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È possibile amare un animale più di quanto si ami un essere umano?

di Francesco Lamendola - 10/12/2009

 

 È possibile amare un animale - un animale domestico come un cane o un gatto, per esempio - quanto, e magari più, di un essere umano?
Posta la domanda in questi termini, bisognerebbe anzitutto dare una definizione di cosa si intenda per «amore».
Senza pretendere di approfondire l'argomento, ci limiteremo a una definizione sommaria sul piano teorico, ma sufficiente, forse, per tentare di rispondere alla domanda, essenzialmente sul piano pratico e quotidiano; senza, cioè, eccessive preoccupazioni di carattere filosofico, ma badando al sodo della questione che abbiamo posta.
Potremmo definire l'amore come un ponte gettato fra noi e gli altri: un ponte fatto della stessa sostanza della nostra anima; non di singoli pensieri o di sentimenti limitati, bensì un ponte totale, del quale diviene impossibile dire ove finisca l'io e dove incominci il tu; un ponte, inoltre, il cui scopo sia non già quello di dissolvere le barriere dell'io (questo può farlo anche una droga), ma di aiutare entrambi i soggetti nella loro realizzazione spirituale.
Se questo è l'amore, ci sembra evidente che non può darsi amore fra l'uomo e l'animale; non, almeno, nel senso con cui si parla dell'amore fra due esseri umani. L'amore, infatti, è sempre una relazione personale (ragion per cui è improprio parlare di amore per la patria, o di amore per l'arte o per la scienza, allo stesso modo in cui si parla di amore per un altro essere umano); e, più precisamente, di una relazione fondata sulla mutua crescita. Questo non è possibile nei confronti di un cane, di un cavallo, di un gatto, o di qualsiasi altro animale: non perché un animale domestico non sia capace di un affetto smisurato per il suo compagno umano (esitiamo a chiamarlo padrone), ma perché l'animale, per quel che ne sappiamo - il che, ne conveniamo, non è molto - non è suscettibile di crescita spirituale o, comunque, non di una crescita spirituale paragonabile a quella di cui è suscettibile l'essere umano. Il vero amore, a nostro avviso, è sempre una relazione fra uguali, o almeno fra uguali in senso potenziale; diversamente, bisogna parlare piuttosto di una relazione di dipendenza, per quanto gentile e profonda essa possa configurarsi.
L'uomo e l'animale non giacciono su un piano di eguali possibilità spirituali; e, sebbene sia vero che l'uomo, talvolta, può abbassarsi al di sotto dell'animale, tradendo la propria natura, e che l'animale, viceversa, è capace di dare prove sublimi di affetto e di fedeltà verso l'essere umano - basti pensare al cane Argo di Ulisse, che attende per vent'anni il ritorno del suo padrone e, poi, stramazza morto ai suoi piedi, senza aver potuto ricevere nemmeno una carezza, perché quegli, travestito da mendico, teme di essere riconosciuto dai presenti -, ciò non autorizza a parlare dell'amore di un uomo o di una donna verso un animale, nel senso proprio del termine.
È ben vero che le circostanze della vita conducono numerose persone, specialmente anziane e sole, a legarsi di un affetto profondo, insostituibile, per un animale domestico; si tratta di un legame che merita il massimo rispetto, e che non sarebbe giusto definire, sbrigativamente, in termini sprezzanti, come se quelle persone si concentrassero sull'affetto verso un animale per incapacità di legarsi d'affetto verso un proprio simile.
A volte può essere così, ma non sempre e non necessariamente; e, in ogni caso, sarebbe impossibile, e quindi ingiusto, esprimere un giudizio di tal genere, dall'esterno, perché si tratta di sentimenti intimi e delicati, che solo da parte di chi li vive possono essere interamente compresi.
A questo proposito, ha osservato lo psichiatra americano M. Scott Peck nel suo libro «The Road Less Traveled», 1978; traduzione italiana di Franca Castellenghi Piazza, intitolata «Voglia di bene», Edizioni Frassinelli, 1985, p. 93-96:

«Se adottiamo la nostra specifica definizione [«l'amore è la capacità di estendere il proprio io allo scopo di favorire la propria e l'altrui crescita spirituale», pp. 67-68] ci appare chiaro, per esempio, che possiamo amare solo degli esseri umani, poiché solo gli esseri umani possiedono uno spirito capace di sostanziale crescita. Eppure noi "amiamo" il nostro cane. Gli diano da mangiare, gli facciamo il bagno, lo accarezziamo, lo coccoliamo, giochiamo con lui. Quando sta male lo portiamo di corsa dal veterinario. Se muore o lo perdiamo, proviamo un grande dolore. Per le persone che vivono sole, il cane, o il gatto, possono addirittura diventare l'unica ragione di vita. Se questo non è amore, che cos'è? Ma esaminiamo la differenza fra il nostro rapporto con un animale domestico e quello con un essere umano. Innanzitutto, la nostra possibilità di comunicare con un animale è estremamente limitata. Noi non sappiamo che cosa pensa il nostro cane. Questo ci consente di proiettare su di lui i nostri stessi pensieri e sentimenti e quindi di provare un'affinità emotiva che spesso non corrisponde affatto ala realtà. In secondo luogo, il cane ci appaga solo finché a sua volontà coincide con la nostra; quando la sua volontà comincia a divergere in misura notevole dalla nostra ce ne liberiamo. Non ci piace di certo avere per casa un cane che disobbedisce e si ribella. Lo mandiamo persino a scuola perché impari a obbedire. Ma quando amiamo un essere umano siamo contenti che abbia una "volontà propria", una propria identità, e questo è anzi proprio una delle caratteristiche del vero amore. Infine, nel nostro rapporto con gli animali moi cerchiamo in tutti i modi di aumentare la loro dipendenza. Non vogliamo affatto che crescano e se ne vadano di casa. Vogliamo che rimangano come sono, che facciano supinamente la cuccia accanto al caminetto. È proprio la dipendenza, e non l'indipendenza, che noi apprezziamo nell'animale.
La questione dell'"amore" per gli animali è molto importante in quanto esistono persone capaci di amare SOLANTO gli animali e del tutto incapaci di amare sinceramente gli altri esseri umani. […]
Da tutto ciò si deduce che l'"amore" per i neonati,  gli animali domestici e persino le mogli sottomesse è uno schema istintivo di comportamento che non è errato definire "istinto materno" o, più genericamente, "istinto genitoriale". […]
Il fatto è che per favorire l'altrui crescita spirituale non possiamo lasciarci guidare da un istinto. Per esempio, la madre che non permetteva al figlio di prendere l'autobus e lo accompagnava tutti i giorni a scuola in macchina pensava di aiutarlo, ma si trattava di un aiuto di cui il figlio non aveva bisogno e che chiaramente ritardava piuttosto che favorire la sua crescita spirituale. […] L'amore non è soltanto dare: è dare CON GIUDIZIO, e negare con giudizio. È lodare con giudizio e biasimare con giudizio. È discutere, opporsi, lottare, incitare, spingere o trattenere, oltre che confortare.  È esercitare il comando, ma sempre con giudizio, e il giudizio richiede più che l'istinto; richiede di prendere delle ben ponderate e spesso dolorose decisioni.»

Ecco il punto: vi sono esseri umani che sono in grado di amare soltanto degli animali, perché non sono un grado di rapportarsi a un altro essere umano su un piano di parità, né sono capaci d desiderare l'altrui crescita e l'altrui raggiungimento dell'indipendenza, materiale e spirituale, perché quel che realmente desiderano è esercitare il controllo sull'altro.
Come abbiamo già detto, si tratta di un argomento assai delicato, perché grande è il mistero che si cela in ogni anima umana, e nessuno può dire con certezza dove finiscano un normale desiderio di protezione e un normale senso di responsabilità nei confronti dell'altro e dove, invece, incomincino dei sentimenti di natura ben diversa, quali il desiderio di esercitare un dominio e di avere il pieno controllo di un altro essere vivente.
Altrettanto difficile è dire se le persone che riversano tutto il loro affetto su un animale domestico lo facciano perché spintevi da una estrema solitudine o da una vera e propria incapacità di amare i propri simili, magari in seguito a delle cocenti delusioni.
Certo è che vi sono uomini e donne, specialmente anziani e specialmente malati, che si sono legati di un tale affetto a degli animali domestici, da non potere neanche immaginare la propria vita senza di essi; persone le quali pensano, con assoluta convinzione, che, quando loro moriranno, moriranno anche i loro amici animali; o che, addirittura, pensano che, se questi ultimi dovessero morire per primi, esse non potrebbero sopravvivere loro.
I cani, specialmente, da sempre definiti come i migliori amici dell'uomo, si prestano a questo tipo di legame strettissimo, a volte un po' morboso, con gli esseri umani. Scott Peak, come abbiamo visto, sostiene che ciò avviene perché, nell'amore verso un animale, l'essere umano può proiettare liberamente i propri sentimenti: l'assenza di un linguaggio comune, infatti, rende impossibile una verifica della realtà dei sentimenti dell'animale (se di sentimenti si può parlare) e, soprattutto, rende impossibile una verifica della perfetta sintonia e della assoluta reciprocità di emozioni.
A tali obiezioni si potrebbe rispondere con due possibili contro-obiezioni. La prima è che fra un essere umano e un animale domestico può stabilirsi un legame talmente profondo, da rendere possibile una autentica comunicazione, pur in assenza di un linguaggio verbale comune. La seconda, che la tendenza a proiettare sull'altro i propri pensieri e sentimenti avviene anche, e non certo di rado, nel rapporto amoroso fra due esseri umani; eppure ciò non autorizza a porre in dubbio che di un autentico sentimento d'amore si tratti.
Rimane il fatto che le osservazioni dello psicanalista americano, in linea di massima, sono fondate e ragionevoli: la comunicazione fra due esseri è sempre problematica, ma, nel caso di un rapporto fra uomo e animale, non può che esserlo in misura assai maggiore. Inoltre, il fatto che in molti rapporti sentimentali fra esseri umani esista una proiezione illusoria dei propri pensieri e sentimenti sulla persona dell'altro, non significa che ciò sia inevitabile; mentre lo è, fino a prova contrario, nel caso di un legame instauratosi fra un uomo e un animale.
Oltre a ciò, e qui torniamo a quanto dicevamo all'inizio, l'evoluzione spirituale, per un essere umano, è una cosa non solamente possibile, ma tipica della sua natura; tanto che è corretto affermare che solo una persona capace di essa riesce a realizzare veramente il proprio fine, la propria essenza. Viceversa, non esiste alcuna evidenza che gli animali, per quanto intelligenti e sensibili, siano suscettibili di una vera e propria evoluzione spirituale.
Non ne sappiamo abbastanza, in verità; tuttavia, quello che sappiamo, dopo parecchi anni di studi molto rigorosi sugli animali più intelligenti, dai cani ai cavalli, ai delfini, alle scimmie, non consente di affermare nulla del genere; al contrario, sembra indicare che ciò sia da escludere, mancando il fondamentale presupposto del senso etico. Se manca il senso etico, diviene impossibile parlare di evoluzione spirituale.
Certo, un animale può imparare, se addestrato, a compiere determinate azioni; e può anche affezionarsi al proprio padrone, fino al punto di rischiare la vita per lui. Ma è difficile sostenere che possa farlo in base a una scelta etica; e ancora più difficile è osservarlo compiere azioni altruistiche disinteressate verso dei perfetti sconosciuti, se non perché ammaestrato (come, ad esempio, i cani San Bernardo). Tutto, pertanto, sembra portare a concludere negativamente circa la possibilità di una vera amicizia fra uomo e animale, se per amicizia si intende un rapporto fra individui di pari livello e, soprattutto, che siano entrambi suscettibili di perfezionamento interiore, e cioè di evoluzione spirituale.
Del resto, amare veramente gli animali, qualunque cosa si intenda con questa espressione, dovrebbe significare, in primo luogo, rispettarli: vale a dire rispettarne la specificità, l'alterità. Non li ama veramente colui che, sforzandosi di umanizzarli, li trasforma in una caricatura dell'uomo: ad esempio colui che insegna ad un cagnolino a stare ritto sulle zampe posteriori, a scodinzolare, a ballare al suono di una musica, e via dicendo. Non è indice di amore il fatto di voler trasformare l'animale in un pagliaccio.
Questa riflessione ci riconduce a una semplice verità, di carattere generale e valida anche nel rapporto fra esseri umani: non vi è amore senza rispetto dell'altro; e rispetto significa vedere nell'altro un «tu» nel quale vi sono, sempre, più cose di quanto non appaia; nel quale vi è un margine ontologico irriducibile, un resto che non si esplica mai interamente negli atti esteriori: in breve, una dimensione sacra che esige rispetto, indipendentemente dalle azioni, buone o cattive, di cui l'altro si rende autore nelle contingenze della vita.
Riconoscere la presenza di un tale resto, di un tale fondo ontologico irriducibile, è la premessa indispensabile affinché si possa instaurare un qualsiasi rapporto profondo tra l'io e il tu: a cominciare, appunto, da un rapporto di amore.