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Nel santuario dei mandarini rossi

di Sergio Romano - 10/12/2009

   
 
Sergio Romano analizza la situazione della Cina contemporanea con le sue contraddizioni di natura sociale, politica ed economica, attraverso la figura di uno dei personaggi chiave del XX secolo, Deng Xiaoping.
Deng Xiaoping, per molti anni ai vertici della politica cinese, fu responsabile, a partire dagli anni settanta, dell’apertura della Cina all’economia di mercato e dunque del suo rapido sviluppo economico e sociale. Tuttavia, a tale sviluppo sono legate una serie di profonde contraddizioni che rimangono insolute e che rendono difficile prevedere come si evolverà la situazione nei prossimi anni. Ulteriore incertezza è data dal fatto che tra non molto occorrerà un ricambio generazionale ai vertici del partito, il quale rende difficile prevedere quali saranno i futuri risvolti politici.


In un libro recente di Fabio Cavalera sulla Cina «impopolare» vi sono due pagine in cui vengono elencati alcuni dati. A pagina 179 l’autore ricorda che l’ammontare dei depositi nelle banche cinesi è cresciuto, dal 1978, di 818 volte; che il reddito pro capite annuale è cresciuto di 40 volte; che la popolazione rurale costituiva nel 1978 l’80 per cento della popolazione e rappresenta oggi il 45 per cento; che il numero delle centrali nucleari è passato da zero a undici; che il numero dei veicoli (auto, bus, camion) è passato da 1.350.000 a 40 milioni; che i 165.000 laureati del 1978 sono oggi quattro milioni; che i cinesi mangiavano mediamente un chilo di carne all’anno e ne mangiano oggi 32. A pagina 93 invece il lettore troverà le cifre che riassumono il terremoto del 12 maggio 2008: novantamila morti, quattrocentomila feriti, cinque milioni di persone senza casa.
Le prime cifre sono il risultato di una rivoluzione che cominciò nel dicembre 1978 quando un piccolo uomo (poco più un metro e 50) convinse il Comitato centrale del Partito comunista cinese a pubblicare un documento che è noto da allora come il programma delle «quattro modernizzazioni». Lo lessi pochi mesi dopo, alla vigilia di un viaggio in Cina, e pensai ai soliti documenti apparentemente riformatori, scritti nella legnosa lingua degli apparati, che uscivano regolarmente dalle segreterie dei partiti comunisti.
Non avrei commesso questo errore se avessi saputo che il responsabile dell’iniziativa, Deng Xiaoping, era uno dei più singolari personaggi del comunismo cinese. Era partito per la Francia all’età di 16 anni. Aveva studiato, lavorato, imparato il gioco del bridge e i rudimenti del pensiero politico; e al ritorno in patria, dopo quattro anni, si era iscritto al Partito comunista. Prese parte alla Lunga Marcia, ebbe incarichi militari e fece una brillante carriera sino a sfiorare il vertice del partito. Troppo brillante, probabilmente. Per due volte (la seconda all’epoca della Rivoluzione culturale) Deng fu vittima di epurazioni temporanee e rischiò in una occasione la vita. La terza cadde nel 1975 durante una sua conversazione con Mao. Come ricorda Cavalera, il «grande timoniere», benché debole, sofferente, afflitto da problemi cardiaci e dal morbo di Parkinson, dominava ancora dispoticamente il partito e il Paese. «Compagno Mao — chiese Deng — che cosa pensi del mio lavoro?». Mao lo guardò sospettosamente e, con un filo di voce, rispose: «Compagno Deng, sei una persona che, al 70 per cento, ha idee corrette. Ma al 30...».
Non era una promozione con riserva. Era, nello stile delle nomenklature comuniste, una bocciatura. Nelle settimane seguenti il compagno Deng fu colpito dalla sua terza scomunica. Ma la morte di Mao e la debole guida del suo successore, Hua Kuo-feng, gli riaprirono le porte della Città proibita. Fu quello il momento in cui Deng poté finalmente cambiare la Cina. Se non fosse già stata usurpata a proposito di Mao, la definizione di «grande timoniere» si adatterebbe perfettamente alla sua persona.
Il libro di Cavalera, edito da Bompiani, spiega bene quale fosse la filosofia del piccolo timoniere. Liberò gli «spiriti animali» della società cinese e, come un famoso primo ministro francese all’epoca di Luigi Filippo, esortò i suoi connazionali ad arricchirsi. Ma sapeva che la crescita economica avrebbe sconvolto tutti gli equilibri sociali del Paese e messo a rischio la stabilità del regime. Nasce così, grazie a Deng, una sorta di mostro politico, un ibrido in cui le catene dell’economia dirigistica vengono progressivamente spezzate, ma il partito conserva intatto il controllo delle idee, impone la propria disciplina e punisce severamente, come all’epoca del massacro di Tien An Men, tutti coloro che osano trasgredire. In nome del comunismo? No. Benché il partito continui a chiamarsi comunista, l’ideologia dominante è una versione particolarmente autoritaria del pensiero confuciano, una filosofia in cui la lotta di classe è stata rimpiazzata dall’armonia.
Occorreva tuttavia garantire al meglio la stabilità del regime ed evitare i sobbalzi e i travagli che hanno quasi sempre segnato, nel momento della scomparsa del leader, gli Stati comunisti. Il libro di Cavalera offre a questo proposito elementi interessanti. Conosciamo la Città proibita meno bene di quanto conoscessimo il Cremlino all’epoca della guerra fredda, ma sappiamo da tempo che il presidente Hu Jintao e il premier Wen Jiabao andranno a riposo nel 2012, e che salirà al potere in quel momento la quinta generazione. Nel sistema cinese esiste quindi una linea di successione, come nelle dinastie, ma con un piano di rotazione e avvicendamento deciso con largo anticipo. […] A chi obietterebbe che tutto questo non è particolarmente democratico, è possibile rispondere con i dati di pagina 93 sul terremoto del 2008. Come altre catastrofi naturali degli ultimi anni, quell’evento suscitò un’ondata di rabbia e d’indignazione contro la negligenza del governo, la pessima qualità dell’edilizia rurale, il crescente divario fra la vita dei ricchi e quella dei poveri. Wen Jabao corse sul luogo del disastro, il governo si prodigò in misure assistenziali, il partito fece quadrato intorno alla sua leadership e la crisi fu superata. Ve ne saranno altre, forse molto più gravi, durante i prossimi anni. E soltanto allora sapremo se le due teste dell’aquila cinese, capitalismo e dittatura, siano condannate a divorarsi a vicenda.