La farsa di Copenhagen
di Andrea Bertaglio - 14/12/2009
In questi giorni si sta giocando una partita in teoria molto importante, quella per il clima. Nella città ospite, Copenhagen, si possono confrontare i grandi inquinatori del mondo, sia di “vecchia” che di “nuova generazione”. L’evento (il più importante a livello mondiale dalla Seconda Guerra Mondiale) vede in campo i rappresentanti di 193 Paesi con 15.000 delegati e 110 Capi di Stato e di governo, oltre ai circa 300.000 delegati di Ong ed Associazioni ambientaliste. Ma a che pro?
Il maxi-vertice di Copenhagen rischia di essere un match tra chi vuole iniziare a prendere dei seri provvedimenti e chi non lo vuole per ovvi motivi economici
Paragonare ciò che si sta svolgendo in Danimarca ad una partita di calcio dal risultato truccato è in realtà un eufemismo. Un copione già scritto, che come al solito mette in evidenza i torti subiti, i favori non ricevuti, il disaccordo su punti ritenuti marginali da alcuni e di vitale importanza da altri, sta rendendo il vertice danese una delle tante perdite di tempo, se non uno dei tanti episodi grotteschi, a cui la politica internazionale ci ha abituati.
È ancora fresco il ricordo del G8, durante il quale i sedicenti “grandi” della Terra, ospitati dal presidente Berlusconi (che per fortuna almeno lì non fece “cucù” a nessuno) in mezzo alle macerie ancora fumanti del terremoto abruzzese, non sono riusciti a concludere nulla. Nemmeno a parole. Cosa dovremmo aspettarci, quindi, dall’attuale raduno di oratori ormai sordi ad ogni richiesta proveniente dalle popolazioni che dovrebbero rappresentare (ma ovviamente non sordi ai comandi dei poteri economici)? Nulla. Come nullo sarà il risultato di una “partita” che, ancor più di una competizione sportiva truccata, ha tutte le caratteristiche di una farsa: una serie di imprese ed azioni di carattere comico e grossolano. Seppure a ridere sono rimasti in pochi.
Risparmiamoci allora di attendere la fine di quest’altro teatrino, e restiamo compatti e focalizzati su ciò che possiamo fare noi
Non abbiamo bisogno di tromboni della politica (economica) internazionale che si parlano addosso per qualche giorno, abbiamo bisogno di un cambiamento di paradigma culturale, che può partire solo da noi, dalle nostre prese di coscienza e dalle nostre scelte. Perché se anche i cambiamenti climatici dovessero essere una barzelletta, una bufala inventata per far vendere libri a qualche scienziato, ciò di cui stiamo parlando è la qualità della nostra vita.
Ben lungi dalla retorica e sì, questa volta con un filo di arroganza, mi permetto di suggerire di non sprecare più tempo con coloro i quali, in questo momento, stanno discutendo e (come avrebbe detto Edoardo Bennato) “seriamente lavorando” a Copenhagen (magari per trattare porcherie come il meccanismo Cap & Trade), ma semplicemente di fare da noi.