per gli ottimisti, il regno saudita continuerà ad aumentare la produzione al ritmo della domanda; per i pessimisti questo paese vedrà ben presto le proprie riserve declinare, e di conseguenza ogni speranza di aumentare la disponibilità netta della terra è assolutamente vana. Prima di speculare sul futuro sarà meglio quindi esaminare accuratamente il caso dell'Arabia saudita. L'importanza di questo paese per l'economia petrolifera non ha bisogno di dimostrazione. Non soltanto è il primo produttore ed esportatore di greggio, ma è anche il solo fornitore a disporre di un'importante capacità di riserva, che gli permette di aumentare rapidamente la produzione in caso di crisi. Questa particolarità è stata di un'importanza decisiva nel 1990, quando l'Iraq ha invaso il Kuwait e la produzione dei due paesi è scomparsa dal mercato ; l'Arabia saudita, aumentando rapidamente la propria produzione, ha evitato, da sola, un altro «choc petrolifero», paragonabile a quelli che avevano fatto seguito all'embargo arabo del 1973-74 e alla rivoluzione iraniana del 1979-1980.
L'Arabia saudita, a causa di questa capacità unica di poter aumentare la produzione in caso di crisi, è stata a lungo vista da Washington come un elemento chiave della sicurezza energetica degli Stati uniti.
Per esempio, quando il prezzo del greggio è cominciato a salire nella primavera del 2005, il primo gesto del presidente Bush è stato di ricevere il principe ereditario Abdallah (poi diventato re) nel suo ranch del Texas per supplicarlo di aumentare la produzione del suo paese. «Il principe ereditario comprende l'importanza di mantenere un prezzo ragionevole», aveva allora dichiarato George Bush alla stampa, prima di incontrare Abdallah (1). Alla conclusione dell'incontro, il principe ha promesso di aumentare la produzione saudita, ha precisato un portavoce, che ha aggiunto: «ecco quel che spingerà a favore del ribasso (del prezzo del petrolio) (2)». Sebbene le promesse di Abdallah non abbiano però finora comportato nessun ribasso sensibile, Washington continua a fare pressione su Ryad perché i sauditi aumentino ancora la produzione. Per quanto importante sia questo ruolo di produttore di riferimento (swing producer) in caso di crisi, la questione dell'apporto futuro del petrolio saudita è ancora più decisiva. «Con un quarto delle riserve mondiali provate - notava nel 2004 il ministero statunitense dell'energia - l'Arabia saudita sarà probabilmente il principale esportatore del mondo in un avvenire prevedibile» (3). Tutte le stime pubblicate da questo ministero prevedono che la produzione saudita sarà in costante aumento nel corso dei prossimi anni e che il regno svolgerà un ruolo essenziale nella soddisfazione della sete planetaria di oro nero. Da solo, il regno dovrebbe contribuire per più di un quarto alla crescita del fabbisogno tra il 2001 e il 2025.
Per valutare al suo giusto valore il ruolo così attribuito al regno saudita, possiamo far riferimento alle proiezioni annuali pubblicate dal ministero statunitense dell'energia sull'avvenire dell'offerta e della domanda. Nel 2004, aveva previsto che la domanda mondiale sarebbe aumentata del 57% tra il 2001 e il 2025, passando da 77 a 121 milioni di barili al giorno. Per rispondere a questo aumento della domanda, la produzione saudita sarebbe dovuta crescere del 120% durante questo periodo, passando da 10,2 a 22,5 milioni di barili al giorno. Si tratta di un tasso di crescita che non ha paragoni con ciò che ci si attende dagli altri paesi o gruppi di paesi produttori.
Ad avvicinarsi di più sono la Russia e le ex repubbliche sovietiche del mar Caspio, con un aumento atteso di 8,5 milioni di barili al giorno tra il 2001 e il 2025; per l'Iran, l'Iraq e il Kuwait, l'aumento atteso sarebbe di 7,6 milioni di barili al giorno, mentre per il principale produttore africano, la Nigeria, è previsto solo un aumento di 1,6 milioni. Per la maggior parte delle altre regioni del mondo, il ministero statunitense prevede la stagnazione o il declino della produzione, di modo che l'apporto saudita previsto di 12,3 barili al giorno è assolutamente essenziale per soddisfare la domanda mondiale (4). Ma l'Arabia saudita è veramente in grado di aumentare la produzione a 12,3 milioni di barili al giorno in 25 anni, o addirittura è davvero in grado di aumentarla anche di poco? Ecco la domanda che ossessiona gli analisti di tutti i paesi. La controversia è esplosa nel febbraio 2004, quando il New York Times ha riportato che numerosi analisti erano arrivati alla conclusione che i principali campi petroliferi sauditi fossero più vicini all'esaurimento di quanto non si supponesse. Si mette in dubbio la capacità del regno di aumentare la produzione al di là del livello attuale di 9-10 milioni di barili al giorno. Benché la produzione sia stata capace finora di tenere dietro alla domanda internazionale, affermava il giornale newyorchese, «i campi petroliferi del paese sono oggi in declino, tanto che i responsabili dell'industria e del governo si interrogano: il regno sarà in grado di soddisfare la sete mondiale di petrolio nel corso dei prossimi anni?» (5). Inutile dire che questo articolo ha suscitato rabbia e inquietudine a Ryad. Nei giorni successivi, Mahmud Abdoul Baqi, il vice-direttore di Aramco responsabile della ricerca della Saudi Aramco, ha assicurato: «abbiamo la capacità di mettere sul mercato più petrolio di chicchesia (...) Continueremo a fornire petrolio nel corso di almeno 70 anni» (6). Il ministro del petrolio, Ali al-Naimi, si è mostrato ancora più convinto: se la domanda mondiale continua ad aumentare, «noi saremo in grado di soddisfarla» (7). Queste promesse sono state riprese dai dirigenti statunitensi. Per esempio, nell' International Energy Outlook del 2004, il ministero statunitense dell'energia affermava che i dirigenti sauditi «hanno fiducia nella loro capacità di mentenere livelli di produzione sensibilmente più elevati fino a metà del secolo e anche più in là» (8). Ma queste affermazioni non hanno messo termine alla controversia.
Nel maggio del 2005, un banchiere di Houston, Matthew R.Simmons, ha pubblicato un libro che ha avuto l'effetto di una bomba, Twilight in the Desert: The Coming Saudi Oil Shock and the World Economy (Crepuscolo nel deserto. Il futuro della crisi petrolifera saudita e l'economia mondiale). Simmons afferma con forza che la maggior parte dei campi petroliferi sauditi sono già entrati in declino e che sarà quindi impossibile aumentare la produzione nei prossimi anni. «È poco probabile che l'Arabia saudita sia ancora in grado di fornire le quantità di petrolio che ci attendiamo da essa - afferma - La produzione saudita si avvicina al suo picco di produzione durevole... Ed è possibile che entri in una fase di declino in un prossimo futuro» (9). Matthew («Matt») Simmons non è tuttavia un ambientalista militante né un avversario delle compagnie petrolifere. Presidente e direttore generale di una delle banche di investimento petrolifero più importanti al mondo, la Simmons & Company International, da decenni investe miliardi nel settore energetico e finanzia la prospezione e lo sviluppo di nuove riserve di petrolio nel mondo intero. È anche diventato l'amico di numerose personalità di primo piano negli ambienti petroliferi, compresi George W.Bush e il suo vice-presidente Richard Cheney. Ha egualmente accumulato una vasta quantità di dati relativi ai principali campi petroliferi della terra ed è sicuramente una delle persone meglio informate al mondo in questo campo. Per questo la sua valutazione pessimista deve essere presa sul serio.
Per l'essenziale, l'argomentazione di Simmons si basa su quattro punti: ¥ la maggior parte del petrolio saudita viene estratto da un numero limitato di campi giganteschi; ¥ questi hanno cominciato ad essere sfruttati 40 o 50 anni fa e, in maggioranza, non hanno più petrolio facile da estrarre; ¥ per mantenere degli alti livelli di produzione in questi 4 o 5 giacimenti, i sauditi ricorrono sempre più sovente all'iniezione idraulica e ad altri metodi di recupero secondario con lo scopo di compensare la caduta di pressione dei pozzi; ¥ con il tempo, la proporzione acqua/petrolio nei giacimenti sotterranei diventerà tale che l'estrazione diventerà difficile, se non impossibile.
Twilight in the Desert non è un libro facile da leggere. Si tratta essenzialmente di una descrizione dettagliata dell'immensa infrastruttura petrolifera del regno, a partire da documenti di servizio, redatti da tecnici sauditi e che tratta dei diversi aspetti della produzione su questo o quel campo. Uno dei temi principali è l'invecchiamento dei giacimenti e l'impiego sempre più frequente dell'iniezione d'acqua con lo scopo di mantenere la pressione sotterranea - tecnica che può portare a un deterioramento delle riserve non ancora sfruttate.
Fondandosi su questi studi tecnici, Simmons è in grado di mostrare che i campi sauditi più importanti stanno avvicinandosi rapidamente alla fine della loro vita produttiva. Ecco così un altro motivo per far arrabbiare e inquietare i dirigenti sauditi. In occasione di un convegno a Washington, il ministro del petrolio Al-Naimi ha contestato le affermazioni di Simmons e continua ad affermare che il suo paese è assolutamente in grado di aumentare la produzione in risposta alla domanda mondiale: «tengo a rassicurarvi solennemente: le riserve saudite sono ricche e noi siamo pronti ad aumentare la produzione secondo le esigenze del mercato», ha dichiarato il 17 maggio 2005. In occasione di una riunione a Parigi, Al-Naimi ha rivelato un progetto di aumentare il livello di produzione di 10-12 milioni di barili al giorno e anche di più - fino a 15 milioni se necessario - se la domanda mondiale continua ad aumentare (10).
Questa volta, però, va constatato un maggiore scetticismo da parte degli esperti. Molti analisti hanno sottolineato che il petrolio supplementare attualmente estratto in Arabia saudita ha un'alta percentuale di zolfo. Per esempio, prendendo la parola nel corso di un incontro Bush-Abdallah in Texas, Jason Schenker della Wachovia Corporation ha osservato: «nessun cambiamento essenziale verrà fuori da questa riunione» (11).
L'indice che colpisce di più di questa evoluzione della percezione della situazione compare nell'International Energy Outlook del luglio 2005. Bisogna ricordare che, l'anno precedente, questa pubblicazione aveva predetto un aumento della produzione saudita di 12,3 milioni di barili al giorno nel corso del primo quarto del secolo, per raggiungere un totale di 22,5 milioni di barili al giorno nel 2025 (12). Nel 2005, al contrario, non è previsto che un aumento di 6,1 milioni di barili al giorno, per una produzione complessiva che raggiungerà soltanto 16,3 milioni di barili al giorno nel 2025 - un mancato incremento considerevole rispetto alle cifre di un anno fa. Non è stata fornita nessuna spiegazione di questo cambiamento di previsione, ma bisogna supporre che le analisi di Simmons e di altri scettici abbiano cominciato ad influenzare il pensiero ufficiale a Washington. È d'altronde probabile che le previsioni del ministero per il 2005 si riveleranno ridicolmente ottimiste. Persino Al-Naimi, in occasione dei suoi interventi molto volubili, non ha mai preso l'impegno di oltrepassare i 12 milioni di barili al giorno. E se Simmons avesse ragione, persino questo livello sarebbe fuori portata. In nessun momento, beninteso, questa discussione si è interessata a un altro fattore importante, cioè l'impatto eventuale del contesto politico sulla produzione saudita. Uno sconvolgimento simile a quello che si è prodotto in occasione del rovesciamento dello scià d'Iran nel 1978-1979 comporterebbe quasi certamente un crollo della produzione, che potrebbe durare per anni. Un attacco terroristico forte contro le installazioni petrolifere avrebbe senza dubbio un effetto simile.
Anche se le condizioni interne restano relativamente stabili, dobbiamo prepararci all'imminenza di un avvenire dove le riserve mondiali di petrolio non risuciranno più a soddisfare le insaziabili domande energetiche del pianeta.
note:
* Professore di studi sulla pace e la sicurezza mondiale all' Hampshire College del Massachusetts, e autore di Blood and Oil: The Dangers and Consequences of America's Growing Dependency on Imported Petroleum, Henry Holt, 2004.
(1) Citato in «Bush-Saudi talks focus on long-range oil plan», Reuters, 25 aprile 2005, www.reuters.com
(2) Citato in «Bush urges Saudi to boost oil production», Los Angeles Times, edizione Internet, 25 aprile 2005, www.latimes.com
(3) Us Department of Energy, Information Adoministration (DoE/Eia), «Saudi Arabia, country analysis brief», giugno 2004, www. eia.doe.gov/emeu/cabs/saudi.html
(4) DoE/Eia, International Energy Outlook 2004, Washington, 2004, tavole, A4 e D1.
(5) Jeff Gerth, «Forecast of rising oil demand challenges tired Saudi fields», New York Times, 24 febbraio 2004.
(6) Citato in «Saudis refute claims of oil field production declines», Oil and Gas Journal, Houston (Texas), 8 marzo 2004.
(7) Cfr. «Saudi oil minister Al-Naimi sees kingdom sustaining oil supply linchpin role for decades », Oil and Gas Journal, Houston (Texas), 5 aprile 2004.
(8) DoE/Eia, International Energy Outlook 2004, op. cit., p.37.
(9) Matthew R.Simmons, Twilight in the Desert, John Wiley, Hoboken (New Jersey), 2005.
(10) Doris Leblond, «Saudi production growth detailed in Paris oil summit», Oil and Gas Journal, Houston (Texas), 2 maggio 2005.
(11) «Saudi offer oil capacity plan, no immediate relief», Bloomberg News, 15 aprile 2005, www.bloomberg.com
(12) DoE/Eia, International Energy Outlook 2005, Washington, 2005, tavola E1.
(Traduzione di A. M. M.)