Sabato prossimo saranno trascorsi quaranta lunghi anni. Il 12 dicembre del 1969 quattro attentati cambiarono la storia d’Italia. 16 morti e cento feriti a Milano, nella Banca Nazionale dell’Agricoltura di piazza Fontana. Alla vicina Bnl un’altra bomba verrà ritrovata inesplosa. A Roma 14 feriti in un’agenzia Bnl e quattro all’Altare della Patria. Veniva iniziata così quella strategia della tensione subito indirizzata, da uno scellerato patto tra Dc e Pci, in quindici anni di strisciante guerra civile e di cruento conflitto tra “opposti estremismi” che servì al sistema dei partiti a riprendere il controllo sulle masse giovanili sfuggito in due anni di “movimento”. I due maggiori partiti italiani, espressione coloniale della divisione del mondo tra Washington e Mosca sancita nel 1945 a Jalta, volevano così mantenere il proprio blocco d’ordine e il proprio potere politico. Calpestando le idee, la pelle e gli stessi corpi di due e più generazioni di giovani italiani alle quali cancellavano il presente e il futuro.
In questi quarant’anni fiumi di inchiostro sono stati versati seguendo apparenze di verità diventate inchieste, processi, versioni-stampa. Teoremi costruiti sul nulla. Su Valpreda e gli anarchici, su Freda, Ventura, Giannettini, su Maletti e La Bruna, su Zorzi, Maggi e Rognoni. Mai nessuno a sottolineare la cornice reale nella quale si svolsero quei fatti di sangue. La contestazione giovanile, appunto, che minacciava la stabilità dell’ordine partitocratico italiano. Ma anche i due diversi letti su cui sorgevano e sarebbero poi defluiti gli anni di piombo: la linea della lotta armata (iniziata con Feltrinelli e incardinata da assassinii, stragi e sequestri fino agli anni ‘80) e il contesto internazionale nel quale l’Italia, la Germania, la Grecia e la Turchia diventavano il ventre molle del Mediterraneo, teatro di destabilizzazione congiunta est-ovest. Già. Proprio quest’ultimo fatto storico è stato in tutti questi anni deliberatamente rimosso dalle possibili motivazioni della crisi interna italiana e della tensione politica che devastava la nostra terra... In breve, seguendo una cronologia.
Guerra dei Sei Giorni, 5 giugno 1967. Israele aggredisce gli Stati arabi e occupa il Golan siriano e il Sinai egiziano. 3 giugno 1968. Prima azione di “al Fatah” nei territori occupati da Israele. Primo martire “palestinese”: Roger Coudroy, giovane ingegnere belga delle “Brigate Europee”. Febbraio 1969-agosto 1970: “guerra di attrito” tra Israele ed Egitto. Tel Aviv mobilita in suo favore, attraverso il Mossad e l’MI5 i “servizi” occidentali: tra questi, l’Ufficio D del Sid, guidato dal generale Maletti. Autunno ‘69: nascita in Italia del gruppo extraparlamentare “Lotta Continua” e del suo “antifascismo populista” in conflitto con il “neofascismo reazionario” che occhieggiava al regime golpista dei colonneli greci. Conseguenti infiltrazioni di agenti in tutti i gruppi extraparlamentari. 12 dicembre 1969. La grande strage. Italia diventata terra di assassinii e destabilizzazione. Monito contro chiunque intendesse voltare la pagina di Jalta e restituire alla nostra nazione la sua sovranità, magari dichiarando il diritto del popolo palestinese alla sua autodeterminazione.
Questa è la nostra lettura degli anni di piombo. L’unica possibile: una lunga stagione di lotta armata e di bombe doveva giovare a qualcuno. Senza movente i delitti non si compiono.
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