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Volano schegge nel bosco di Stalin

di Nadia Caprioglio - 10/12/2009

    
 
Il libro Sospetto e Silenzio dello storico inglese Orlando Figes ripercorre la drammatica vicenda della collettivizzazione forzata in URSS, promossa da Stalin negli anni trenta.
Il lavoro di Figes restituisce un’analisi del fenomeno che privilegia soprattutto il lato umano della vicenda e le storie personali delle vittime. L’autore basa il suo lavoro principalmente sulla documentazione privata e sulle testimonianze dirette della gente comune che si trovò coinvolta nella collettivizzazione. Dal lavoro di Figes emerge dunque una pagina dolorosa e controversa della storia russa, ricca di figure umane significative e complesse.


«In una tiepida sera estiva, il 28 luglio 1938, la nonna era scesa in giardino a raccogliere i lamponi, lasciando alla nipotina Nelli le cure della sorella Angelina mentre la madre, Zinaida Bušueva, allattava il piccolo Slava e preparava la cena. Da quando nove mesi prima suo padre era stato arrestato, Nelli era abituata a dare una mano in casa, nonostante avesse solo quattro anni. Quando la porta d’ingresso si aprì e comparvero due agenti dell’Nkvd, Zinaida aveva Slava al petto. I due le ordinarono di rivestirsi e la portarono insieme ai bambini al comando dell’Nkvd. Pochi minuti dopo la nonna di Nelli rientrò con i lamponi: la casa era deserta, la famiglia sparita». Come insegna un vecchio adagio russo, che si presta ottimamente alle sperimentazioni di ingegneria sociale di Stalin «quando si taglia un bosco, volano le schegge»: il bosco è l’Unione Sovietica, le schegge i milioni di persone vittime della collettivizzazione forzata fra il 1929 e il 1931 e del grande terrore degli anni 1937-1938, le tante famiglie come i Bušuev la cui vita privata ha subito un impatto senza precedenti da parte del sistema totalitario. La storia dello stalinismo è fatta di rapporti, resoconti, decreti pubblici o segreti che fanno emergere gli aspetti più evidenti del terrore, gli arresti, i processi, i lavori forzati: su questi documenti esistono molti libri, molti memoriali; ma la storia dello stalinismo è anche un immenso terreno di documenti personali, lettere, diari, fotografie, che fino a pochi anni fa i sopravvissuti tenevano nascosti nelle abitazioni private di tutta la Russia. […] Percorrendo la strada della storia orale, aperta da Aleksandr Solženicyn con Arcipelago Gulag, Figes ricostruisce la sfera morale di molte esistenze che vanno lette come variazioni di un tema comune, lo stalinismo. Miseri contadini della provincia e sofisticati abitanti della capitale, esecutori e collaboratori, deportati e bambini, milioni di persone vivevano nel costante stato di paura che spezza i legami personali, spesso imparando a condurre una doppia vita, a nascondere a volte anche ai propri figli opinioni, valori e tradizioni di famiglia, imparando a parlare sottovoce. […]
Figes ritaglia un ampio periodo di tempo, dal 1917 ai giorni nostri, e accompagna il suo racconto con molte testimonianze: alcune storie sono frammentarie, altre toccanti, come quella della donna che per avere qualcosa in cui credere nel campo di lavoro dà alla luce un bambino che vedrà morire di stenti un anno più tardi, o quella del padre atteso per quindici anni di cui si saprà che era morto il giorno del suo arresto.
Un altro «accompagnatore» della storia di Figes è la figura di colui che passa dalla repressione alla consacrazione, dalla vergogna agli onori; per esempio Konstantin Simonov che, di origine nobile, diventa cantore ufficiale dello stalinismo, fa carriera fra mille contraddizioni; oppure Aleksandr Tvardovskij, il coraggioso editore di Novyjmir negli anni del «disgelo», che per salvarsi aveva rinnegato la propria famiglia perseguitata in nome delle lotta ai contadini ricchi. Questi «accompagnatori» sono la vera novità dell’opera, che si basa sia su un grande lavoro d’archivio, che su numerose fonti specializzate, oltre che sulla letteratura russa. Qual è la tesi centrale di queste seicento pagine? La violenza… Nell’opera non c’è una risposta per chi vuol sapere da dove provenga: l’idea è che la causalità storica sia cosa misteriosa e labirintica. Angelina, la figlia di Zinaida Bušueva, ricorda che la madre era ritornata dalla prigionia fredda e severa: mai un gesto affettuoso, una carezza sui capelli, un abbraccio; era incapace di dare qualcosa dal punto di vista spirituale o emotivo. «La verità è che dopo la detenzione non aveva più niente da dare».

Orlando Figes, Sospetto e silenzio, trad. di Luisa A. Dalla Fontana Mondadori, pp. 647, € 38.