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Igor

di Riccardo Ianniciello - 18/12/2009

 

Leggo sul programma di viaggio la tappa successiva: ore 10.30 visita alla cittadina di Siarapaluk. E’ il secondo giorno del tour organizzato che ci porterà attraverso la Groenlandia a conoscere alcuni luoghi di questa immensa isola, la cui storia affonda le radici nei miti e nella cultura esquimese. Quando con la nave arriviamo in vista di Siorapaluk, dopo aver seguito  un lungo tratto di selvaggia costa, il colpo d’occhio è gradevole: di origine esquimese, le case in legno colorate di rosso, verde, bianco, azzurro, sembrano modellini per bambini. Nell’avvicinarci, e mettendo più a fuoco i dettagli, emergono i diversi volti di un paese che come tanti altri non ha saputo resistere all’avanzata della modernità. Accanto alle costruzioni tipiche in legno, ne sorgono altre rigorosamente moderne, dotate di pannelli fotovoltaici e di antenna parabolica. Come ho poi appreso, alcuni abitanti, una minoranza, rifiuta la tecnologia, si ostina a rimanere fedele alle antiche abitudini e preferisce, per esempio in inverno, usare la slitta con i cani. Ma i segni della società dei consumi sono ovunque: nell’abbigliamento dei giovani, nei modi di vita della gente non dissimili sostanzialmente da quelli di qualsiasi altro luogo urbanizzato. La globalizzazione ha annullato confini e distanze. La moda del pearcing è arrivata anche in queste estreme lande del nord.
  Mentre il gruppo, col quale sono giunto qua, segue docilmente la guida per le strade del paese, io sgattaiolo via nel primo vicolo che incontriamo. Ora, lontano dalla gente, posso respirare liberamente. Sono stanco di seguire come uno scolaretto il programma stabilito, di fermarmi ad orari prefissati nei classici posti dell’isola, trovandomi a fare le stesse cose,  fotografare i medesimi posti, contemporaneamente a decine di altri turisti. M’inoltro dunque dietro le quinte, nella parte vecchia del paese, quella che i tour operator non ti indicheranno mai. Le case che mi trovo davanti sono rustiche, magari da riattare ma proprio per questo più vere, senza fronzoli  architettonici  aggiunti  per  il  turista. Incontro  un’umanità  fatta  di  strani
personaggi, che sembrano usciti dalla penna di Jack London: vecchi cacciatori esquimesi, balenieri, pescatori, che vivono facendo i lavori più disparati e soprattutto di ricordi. Un vecchio nativo m’invita nella sua baracca per offrirmi un tè e per avere un po’ di compagnia. La casa è un’unica stanza annerita dal fumo della stufa. Sulle pareti, in bella mostra pendono alcuni trofei di caccia, la testa di un orso bianco e quella di un lupo. Inoltre vecchi sci di legno, una carabina e alcune paia di racchette da neve. In un inglese stentato l’esquimese mi racconta della sua vita a caccia di volpi: le pellicce di questi animali, intorno agli anni ‘60 si vendevano bene e gli consentivano di vivere più che dignitosamente, poi il crollo dei prezzi sul mercato e la conversione a guida  e musher esperto. Apprendo che ha partecipato a diverse spedizioni polari, tra le quali un'italiana, e i suoi cani, incrocio tra malamute e groenlandesi, erano i più richiesti e apprezzati. Non temevano neppure l’orso bianco e in più di un'occasione, durante le spedizioni, quando l’accampamento veniva minacciato dalla presenza di un orso, i cani  liberati lo affrontavano mettendolo in fuga.
   Una volta, nel corso di una tremenda bufera che colse l’esquimese da solo e in una zona isolata, essendo completamente incapace di vedere davanti a sé, si affidò ai cani per ritrovare la strada del ritorno, senza però crederci tanto. Accadde invece che dopo ore di marcia ininterrotta i cani lo condussero dritto alla sua abitazione. Gli chiedo di quei cani, se posso vederli.
     ─ Me ne resta solo uno, Igor, l’unico sopravvissuto ad un tragico incidente. Mentre attraversavo un fiume, il ghiaccio è ceduto sotto la slitta, trascinandosi i cani. Riuscii a salvare solo lui, prima che la corrente lo portasse via. E’ là dietro casa. Non ho più la forza di curarlo come si conviene, sono vecchio. Lui avrebbe bisogno di un padrone giovane! ─ così dicendo l’esquimese mi guarda intensamente con i suoi occhi simili a fessure. Gli dico:
     ─ Posso vederlo?  
     ─ Va tu stesso, passa da qui ─ indicandomi con la mano la porta posteriore che dà sul retro.
   Legato ad una catena, poco più lunga di un metro, sotto la legnaia, Igor mi fissa coi suoi occhi gialli di lupo. Grosso di stazza, di color grigio-fulvo è però messo male, il pelo ridotto a chiazze, le zampe posteriori un po’ piegate per l’inattività. Mi avvicino per accarezzarlo, ma sento il suo ringhio sordo.
 
   Seduto sul ponte, mentre la nave guadagna il largo, guardo l’isola insolitamente verde per queste latitudini, le  coste alte e frastagliate, le sue insenature, simili a tanti fiordi; sopra di me il grido di sule, albatri e gabbiani, splendidi alianti viventi. Igor è accovacciato ai miei piedi, i suoi occhi gialli fissano il vuoto. Sembra diffidare di tutto. L’esquimese mi ha stretto forte la mano, quando gli ho detto che prendevo con me il cane, un modo per dirmi grazie. Ho dovuto lottare non poco per convincere il comandante della nave a lasciarmelo portare a bordo. Per fortuna alcuni passeggeri sono intervenuti, perorando la mia causa. E’ stato il suo aspetto malridotto a colpirmi e la sua triste condizione: Igor come tanti altri cani nordici è stato usato a pieno regime, sfruttato in ogni sorta di mansioni e quindi, come una comparsa, messo da parte, legato ad una catena a morire d’inedia. In quando alla sua potenziale pericolosità nei confronti degli altri cani, come qualcuno a Siorapaluk ha sostenuto, non debbo temere: Igor è  un cane ancora robusto, ma troppo provato dalla vita, indebolito, fiaccato, per tener testa e competere con altri cani. E’ un pugile alla fine della sua carriera, un vecchio combattente stanco di lottare. Lui ha bisogno solo di stare in pace, di un meritato riposo.  E' quello che mi accingo a dargli. Piuttosto il problema è inverso: sono i cani del mio condominio a preoccuparmi. Non sarà facile farli abituare alla sua presenza. Sentiranno  il suo odore, l’odore del lupo e vorranno combattere con lui.  Igor avrebbe la peggio. E’ troppo conciato male per potersi difendere bene. Bisognerà fare molta attenzione. In particolare a Darko, un dogo argentino. Il padrone, un cuoco di mezza età, snello e di bassa statura è fissato per le tecniche d’addestramento che ha appreso leggendo chissà quanti manuali sull’argomento e trascorre ore ed ore ad esercitarsi col cane, sottoponendolo – poverino – ad una dura disciplina, fatta di strattoni, ammonimenti, rigidi comandi. Il cane  è incattivito e sbranerebbe qualsiasi cosa si muova che gli capiti a tiro. Credo che attraverso il cane egli operi una proiezione di se stesso, riscattando così il suo senso d’impotenza e di frustrazione
   Un altro abitante canino del parco è Rambo, un pastore tedesco  piuttosto aggressivo che il suo padrone, un medico in pensione, porta in giro ad orari fissi, tre volte al giorno. Ha per il cane una cura maniacale, lavandolo e strigliandolo continuamente, ma per fortuna non è così preso per l’addestramento. Unico neo, la poca libertà di movimento che concede al cane. Il medico è una persona gentile ma molto restio a dare confidenza, come se volesse mantenere le distanze col mondo intero.
   Giunto finalmente a casa dopo il lungo viaggio, il cane è inquieto: il traffico e i rumori di una città come Milano sono insopportabili per un cane che è vissuto circondato solo dai suoni della natura. Per questo decido di portarlo giù alle prime ore del mattino e alla sera tardi, in orari nei quali i rumori sono minori e c’è anche meno gente. 
   L’incontro con i cani del parco è però inevitabile. Una mattina, all’alba, con un lungo guinzaglio tento di far correre il più possibile Igor, quando compare il medico con Rambo. L’uomo non sembra stupito di vedermi col cane. Rambo s’impenna e abbaia, digrignando i denti. Igor al mio fianco resta immobile, impassibile, limitandosi ad osservarlo. Probabilmente si rende conto di trovarsi di fronte a un cane temibile.
     ─ Faccia attenzione a non lasciarlo libero il suo cane, non vorrei che si facessse del male! ─ mi dice il dottore, con un tono che assomiglia ad un ammonimento.
     ─   Non è nelle mie intenzioni farlo! ─ lo rassicuro.
     ─  Ecco bravo, con i cani non si scherza! ─ abbozzandomi un sorrisetto sarcastico.
  Quel “bravo” e il sorrisetto che compare sulla sua bocca  mi seccano alquanto. Non avevo prima d’ora avuto modo di parlare con questo signore. Ci limitavamo a scambi formali di saluti e non mi era parso arrogante.
  Con il padrone di Darko, le cose non vanno meglio. E’ sera, sul tardi, sono nel parco, quando vedo il cuoco ed il suo cane. Un incontro che avrei evitato volentieri. Darko ringhia col pelo ritto, strattonando forte il corto guinzaglio, l’uomo ci guarda dapprima con aria stupita, poi come se avesse  realizzato chissà quale strana idea, ridacchia. Igor è al mio fianco, tranquillo. Con i suoi acciacchi credo sia contento di sapere Darko legato. L’uomo mi dice, guardando il cane:
     ─ Dove l’ha pescato così conciato, sembra l’ombra di un animale! ─ Non gli rispondo e mi allontano.
    Non riesco a capire come certa gente si senta autorizzata ad offenderti così, gratuitamente!
  Intanto passano i mesi e Igor sembra trasformato: ha acquistato un nuovo aspetto, il suo pelo da opaco è divenuto folto e lucido. Ora si lascia accarezzare ma senza ringhiare, solo di tanto in tanto emette un lieve brontolio. Quando rientro a casa mi viene incontro pur senza correre, come se ci tenesse a mantenere una posizione distaccata, ma lo scodinzolio tradisce uno stato d’animo diverso.
   Un giorno decido di slegarlo, lasciandolo libero di correre. Per evitare incontri vado in montagna. Scelgo un vecchio sentiero di minatori, fuori dai tracciati affollati. Igor è eccitato, sente l’aria dei boschi e i grandi spazi intorno a sé. In un’ampia radura circondata da alberi lo libero. Inizia a correre in cerchio, sorprendentemente veloce, facendo improvvisi zig-zag e inseguendo chissà quali prede immaginarie. Poi si ferma  a fiutare a terra. Adesso scava in cerca di talpe. E’ uno spettacolo vederlo!
   Improvvisamente sbuca dal bosco un cane da pastore abruzzese, che trotterellando piuttosto velocemente, si avvicina a Igor. Non faccio in tempo ad evitare lo scontro, i due cani sono già un groviglio di muscoli e denti. Penso al peggio. Poi la lotta cessa: Igor è sul pastore, il corpo rigido, pronto ad azzannarlo, mentre questi supino gli mostra la gola. Non oso avvicinarmi. Sento in lontananza la voce del padrone che lo chiama e approfitto dell’attimo in cui Igor muove la testa per tirarlo via. E’ stato fortunato, penso. Dei cani-pastori è notoria la loro forza, questo doveva essere vecchio. Gli è andata bene. Chissà cosa sarebbe accaduto se si fosse trovato davanti  a un giovane cane  in forze!
  
   La nuova esistenza di Igor trascorre tranquilla nel grande condominio, il cane sembra essersi un po’ abituato ai rumori e alla vita della città, è meno diffidente, anche se non si lascia ancora avvicinare dalla gente, solo i più piccoli possono farlo. Il rapporto con i suoi colleghi canini del parco continua all’insegna della totale indifferenza, come se per lui gli altri cani non esistessero.
  Non ho potuto fare a meno di notare, quando incontriamo Darko e Rambo, sul viso dei loro rispettivi padroni, un’aria un po’ironica, da sfottò, dei sorrisetti che si accompagnano a battutine, ora per un aspetto, ora per un altro. Insomma ho la netta sensazione che il cane venga preso in giro e con lui anch’io. Un martedì,  il cuoco e il dottore sono insieme nel parco, quando li sento chiaramente ridere al nostro indirizzo ed  afferro una parola, “pauroso” o “timoroso”, non so se rivolta al cane, a me o ad entrambi. Questi ed altri commenti burleschi mi infastidiscono, soprattutto per il cane, che non capisco per quale motivo debba essere preso così di mira. Poi, non contenti, entrambi si divertono a far finta di liberare il  proprio cane per impaurirmi, uno scherzo decisamente sopra le righe, mentre Igor al solito rimane impassibile, sollevando solo un poco la coda. Mi avvicino per chiedere spiegazione del loro deplorevole comportamento, quando ad un tratto Darko si libera dal guinzaglio, non so  bene  in  che modo, e scatta  di corsa verso Igor per fermarsi a pochi passi da  lui. Cerco di scacciarlo via, facendo la voce grossa, ma inutilmente. Chiamo il cuoco ma lui resta dov’è, senza spostarsi di un solo centimetro.
    I due cani ora sono uno di fronte all’altro, si fiancheggiano spalla a spalla, si studiano, i muscoli del corpo incredibilmente tesi. Il dogo argentino è massiccio, ostenta sicurezza, la coda eretta al massimo: se mi avvicino a questo punto non sarei d’aiuto a nessuno dei due cani, anzi peggiorerei le cose. A sorpresa, con furia, il dogo argentino cerca di azzannarlo al collo, ma Igor para il colpo con uno strano guizzo del posteriore, per attaccarlo a sua volta alla spalla, facendogli così perdere  l’equilibrio. Il cane del cuoco si immobilizza: sa di essere andato sotto, offre la gola pur continuando a ringhiare. Con molta attenzione, lentamente, riesco a tirare Igor per il collare quel tanto che permette all’altro di mettersi in salvo. Guardo il cuoco che non si è mosso dalla sua posizione: è assolutamente sbiancato. Il medico che gli è vicino, stranamente, dopo aver incrociato il mio sguardo, si allontana velocemente con Rambo.
   Sono stupito e contento allo stesso tempo, sì, contento per l’esito dello scontro. Igor si è dimostrato un formidabile cane e anche molto equilibrato. Non ha infierito sull’avversario, pur se poteva farlo.                    Sono orgoglioso di lui. Il vecchio esquimese me l’aveva detto che Igor fosse un ottimo cane, un autentico lupo del nord. Dovevo credergli.

 

riccardo.ianniciello@yahoo.it