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Il fondamento dell’inganno pubblicitario

di Tonino Fabbri - 18/12/2009

Fonte: appelloalpopolo

 

Stefano D’Andrea ci ha ricordato che secondo Baudrillard gli uomini privati della pubblicità si sentirebbero frustrati come se fossero posti di fronte a “muri vuoti” come se fossero privati di una possibilità  (Le teorie politiche radicali e la pubblicità).

 

Baudrillard è stato un abile manipolatore di concetti, al pari di un bravo pubblicitario; ma le sue manipolazioni sono ingenue, almeno quanto egli ritenga ingenui i poveri consumatori che sarebbero posti di fronte a sconfortanti muri vuoti se questi non fossero riempiti magari da manifesti pubblicitari. Baudrillard forse nella sua fertile immaginazione non riusciva a pensare che si potrebbero sostituire le immagini pubblicitarie con altre immagini in grado di dare conforto agli uomini. Le nostre città pullulano di immagini: vi sono quelle della pubblicità e vi sono, per esempio, quelle dei graffiti metropolitani, che, se fatti ad arte sono molto più piacevoli e significativi dei manifesti pubblicitari (basti pensare ai murales sardi, che se non possono essere confusi con i graffiti ne condividono l'idea dell'espressione delle abilità personali). Naturalmente i murales e i graffiti trovano molti più ostinati avversari nelle amministrazioni pubbliche locali. L'inganno della pubblicità che trova come sostenitore Baudrillard è quello di voler associare ciò che è piacevole davvero a ciò che si vuole vendere.

 

La comunicazione pubblicitaria induce al consumo, che va oltre la semplice necessità; soprattutto nel caso del consumo voluttuario, per questo deve inventare e comunicare un prodotto che non esiste. Molte delle differenze tra i prodotti che sono comunicate sono di tipo artificiale. In molti casi le differenze tra i prodotti non esistono, esistono invece le differenze tra le marche; il consumatore non paga per il valore della merce, ma per quello che la pubblicità attribuisce alle marche (La condizione di consumatore è la moderna forma di asservimento).

 

Pur di vendere le aziende sono disposte a tutto: i consumatori possono essere ingannati perfino nelle etichette le quali dovrebbero invece essere fatte soprattutto per informare il consumatore correttamente (http://www.disinformazione.it/etichette_ingannevoli.htm). Secondo una affermazione ricondotta al pubblicitario David Lubars: “i consumatori sono come gli scarafaggi: dopo un po' il solito insetticida non basta più, li devi spruzzare con roba più forte”. Lubars rappresenta il tipico pubblicitario la cui identità è stata descritta dal pentito Frédéric Beigbeder: “sono un pubblicitario: ebbene sì, inquino l'universo. Io sono quello che vi vende tutta quella merda. Quello che vi fa sognare cose che non avrete mai. Io vi drogo di novità, e il vantaggio della novità e che non resta mai nuova. C'è sempre una novità più nuova che fa invecchiare la precedente. Farvi sbavare è la mia missione. Nel mio mestiere nessuno desidera la vostra felicità perché la gente felice non consuma” (Frédéric Beigbeder, Euro 13,89, Feltrinelli, 2002, pagina 134).

 

Il compito dei pubblicitari è quello di formulare sempre nuove soluzioni pubblicitarie. Si sostiene che nei confronti dei pubblicitari: “[...] non c'è equipe di sociologi che sia in grado di rivaleggiare in materia di ricerca e di utilizzazione di dati sociali fruibili. I pubblicitari possono spendere ogni anno miliardi di dollari per la ricerca e lo studio delle reazioni del pubblico, e la loro produzione è una straordinaria accumulazione di dati sulle esperienze e i sentimenti comuni a tutta la società ( Luigi Combariati,  Operación limpieza, Robin Edizioni, 2006, pagina 135).

Il messaggio pubblicitario non è necessariamente soddisfacente per il consumatore, che non avverte necessariamente il bisogno desiderato dal pubblicitario e dalla marca che paga la pubblicità; ecco che sorge la necessità di collegare il messaggio pubblicitario a qualche elemento di attrazione migliore della comunicazione pubblicitaria. Normalmente l'annuncio pubblicitario è collegato ad uno sketch, una breve scenetta che migliori la comunicazione pubblicitaria. A volte la comunicazione pubblicitaria viene annullata dallo sketch. Chi non ricorda lo spot nel quale un signore mentre lava i piatti sente l'avvenente vicina gridare: “adesso esco e vado col primo che incontro!” e si fa trovare fuori dalla porta della signora esclamando un ammiccante “buonasera”. Eppure se si chiede a delle persone che cosa fosse pubblicizzato in quello spot potrebbero rispondere più frequentemente un detersivo per i piatti, piuttosto che una italica marca di un'azienda produttrice di automobili. Lo sketch funziona, la comunicazione pubblicitaria associata no.

 

In Italia il pubblico ha ricevuto una lunga educazione all'associazione dello sketch con la comunicazione pubblicitaria attraverso il vecchio Carosello nel quale al lungo sketch si associava un breve richiamo pubblicitario; nel Carosello lo sketch spesso non aveva nulla a che vedere con la marca, o con il prodotto; con il tempo lo sketch è diventato più breve e si è tentato di renderlo sempre più strettamente collegato al prodotto, come nel caso di un cioccolatino che rimane da solo e conteso tra una signora e un signore alla fine di una festa, fino a quando non finisce mangiato da un ospite tornato nella casa a cercare le chiavi.

Contrariamente a quanto sosteneva Baudrillard nel sistema degli oggetti ciò che manca all'uomo non sono gli spot, sono gli sketch cioè una spontanea e piacevole rappresentazione, così come possono mancare delle rappresentazioni artistiche.