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Alle periferie di Copenhagen: viaggio intorno al vertice

di Andrea Degl'Innocenti - 10/12/2009

Il vertice che riunisce i potenti mondiali può diventare un'occasione per organizzare eventi, manifestazioni, contestazioni ma anche un pretesto per regolare conti in sospeso. O ancora lo spunto per rivolgere il proprio sguardo amaro sul mondo.

 

greenpeace
L' Enel ha chiesto un risarcimento a Greenpeace per 1,6 milioni di euro per aver protestato contro le centrali a carbone
Il vertice mondiale sul clima non è una stretta di mano fra Obama e il leader cinese Hu Jintao, non passa solo per Washington, Pechino e Bruxelles. Certo Cina ed USA da sole emettono il 40 per cento dei gas serra, e l'Europa, dal canto suo, ha sempre rivendicato un ruolo da protagonista nella lotta alle emissioni nocive – è l'unica che dal '90 ad oggi è riuscita a ridurre le proprie emissioni del 13,5 per cento.

 

 

Ma il summit di Copenhagen è anche altro. È un enorme palcoscenico per le battaglie delle associazioni ambientaliste, è un occasione per tirare le somme, un pretesto per regolare vecchi conti, è un nuovo motivo di rabbia per chi è confinato al ruolo di eterno spettatore.

Di seguito proveremo ad indagare le periferie del vertice, le iniziative e le proteste nate in seno ad esso, le realtà che vi orbitano attorno, la sua onda lunga che giunge fino a noi. Vincendo la gravità mediatica che più di un sole attira gli sguardi di tutti sugli attori principali, ci spingeremo ai margini del summit, ad esplorare fatti di cronaca, curiosità ed iniziative di cui spesso i giornali non parlano.

 

Il contro-vertice. Partiamo dal cuore pulsante, Copenhagen. Stesso luogo, stessi giorni, altro vertice, quello organizzato dalle associazioni ecologiste. Il contro-forum è strutturato su più giornate tematiche: l'11 e 12 dicembre si va in piazza contro le corporation responsabili del riscaldamento climatico mentre il 13 e 14 la protesta si concentra sul sistema economico. Il 15, al grido di “produzione locale per consumo locale, cambiare il sistema alimentare non il clima” si festeggia il “Climate Agriculture Action day”. Il forum si chiude con la grande manifestazione “Reclaim the power” del 16 dicembre.

 

Enel denuncia Greenpeace. Regolare vecchi conti, dicevamo. Torniamo in Italia ed ecco che Enel, l'azienda maggiore responsabile delle emissioni di co2, chiede un risarcimento a Greenpeace per 1,6 milioni di euro per aver protestato contro le centrali a carbone. Greenpeace compie questo tipo di azioni fin dal 2006 e il fatto che la denuncia sia scattata proprio adesso suona come una richiesta minacciosa di abbassare i toni, per evitare danni di immagine in occasione del vertice.

Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace Italia, non ci sta. “Se Enel pensa di intimidirci [...] si sbaglia di grosso. Il carbone è la fonte energetica con le maggiori emissioni di CO2, sia in assoluto che in termini relativi, e i piani di Enel di espandere la produzione a carbone non faranno altro che accelerare i cambiamenti climatici. Invece di investire massicciamente in fonti rinnovabili, l’Enel è in Italia di gran lunga il primo produttore a carbone e solo il terzo nell’eolico”.

 

 

in piazza per il clima
57 organizzazioni italiane riunite nella coalizione “In marcia per il clima” organizzano in molte città d'Italia l’iniziativa “100 Piazze per il clima”
100 piazze per il clima. Il 12 dicembre è la data per chi vuole scendere in piazza e gridare a pieni polmoni il proprio impegno ai potenti della Terra. 57 organizzazioni italiane riunite nella coalizione “In marcia per il clima” organizzano in molte città d'Italia l’iniziativa “100 Piazze per il clima”, “una mobilitazione per far sentire la voce e il peso dei popoli sulla strategia che sarà adottata contro i mutamenti climatici”.

 

Alcuni esempi. Ad Empoli Legambiente organizza una pedalata collettiva per le vie del centro, a Porta Nuova Fiab Ciclobby manifesterà di fronte al tunnel “no bici”. In tantissime altre città, Roma, Messina, L'Aquila, Bologna, ecc. si scenderà semplicemente in piazza al grido di “fermiamo la febbre del pianeta!”

 

Le rendez-vous dell'hypocrisie. Scorriamo infine il dito in giù sul planisfero, oltre l'equatore. “L'appuntamento dell'ipocrisia” è il titolo dell'editoriale di qualche giorno fa dell'Observateur Paalga, un giornale africano di Ouagadougou, la capitale del Burkina Faso, uno dei Paesi più poveri al mondo. “L'Africa – si legge nell'articolo – dovrà giocare il ruolo dello spettatore”. A priori. Dovrà accettare leggi imposte da altri senza che essa possa in alcun modo opporsi, invitata senza diritto alla parola. In nessun modo potrà proteggere la propria economia, già così fragile.

E già dai primi giorni di vertice i fatti danno ragione al giornale, e si sanciscono le prime disparità. La bozza presentata dalla Danimarca fissa per il 2050 limiti diversi fra i paesi sviluppati quelli e meno industrializzati, con questi ultimi che avranno diritto al 50 per cento in meno di emissioni pro-capite. La chiusura del pezzo è amara, dolorosa e rimane conficcata in gola come una spina: “così, quindi, le grandi potenze continueranno ad inquinare impunemente e, vittime, i dannati della terra continueranno a subire, impotenti, fino a che Madre Natura ci detterà a tutti la sua legge”.