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Ripensando Ivan Illich

di Peppe Sini - 10/04/2006

Fonte: Peppe Sini

 

1. Filippo Trasatti: Ripensando Ivan Illich
2. Francesco Scotti: Ivan Illich. "Nemesi medica" un quarto di secolo dopo
3. Filippo Trasatti intervista Paolo Perticari: Ivan Illich. L'ascesi
dell'altro
4. Filippo Trasatti: Ivan Illich. Leggere il presente nello specchio del
passato

1. MEMORIA. FILIPPO TRASATTI: RIPENSANDO IVAN ILLICH
[Da "A. rivista anarchica", anno 33, n. 294, novembre 2003 (disponibile
anche nel sito
www.arivista.org).
Filippo Trasatti insegna filosofia e storia in un liceo alla periferia di
Milano; si occupa di pedagogia libertaria e di formazione nella didattica
della filosofia; e' stato redattore di "Volonta'", e' redattore per la
sezione "pedagogia" della rivista "Ecole" e collabora da anni con "A.
rivista anarchica". Tra le opere di Filippo Trasatti, Lessico minimo di
pedagogia libertaria, Eleuthera, Milano 2004.
Ivan Illich e' nato a Spalato nel 1925; laurea in mineralogia a Firenze,
studi ulteriori di psicologia, arte, storia (dottorato a Salisburgo);
ordinato sacerdote nel 1951, per cinque anni opera in una parrocchia
portoricana a New York, poi e' prorettore dell'Universita' Cattolica di
Portorico; a Cuernavaca (Messico) fonda il Cidoc (Centro interculturale di
documentazione); docente in varie universita', conferenziere, studioso
costantemente impegnato nella critica delle istituzioni e nella indicazione
di alternative che sviluppino la creativita' e dignita' umana; pensatore
originale, ha promosso importanti ed ampie discussioni su temi come la
scuola, l'energia, la medicina, il lavoro. E' scomparso nel 2002. Tra le
opere di Ivan Illich: Descolarizzare la societa', Mondadori; La
convivialita', Mondadori, poi Red; Rovesciare le istituzioni, Armando;
Energia ed equita', Feltrinelli; Nemesi medica: l'espropriazione della
salute, Mondadori, poi Red; Il genere e il sesso, Mondadori; Per una storia
dei bisogni, Mondadori; Lavoro-ombra, Mondadori; H2O e le acque dell'oblio,
Macro; Nello specchio del passato, Red; Disoccupazione creativa, Red; Nella
vigna del testo, Cortina. Raccoglie i materiali di un seminario con Illich
il volume Illich risponde dopo "Nemesi medica", Cittadella, Assisi 1978.
Cfr. anche il libro-intervista di David Cayley, Conversazioni con Ivan
Illich, Eleuthera, Milano 1994. Utile anche il volume di AA. VV., Le
professioni mutilanti, Cittadella, Assisi 1978 (che si apre con un
intervento di Illich). Dal medesimo fascicolo di "A. rivista anarchica"
riprendiamo anche la seguente scheda su Ivan Illich: "Ivan Illich
(1926-2002). Nato nel 1926 a Vienna da un padre di nobili origini dalmate e
da una madre ebrea sefardita, fin da piccolo compi' frequenti viaggi in
Europa e rimase fino all'ultimo un instancabile viaggiatore. La sua
formazione avvenne tra Salisburgo, Firenze, Roma, ma Illich non ebbe mai un
buon rapporto con le scuole, ne' con le discipline. Era sociologo, filosofo,
linguista (conosceva una decina di lingue), teologo, ma forse piu' di ogni
altra cosa uno storico delle istituzioni. Dopo la formazione teologica
all'Universita' Gregoriana in Vaticano, fu ordinato prete ed ebbe come primo
incarico la cura di una parrocchia a prevalenza portoricana vicino a
Manhattan. E' li' forse che nel cuore del primo mondo a contatto con i
reietti, gli ultimi, comincio' a capire i meccanismi dell'esclusione e
dell'alienazione degli individui attraverso l'istituzionalizzazione della
vita. Nel 1956 divenne vicerettore dell'Universita' di Puerto Rico, e nel
1961 fondo' il Centro interculturale di documentazione (Cidoc) a Cuernavaca
in Messico, un centro in cui passo' gran parte dell'intellettualita'
radicale degli anni Sessanta e Settanta, centro che avrebbe dovuto formare i
volontari e missionari per i paesi del terzo mondo. Qui nasce la critica di
Illich allo sviluppo, all'idea stessa di paesi in via di sviluppo,
condannati a un'eterna poverta' dall'impari confronto con i paesi gia'
sviluppati. Contemporaneamente Illich si impegnava contro la guerra, le
banche, le grandi corporation, e percio' riusci' facilmente a divenire
sospetto alla Cia, al governo americano e al Vaticano. Il Santo Uffizio
comincia un procedimento contro di lui e Illich abbandona il proprio abito,
la funzione sacerdotale e la Chiesa. Gli anni Settanta furono quelli della
notorieta' per la pubblicazione dei suoi scritti piu' noti e polemici sulla
critica alle istituzioni, della scuola, della salute, per una rivoluzione
nonviolenta verso un modello sociale di convivialita'. Nei decenni
successivi continuo' a lavorare secondo uno stile diverso: conferenze in
ogni parte del mondo, brevi saggi che esploravano nuovi campi dei suoi
multiformi interessi, seminari interdisciplinari con gruppi di collaboratori
scelti al di fuori dell'istituzione accademica, provenienti da ogni parte
del mondo, soprattutto alle universita' di Brema e della Pennsylvania. Ecco
alcuni dei temi affascinanti dei suoi ultimi scritti: la velocita',
l'esperienza del dolore nella contemporaneita', i mutamenti nello sguardo
nell'epoca delle immagini, la mente alfabetizzata e l'impatto con il
computer. Tra i suoi libri tradotti in italiano, ma in parte non piu'
disponibili, si possono ricordare: Descolarizzare la societa' (Mondadori,
1972), La convivialita' (Mondadori, 1974), Nemesi medica (Mondadori, 1977),
Il genere e il sesso (Mondadori, 1984), Lavoro ombra (Mondadori, 1985),
Nello specchio del passato (Red, 1992), Nella vigna del testo (Cortina,
1994). Particolarmente interessante per avere un'immagine del percorso di
Illich e' il libro Conversazioni con Ivan Illich (a cura di David Cayley),
Eleuthera 1994"]

Ho incontrato Illich una sola volta a un convegno sulla scrittura a Milano,
lo stesso di cui parla Paolo Perticari nella conversazione qui raccolta. Era
gia' malato da tempo, con quel tumore orribile che gli sfigurava il volto e
che era quasi imbarazzante guardare.
Tenne la sua conferenza sul tema della nascita del libro e della lettura
scolastica in italiano, con il suo stile acuto, brillante e asciutto. Non fu
tanto quel che disse, che avevo gia' letto nel suo libro, ma per la sua
presenza che mi convinse di aver avuto ragione a considerarlo un maestro. A
differenza di molti conferenzieri, aveva davvero rispetto per chi gli stava
davanti e si capiva che era pronto a cogliere quell'occasione d'incontro
come un momento importante. Si sentiva chiaramente che cio' che diceva lo
appassionava e lo convinceva, ma era pronto a discuterne con chiunque,
meglio se privo di titoli accademici. Aveva quell'inquietudine delle anime
erranti come un vero avventuriero del pensiero che affascina e inquieta con
i suoi racconti d'altrove e col quale sarebbe stato bello sedersi una sera
intorno al fuoco per ascoltarlo.
Gli dedichiamo queste pagine, soprattutto nella speranza che incontri
attraverso i suoi libri nuovi interlocutori, convinti a guardare insieme a
lui il mondo alla rovescia senza paura, con uno sguardo irriverente, a
vivere il pensiero come un'avventura e a trasformarlo in prassi quotidiana.

2. MEMORIA. FRANCESCO SCOTTI: IVAN ILLICH. "NEMESI MEDICA" UN QUARTO DI
SECOLO DOPO
[Da "A. rivista anarchica", anno 33, n. 294, novembre 2003 (disponibile
anche nel sito
www.arivista.org). Dalla medesima fonte riprendiamo anche la
seguente scheda sull'autore di questo intervento: "Francesco Scotti, medico
e psichiatra, dal 1967 ha lavorato nell'ospedale psichiatrico di Perugia; e'
uno dei protagonisti del rinnovamento e della trasformazione dell'assistenza
psichiatrica in Umbria. Le sue ricerche sono collocate al di fuori di ogni
ambito accademico, un po' per sua scelta, un po' perche' nessuna accademia
l'ha voluto. Si e' occupato di organizzazione e valutazione dei servizi, di
osservazione diretta, di psicoterapia dei pazienti psicotici"]

Che cosa ci dice oggi questo libro e, soprattutto, quale posizione permette
di attribuire al suo autore nella storia della cultura del Novecento?
Innanzi tutto e' un libro che ha una collocazione storica precisa, fin
troppo precisa; appartiene infatti a quella cultura degli anni '60 tesa alla
delegittimazione della scienza ufficiale, nella speranza, sarebbe forse
meglio dire nella illusione, che attraverso la verita' i buoni avrebbero
avuto accesso al potere. Si salva pero' dall'ingenuita' che riconosciamo
altrove perche' ha, quale retrofondo, un'idea pessimistica del progresso: le
invenzioni e le scoperte che costruiscono la modernita' sono attivatori di
uno sviluppo senza fine che, da una parte, ha bisogno di incentivare il
consumo, cosi' che la domanda si moltiplichi, dall'altra porta alla perdita
di senso di cio' che e' stato gia' creato, con la sua riduzione a
manifestazione di potenza dell'istituzione che l'ha creato piuttosto che
risposta a reali bisogni o desideri. "Cio' porta ad identificare la scuola
con l'educazione, l'assistenza medica con la salute...".
Perche' Nemesi medica? Le cure prestate, la difesa contro gli effetti nocivi
delle cure, provocano una reazione paradossale che e' costituita da un
aumento del danno, per cui cio' che era nato per portare beneficio si
risolve in un'ulteriore sofferenza per l'uomo. Dice Illich: "I greci nelle
forze della natura vedevano delle divinita'. Per essi la nemesi era la
vendetta divina che colpiva i mortali quando questi usurpavano le
prerogative che gli dei riservavano gelosamente a se'... Nemesi rappresenta
la risposta della natura alla ubris, alla presunzione dell'individuo che
cercava di acquistare gli attributi del dio. La nostra moderna ubris
sanitaria ha determinato la nuova sindrome della nemesi medica" (p. 31).
Ricordo l'entusiasmo che questa tesi suscito' in un convegno ad Assisi
quando Illich, nel 1976, presento' il suo libro. Riusciva a dare
legittimita' ai dubbi che gia' si erano impiantati, nella cultura della
sinistra italiana, riguardo alla asetticita' della scienza e della
tecnologia e sulla bonta' intrinseca della medicina. Illich era riuscito a
raccogliere una massa impressionante di dati che obbligavano a ripensare
dalle fondamenta l'impianto della ricerca e della pratica nel campo
sanitario. In un certo senso colpiva alle spalle i ricercatori ufficiali
approfittando della loro incapacita' di avere una visione di insieme,
condannati dal bisogno di efficienza ad essere specialisti in un piccolo
campo. Condannava senza appello, non dava spazio all'avversario,
identificato come nemico di classe, senza sfumature o distinzioni. Non
faceva ricerca per costruire ma per distruggere. Aveva cioe' tutte le
caratteristiche di quello che Enriques chiama lo scienziato eterodosso. "Le
critiche degli scienziati eterodossi, di solito uomini di una genialita'
superiore a quella che appartiene alla media degli studiosi, di una
genialita' non bene contemperata dall'equilibrio delle varie doti che
occorrono allo scienziato, ma spesso appunto piu' vivace perche' non
infrenata dalle esigenze del metodo e della dottrina, sottolineano come i
problemi della scienza ortodossa sono mal posti, privi di significato e di
valore".
*
Ma i medici fanno fatica...
Chi erano i destinatari di questa provocazione? E' una rilettura a distanza
che ci permette di rispondere a questa domanda meglio di quanto fosse
possibile in diretta.
Se andiamo a valutare la situazione attuale, della ricerca e degli elementi
di criticita' in essa presenti, e della mentalita' prevalente, dobbiamo dire
che la provocazione e' completamente fallita con i medici e gli altri
operatori sanitari, a meno che non fossero gia' convinti della bonta' delle
tesi sostenute da Illich. I medici non possono e non potevano capire che il
successo nel singolo caso e la salvaguardia della salute in generale non
coincidono. Non potrebbero capire che se si abolissero tutte le
specializzazioni della medicina e della chirurgia, e si dedicassero tutte le
risorse in tal modo risparmiate alla prevenzione, all'igiene ambientale e
alla cura delle malattie piu' comuni, la salute della popolazione
migliorerebbe notevolmente. Gli esercenti una professione liberale, quali si
definiscono i medici, fanno fatica ad entrare in una prospettiva sociale e
collettiva. Restano ancorati all'idea che il lavoro di terapia parte dalla
contrattazione con il singolo. La formazione professionale, l'esercizio
della medicina, oltre che l'appartenenza spesso ad una classe privilegiata,
li tengono lontani dall'idea che solo una mediazione politica permette un
uso razionale delle conoscenze e delle risorse mediche. Possono al massimo
giungere ad una impostazione umanitaria, e anche ugualitaristica, ma senza
accorgersi che ogni tentativo di estendere in modo meccanico il privilegio
di pochi alla maggioranza porta tali contraddizioni da produrre un danno
proprio al bene che si vuole tutelare, cioe' alla salute.
Credo che il beneficiario della polemica di Illich non fosse il corpo medico
ma l'utente, o meglio l'insieme dei cittadini consumatori, ai quali viene
dimostrata la miseria che si nasconde in cio' che riluce nelle tecnologie
mediche. Il messaggio e' finalizzato ad una presa di coscienza, da parte dei
cittadini, di cio' che la medicina da' loro e di cio' che toglie, facendo
promesse che non puo' mantenere. Da questo l'insistenza, che puo' apparire
ingenuita' in un uomo cosi' avvertito quale e' Illich, sulla ricchezza dei
valori tradizionali che danno senso alla malattia e aiutano a gestirla, con
ragionamenti che prendono a prestito perfino il linguaggio delle virtu'
cristiane.
Che siano gli utenti i veri destinatari del messaggio spiega la
semplificazione di molti ragionamenti e il carattere apodittico di certe
tesi.
"Studiando l'evoluzione della struttura della morbosita' si ha la prova che
durante l'ultimo secolo i medici hanno influito sulle epidemie in misura non
maggiore di quanto influivano i preti nelle epoche precedenti" (p. 22).
"E' stato dimostrato che il ruolo decisivo nel determinare come si sentono
gli adulti e in quale eta' tendono a morire e' svolto dal cibo, dall'acqua,
dall'aria, in correlazione con il livello di uguaglianza sociopolitica e con
i meccanismi culturali che permettono di mantenere stabile la popolazione"
(p. 23).
Il messaggio e' stato accolto? Forse si', perche' oggi assistiamo al
diffondersi dell'idea che vada recuperato il carattere umano  (e non
unicamente tecnologico) della cura, dell'idea che la salute e' un tutto
inscindibile, non divisa per organi e apparati, che e' una qualita' della
vita e non una merce. Inoltre si moltiplicano coloro che vogliono decidere
del proprio destino quando si troveranno ad essere malati, decidere se
essere curati o no, se vivere o morire - senza che cio' diventi oggetto di
delega.
Bisogna dire che gli scienziati non hanno aiutato i consumatori di medicina
a mantenere un atteggiamento corretto. Li hanno stimolati a consumare
perche' cosi' si potesse produrre di piu'. Riducendo la salute a merce hanno
espropriato i cittadini della competenza sul proprio malessere e sul proprio
benessere. Cio' hanno fatto, anche in buona fede, per laicizzare la
medicina, liberandola da quell'alone religioso che la legava poi
inevitabilmente a una qualche fede, e da qui a una qualche chiesa. Ma con
cio' hanno preteso - ed e' questa una delle tesi centrali di Illich - di
sganciare la medicina da qualunque sistema di valori; per liberarla dal
religioso l'hanno esclusa dall'etico.
Questa norma dovrebbe trovare il suo fondamento nell'idea che e' possibile
dimostrare il limite del progresso, ovvero la tendenza dell'economia, della
scienza, della tecnologia, abbandonate a se stesse, a produrre piu' danni
che vantaggi.
Le distorsioni introdotte dal sistema sanitario si manifestano in forme
paradossali che superano in stramberia le invenzioni piu' fantasiose. Borges
aveva inventato una classificazione fantastica degli animali che merita di
essere ricordata: "Per una certa enciclopedia cinese... gli animali si
dividono in: a) appartenenti all'Imperatore, b) imbalsamati, c)
addomesticati, e) sirene, f) favolosi, g) cani in liberta', h) inclusi nella
presente classificazione, i) che si agitano follemente, j) innumerevoli, k)
disegnati con un pennello finissimo di peli di cammello, l) et coetera, m)
che fanno l'amore, n) che da lontano sembrano mosche". Illich, prendendo
avvio dalla enumerazione delle diverse prestazioni medico-legali che sono
abitualmente richieste in un paese moderno, riesce quasi a far meglio (p.
68): "La burocrazia medica suddivide gli individui in: quelli che possono
guidare l'automobile, quelli che possono assentarsi dal lavoro, quelli che
devono essere rinchiusi, quelli che possono fare il soldato, quelli che
possono andare oltre frontiera, fare i cuochi o praticare la prostituzione,
quelli che non possono aspirare alla vicepresidenza degli Stati Uniti,
quelli che sono morti, quelli che sono in grado di commettere delitto, e
quelli che sono responsabili di averlo commesso".
La conclusione di questa corsa contro la liberta', con un rafforzamento
progressivo del potere dei medici e dell'istituzione sanitaria e' che
"oramai il cittadino, finche' non si prova che e' sano, si presume che sia
malato" (p. 96).
*
Che cos'e' la iatrogenesi
A questo proposito Illich cita il famoso, e pressoche' contemporaneo,
documento di Franco e Franca Basaglia, La maggioranza deviante.
Questa citazione ci e' utile per collocare Illich nella cultura che condanna
la democrazia occidentale perche' falsa democrazia, in quanto non fa
discendere le decisioni dalla volonta' dei piu' ma marginalizza le
maggioranze riducendole in condizione di impotenza.
L'aver citato Basaglia introduce uníaltra domanda. Perche' Illich non dedica
nessun capitolo specifico allo sviluppo della psichiatria e alla reazione
che gia' in quegli anni si era ampiamente sviluppata in Europa contro la
psichiatria tradizionale, la psichiatria del capitale? La risposta e' che di
tale nuova psichiatria non da' un giudizio positivo, anche se a partire
soprattutto dai documenti teorici dell'antipsichiatria degli anni Sessanta.
Egli infatti critica Goffman, Szasz, Laing accusati di non essere abbastanza
radicali perche', per dimostrare la genesi politica della malattia mentale e
il suo uso per fini politici "contrappongono tutti l'irreale malattia
mentale alla reale malattia fisica". "Essi sostengono che il linguaggio
delle scienze naturali e' valido solo per la malattia fisica... Questa
posizione antipsichiatrica negando il carattere patologico della devianza
mentale finisce col legittimare lo status non politico della malattia
fisica" (p. 168).
In questo modo essi fanno un favore agli ideologi della societa' industriale
in quanto trasformano sofferenza, malattia, statuto di malato, in eventi
naturali difendendo una medicina che non sarebbe condizionata dai valori
della societa' capitalistica.
Ma non e' solo una critica a una tattica sbagliata. E' la conseguenza di una
posizione totalmente diversa da quella dell'antipsichiatria europea, e piu'
in generale del movimento antiistituzionale. Illich rifiuta di ridurre ad
una causa lineare il rapporto tra sistema industriale e danno della salute.
Ha introdotto, come mediatrice del danno, l'istituzione sanitaria dominata
dalla logica del capitalismo. Il danno e' frutto di una combinazione di
fattori, alcuni materiali, altri simbolici.
L'insieme dei danni che derivano da una medicina moderna viene analizzato da
Illich in funzione del meccanismo che li produce. La iatrogenesi (cio' che
e' causato dal medico o dalla medicina) puo' attuarsi attraverso le
manipolazioni delle malattie e dei disturbi. Vi e' una iatrogenesi clinica,
in cui "il danno i medici lo infliggono nell'intento di guarire o di
sfruttare il paziente, o i danni discendono dalla preoccupazione del medico
di tutelarsi da una eventuale denuncia per malpratica".
Oppure viene introdotto un danno modificando il peso sociale della medicina
(iatrogenesi sociale): "la gente viene spinta a diventare consumatrice di
medicina curativa, preventiva, ecc., menomati che sopravvivono al limite del
sistema e grazie all'assistenza; false attestazioni di invalidita' che
privano del diritto di lavorare".
Esiste infine una iatrogenesi culturale: distrugge la capacita' potenziale
dell'individuo di far fronte in modo personale e autonomo alla propria umana
debolezza, vulnerabilita', unicita'.
La iatrogenesi e' all'origine di un travolgimento antropologico che parte
dalla soppressione del dolore. "L'individuo diventa incapace di accettare la
sofferenza come una componente inevitabile del suo consapevole confronto con
la realta' e impara a vedere in ogni malessere il segno di un proprio
bisogno di protezione a riguardo" (p. 139).
L'idea centrale e' che con la societa' industriale si e' raggiunto il fondo,
si e' creata una situazione insopportabile rispetto alla quale lo
sfruttamento, la sofferenza delle eta' precedenti sono il paradiso. Di
fronte al dolore aggiuntivo, insopportabile, la societa' stessa offre
l'anestetico, addirittura un sistema anestetizzante.
Dal bisogno di confrontare l'esperienza del dolore e della sofferenza nella
civilta' industriale e nelle culture tradizionali, scaturiscono analisi
antropologiche che riguardano la strutturante centralita' dell'esperienza
del dolore, l'atteggiamento nei confronti della morte, la scoperta della
dignita' dell'uomo, il tentativo di caratterizzarlo rispetto agli animali e,
insieme, il rischio che tutto cio' si perda, si alieni. Sono questi esempi
magistrali di quella antropologia marxiana che trova il suo fondamento nei
"Manoscritti economico-filosofici del 1844", a proposito dell'alienazione
del lavoro umano e che ha avuto pochi altri cultori.
Ma Illich non si accontenta di fare la fenomenologia dell'alienazione del
dolore, della sofferenza e della morte; fa riferimento - ed e' questo uno
dei punti meno chiari delle sue tesi - ad un'organizzazione primitiva della
societa' in cui sarebbero disponibili quei rimedi che sono andati perduti
nella modernita'. Citando Malinowski dice che "nelle popolazioni primitive
la morte minaccia la coesione e quindi la sopravvivenza dell'intero gruppo.
Scatena infatti una esplosione di paura e forme irrazionali di difesa. Solo
tramutando l'evento naturale in un rito sociale si riesce a mantenere la
solidarieta' del gruppo". "Il dominio dell'industria ha spezzato e spesso
distrutto quasi tutti i vincoli di solidarieta' tradizionali" (p. 197).
Quale e' il mito fondante la posizione politico-filosofica di Illich? Una
sorta di ideale primitivismo, un'eta' dell'oro del selvaggio naturale? Una
simile riduzione sarebbe inutilmente provocatoria, anche se erano obiezioni
di questo tipo ad eccitare la sua forza polemica.
L'idea comunque e' che prima era meglio, il che porta a dimenticare che le
soluzioni trovate dalle varie culture in passato sono tutte, per loro
natura, assolutamente provvisorie e parziali; solo la tragicita' degli
eventi cui dovevano far fronte ci porta ad apprezzare in qualche modo una
risposta che noi non abbiamo ancora trovato.
*
Revisionismo scientista
In conclusione bisogna riconoscere che e' anche grazie a sintesi come quella
di Illich che la ricerca sanitaria si e' liberata di molti dei suoi vincoli,
ha criticato gli assunti di base, e' stata costretta a una rigorosita'
maggiore, ad una visione complessiva che tenesse conto dell'interazione tra
ambiti ristretti, e' stata sospinta a scoprire una prospettiva ecologica, ad
inventare un'epidemiologia nuova, ad impiantare un'economia sanitaria che
fosse studio dei costi delle malattie oltre che delle cure, ad assumere una
visione politica.
Ci troviamo oggi ad un nuovo punto di svolta con il rischio di un
revisionismo scientista. Abbiamo a che fare con entusiasmi neoilluministici
di una medicina basata sulle evidenze, su una eticita' affermata ma piu'
fondata sulla efficienza della distribuzione delle prestazioni e sulla
difesa del diritto di accesso universale alle risorse sanitarie, che sul
senso della cura per il singolo uomo bisognoso. Tutto cio' richiederebbe
forse un nuovo libro, una nuova denuncia che facesse giustizia di questa
nuova ubris medica. Ma il nostro tempo aspetta ancora la comparsa di un uomo
dal destino cosi' particolare come quello di Ivan Illich.

3. MEMORIA. FILIPPO TRASATTI INTERVISTA PAOLO PERTICARI: IVAN ILLICH. L'ASCE
SI DELL'ALTRO
[Da "A. rivista anarchica", anno 33, n. 294, novembre 2003 (disponibile
anche nel sito
www.arivista.org). Paolo Perticari insegna pedagogia generale
all'Universita' di Bergamo. Ha pubblicato tra l'altro i libri Conoscenza
come educazione (1992), Insegnamento/apprendimento (1995), Attesi imprevisti
(1997), e ha curato il volume Biopolitica minore (2003)]

Avevo invitato Paolo Perticari a tenere una conferenza alla libreria Utopia
di Milano nel mese di febbraio. Li', nel corso della conferenza, Paolo ha
fatto riferimento a Illich come a un maestro. Cosi' gli ho chiesto di
incontrarci per fare una chiacchierata su questo tema. L'incontro e'
avvenuto in maggio all'Universita' di Bergamo, presso la quale Perticari
insegna pedagogia. Cio' che segue e' la parziale trascrizione della nostra
conversazione.
*
- Filippo Trasatti: Perche' hai deciso di dedicare l'ultimo libro che hai
curato (1) a Ivan Illich in memoriam?
- Paolo Perticari: Come ho scritto il libro trae origine anche da un
incontro con Ivan Illich. Pur avendolo ben presente fin da ragazzo, l'ho
incontrato un'unica volta un paio d'anni fa a Milano. Sapevo che era malato
da parecchi anni e continuava a curarsi in maniera olistica, al di fuori
della sanita' istituzionale. Per me era gia' un punto di riferimento
essenziale. Quel giorno a Milano sono capitato quasi per caso, invitato da
una studentessa a un convegno sulle origini della scrittura (2). Mi sono
iscritto a un elenco, quando sono arrivato, senza sapere bene a che
servisse. Ho scoperto dopo che era la lista delle persone che si
accreditavano per una conversazione con Illich.
*
- Filippo Trasatti: Mi ricordo quel convegno, c'ero anch'io.
- Paolo Perticari: Allora ti ricorderai certamente quale straordinario
interlocutore lui fosse. Parlo' della scrittura e della lettura, riprendendo
le analisi del suo libro su Ugo da San Vittore (3). Soprattutto mi sembro'
straordinaria quella parte sull'ascesi dell'altro, sulla trasformazione dei
codici di comunicazione che reprimono la possibilita' dell'altro di
emergere. Fatto sta che mi trovai nella lista di coloro che potevano parlare
con lui. Finita la relazione, Illich disse: Prodi e Perticari con me, tutti
gli altri fuori, perche' sto male. Non posso lasciar fuori l'allievo
dell'allievo di von Neumann. Come faceva a sapere che avevo dei rapporti con
Heinz von Foerster, appunto l'allievo di von Neumann? Non lo so, ma questo
dice qualcosa di questi personaggi in via d'estinzione che hanno questa
capacita' di collegare, di accorgersi di un incontro possibile.
*
- Filippo Trasatti: Illich parla da qualche parte della sua pratica della
lettura curiosa...
- Paolo Perticari: Si', forse si potrebbe dire che aveva la curiosita'
dell'incontro, il non averne mai abbastanza di volti. Insomma ci trovammo.
Lui era gia' gravemente malato: il cancro aveva invaso il volto, la schiena,
e nonostante questo restava una persona gioiosa. L'incontro fu ricchissimo
di idee; da un incontro del genere, se l'universita' non fosse quello che
e', potrebbero nascere ricerche, percorsi, collegamenti, senza la burocrazia
che soffoca tutto. Uno dei punti centrali mi sembra questo: come accorgersi
che viviamo in un mondo burocratico, caratterizzato dalla gestione della
vita a tutti i livelli. Da questo punto di vista mi sembra che il percorso
di Illich si avvicini al ragionamento di Foucault.
*
- Filippo Trasatti: Infatti ne parla esplicitamente nell'intervista con
David Cayley (4).
- Paolo Perticari: Soprattutto l'attenzione a quanto passa nelle nostre
pratiche quotidiane. Illich e Foucault andrebbero letti insieme, per vedere
meglio cio' che li collega. L'altra cosa formidabile che mi ha insegnato
Illich e' quella di non abbandonare mai la critica radicale di ogni forma di
consulenza...
*
- Filippo Trasatti: Ossia la diffidenza per gli esperti...
- Paolo Perticari: Si', per gli specialisti di ogni genere. Lui sentiva
molto questo e lo legava a un ripensamento dei rapporti. Anche per questo
creava dei gruppi di ricerca in diverse universita' europee e non. Era
riuscito a creare una rete internazionale di rapporti tra persone unite in
una ricerca comune. Il tema che studiava ultimamente e' quello dell'ascesi
dell'altro in un mondo completamente tecnologicizzato. Ossia come costruire
un percorso verso l'altro, per migliorare la presenza dell'altro, del suo
volto, dei suoi elementi umani. Noi siamo come delle macchine di
moltiplicazione dei poteri attraverso i rapporti interpersonali, percio' il
rapporto da questione privata diventa questione politica, anzi un problema
biopolitico (5) centrale del nostro tempo.
*
- Filippo Trasatti: Vorrei chiederti qualcosa su questa modalita' di ricerca
prediletta da Illich, il lavoro per gruppi di amici. Sceglieva le persone
appartenenti ai piu' diversi campi disciplinari e le metteva insieme a
lavorare su un'idea, su un progetto.
- Paolo Perticari: Quest'anno e' stato un anno duro per me. Nel giro di
pochi mesi sono morti prima Francisco Varela, molto giovane, poi a distanza
di pochi giorni uno dall'altro Ivan Illich e Heinz von Foerster. Queste
persone avevano in comune questo modo di lavorare, che a me non e' nuovo
perche' l'avevo imparato da von Foerster. Anche a me non dispiacerebbe fare
cosi': si tratterebbe di raccogliere queste modalita' di lavoro comune, di
farne dei comportamenti, una cultura, una pratica e anche una politica
dell'amicizia. Quei pensatori ci hanno lasciato un'eredita' importante da
raccogliere. Tra l'altro Illich e von Foerster sono stati anche amici, hanno
collaborato a Cuernavaca; due giganti accomunati dalla generosita' di non
nascondere le idee, ma anzi di diffonderle liberamente.
*
- Filippo Trasatti: Quest'idea dell'amicizia come pratica secondo te e'
dovuta al fatto che la conoscenza non passa solo attraverso rapporti di
potere-sapere, ma anche attraverso una certa qualita' della relazione?
Ossia, io voglio lavorare con te, non perche' tu sei l'esperto di qualcosa,
ma perche' sei tu.
- Paolo Perticari: Questa e' una cosa importante. Io penso che questi uomini
abbiano avuto il privilegio di vivere e di esplorare con grande passione
territori sterminati con grande liberta', ma anche con grande competenza.
L'amicizia era il modo di concepire i rapporti, di stare dentro le cose con
la voglia di incontrare uomini non ancora assoggettati. Come se la
produttivita' dell'amicizia si opponesse alla produttivita' del potere,
fosse cioe' un modo di sottrarsi alle forme di assoggettamento.
*
- Filippo Trasatti: Ti riporta all'Illich degli anni Settanta, quello piu'
noto della descolarizzazione e della convivialita'. Quale ruolo ha avuto
nella tua formazione?
- Paolo Perticari: In quegli anni non volevo leggere Illich, mi sembrava
troppo. Certi testi vanno conservati per un certo tempo, finche' non ci si
sente all'altezza. Ho cominciato a parlare di Illich a un convegno che si
occupava di epistemologia costruttivista dentro i contesti dell'educazione e
della scuola, perche' mi sembrava che i pedagogisti, e persino gli stessi
epistemologi, banalizzassero la complessita'. Ecco la' mi e' servita la
radicalita' di Illich. Ma piu' che la descolarizzazione, l'idea di Illich
che mi ha dato di piu' e' stata quella di convivialita', applicata alle
pratiche della relazione, della comunicazione e del rapporto con l'altro.
Convivialita' per me significava creare una deviazione rispetto alla
pragmatica della comunicazione umana, alla teoria dell'agire comunicativo,
al sistema della comunicazione. Queste teorie non sono strumenti sufficienti
per opporsi efficacemente all'emergere degli imbonitori televisivi, e di
nuove relazioni di potere nella comunicazione. Come se oggi la comunicazione
fosse totalmente mercificata e mercificata dagli apparati di potere. Allora
il libro sulla convivialita', il titolo originale era "Attrezzi per la
convivialita'", per me divento' rapidamente una struttura di apprendimento
molto efficace, un contesto estremamente produttivo. L'idea era quella di
costruire delle tecnologie che danno a chi le usa la possibilita' di
arricchire il mondo attraverso la sua visione, in particolare, ma non solo,
nei contesti di apprendimento.
*
- Filippo Trasatti: Pur avendo abbandonato, come diceva, la sua posizione
privilegiata di prete, Illich ha continuato a far riferimento alla
tradizione ecclesiastica, non tanto come a un'autorita', quanto come una
fonte di ispirazione per guardare in modo diverso le istituzioni attuali e
per forgiare i suoi concetti critici. Inoltre c'e' molto forte in lui la
presenza del pensiero teologico: e' costante il suo richiamo alla
patristica, alla teologia occidentale, in particolare all'epoca medievale.
Non ti colpisce questo continuo bisogno di un riferimento teologico?
- Paolo Perticari: Mi sembra la punta della macchina di pensiero di Illich.
E' importante in questo senso questo continuo riferimento ai testi della
tradizione; Illich sapeva leggerli con precisione e cura. Sapeva fare una
pedagogia del testo a livelli altissimi soprattutto per quanto concerne i
testi medievali. Cercava di vedere l'attualita' attraverso i testi
medievali. Io vorrei provare a farlo rileggendo Paolo di Tarso
cortocircuitando i suoi testi con le pratiche sociali di questi tempi.
*
- Filippo Trasatti: Che cosa resta secondo te attualmente del pensiero di
Illich?
- Paolo Perticari: Un'altra maniera di concepire le cose che si sta facendo
strada, un pensiero negativo applicato alle pratiche. Un Ronnie Browman di
Medici senza frontiere che si interroga molto su queste pratiche a proposito
degli interventi umanitari che invita ad acquisire consapevolezza su cose in
cui uno specialista rischia di provocare piu' danni che benefici; il lavoro
sulla Nemesi medica (6); le sue ricerche sul genere e il sesso, contestate,
ma ricchissime. Insomma una ricchezza enorme da pensare.
*
Note
1. A cura di Paolo Perticari, Biopolitica minore, Manifestolibri, Roma 2003.
2. Si tratta del convegno "Origini della scrittura", Milano 27 ottobre 2000.
3. Ivan Illich, La vigna del testo, tr. it. Cortina, Milano 1994.
4. David Cayley, Conversazioni con Ivan Illich, Eleuthera, Milano 2003.
5. Si veda in proposito l'introduzione di Perticari al volume gia' citato
Biopolitica minore.
6. Ivan Illich, Nemesi medica, tr. it. Mondadori, Milano 1977.

4. MEMORIA. FILIPPO TRASATTI: IVAN ILLICH. LEGGERE IL PRESENTE NELLO
SPECCHIO DEL PASSATO
[Da "A. rivista anarchica", anno 33 n. 294, novembre 2003 (disponibile anche
nel sito
www.arivista.org)]

"Se qualcuno mi domandasse: 'Ivan, che cos'e' che ti potrebbe stimolare di
piu' nel prossimo anno e mezzo?' - e' questo il tipo di orizzonte nel quale
inquadro la mia vita - risponderei che mi piacerebbe convincere un certo
numero di persone a riflettere piu' su come gli strumenti influiscano sulla
nostra percezione che su cio' che possiamo fare con essi, a indagare su come
gli strumenti modellino la nostra mente, come il loro uso modelli la nostra
percezione della realta' ben piu' di quanto noi si modelli la realta'
applicandoli o utilizzandoli" (Ivan Illich)

Strategie di spiazzamento
E' quasi impossibile inquadrare l'opera di Illich all'interno di un preciso
ambito disciplinare: dalla Nemesi medica, a Descolarizzare la societa',
Lavoro-ombra, La convivialita', Il genere e il sesso, fino agli ultimi
articoli, come L'era dello sguardo, ogni volta sembra che, partito da un
terreno familiare, Illich svolti all'improvviso per imboccare una strada
diversa. Lui stesso sfugge a ogni tentativo di definizione: sociologo,
filosofo, antropologo, studioso di teologia?
Questa insofferenza per gli steccati, lo ha portato anche nella sua vita a
riunire gruppi di amici, provenienti da differenti ambiti disciplinari,
intorno a un progetto di ricerca, e nei suoi libri c'e' sempre una traccia
importante di queste esperienze di discussione, di ricerca e di
condivisione.
In questo c'era la sua insofferenza per le "idees recues", ma anche l'orrore
per la specializzazione che non ha mai smesso di denunciare come processo
alienante.
Immergendosi nella lettura dei suoi libri e dei suoi articoli, l'impressione
e' quella di un salutare spaesamento, che richiede una ri-definizione dei
concetti scontati e la messa in discussione dei tabu'. A volte sembra che
davvero Illich voglia "epater les bourgeois", ma lo fa prima di tutto per
sgomberare il campo dalle ovvieta', per dar vita a una confusione creativa
che porti a un modo diverso di vedere il problema considerato.
Per far questo egli utilizza diverse strategie di spiazzamento. Ne segnalo
qui tre: a) la trasmigrazione delle idee; b) il plurilinguismo; c) lo
specchio del passato.
a) Illich ci ha offerto esempi illuminanti del potere delle idee quando
travalicano i limiti disciplinari. Propongo qui un solo esempio, il concetto
di "limite". Illich si imbatte in questo concetto nell'ambito della
morfologia, ossia dello studio delle forme animali e vegetali. In
particolare legge il saggio di un biologo inglese, eccentrico e ribelle,
John Haldane, Della giusta misura (1), che mostra, attraverso argomentazioni
da biologo evoluzionista, perche' una formica non puo' avere le dimensioni
di un elefante. Per ogni tipo di animale, cosi' come lo conosciamo, c'e' una
giusta misura superata la quale diventa inevitabile un radicale mutamento di
forma. Da qui la trasposizione prima di Haldane, poi di Illich: "Proprio
come gli animali hanno una misura giusta, anche le istituzioni umane hanno
una grandezza ottimale". Questa idea diventera' uno dei cardini della
ricerca sulla convivialita' nel senso di una critica all'elefantiasi delle
istituzioni nel mondo tardocapitalistico. Non e' che un esempio tra i tanti,
ma mostra come Illich considerasse produttiva questa trasmigrazione delle
idee.
b) Illich era poliglotta, parlava correntemente piu' di una decina di
lingue, considerava naturale l'homo plurilinguis e una mutilazione invece
cio' che noi consideriamo normale, l'uomo monolingue, nato secondo lui sotto
il segno degli Stati-nazione. Lo studio delle altre lingue permette di
guardare a distanza la storia intellettuale e i concetti espressi nella
propria lingua: solo quando ci si immerge in un'altra lingua, si comprendono
meglio i confini della propria. Illich stesso ricorda di aver tentato una
piu' radicale esperienza di estraniazione nelle lingue orientali, ma di aver
poi rinunciato. Studioso del Medioevo, usava il latino che aveva appreso
nella sua formazione di sacerdote, per provare a ritradurre in quella lingua
i concetti fondamentali del nostro presente.
c) Se consideriamo come Illich guardava al proprio lavoro, notiamo che piu'
spesso nell'ultimo periodo della sua vita si attribuiva il compito di
storico, uno storico pero' del tutto particolare. "Io studio la storia come
un negromante rievoca il morto" (2), diceva. A volte parla di una storia
degli spazi mentali, delle topologie mentali, si potrebbe anche dire delle
mentalita', riprendendo il termine di una delle scuole storiografiche piu'
innovative del XX secolo (3). Questo e' per lui un elemento di metodo
fondamentale che potrebbe ben diventare lo slogan per lo studio della
storia: "Non ho scritto questo volume per portare un contributo
specialistico, ma per offrire una guida verso un punto di osservazione nel
passato che mi ha schiuso nuove vedute sul presente" (4).
Illich sceglie uno spiazzamento temporale come punto di vista sul presente,
cosicche' i suoi libri sembrano libri di uno storico, mentre ci parlano del
presente che stiamo vivendo: "ho voluto suggerire che solo nello specchio
del passato risulta possibile riconoscere la radicale alterita' della
topologia mentale del XX secolo e divenire consapevoli dei suoi assiomi
generativi, che normalmente rimangono oltre l'orizzonte di attenzione dei
contemporanei" (5).
Illich usava questa strategia di spiazzamento fin dai libri piu' famosi, uno
tra tutti Descolarizzare la societa', di cui parla in queste pagine Pietro
Toesca [testo che riproporremo prossimamente nel nostro notiziario - ndr].
Negli ultimi libri e articoli sembra di cogliere ancor piu' fortemente la
volonta' di distaccarsi dal tempo presente per guardarlo con altri occhi.
*
Un commentario
Nella vigna del testo, uno degli ultimi libri di Illich, e' un commentario
(6) al Didascalicon di Ugo di San Vittore, un testo del XII secolo, ma e'
anche, come recita il sottotitolo, "per un'etologia della lettura" (da
ethos, in greco "costume, abitudine"), un'indagine sulle abitudini e sulle
modalita' di lettura. E' un altro esempio di quelle strategie di
spiazzamento di cui parlavamo prima: trasferirsi nel Medioevo e piu'
precisamente a Parigi nel XII secolo per guardare da quella distanza cio'
che sta accadendo nel presente.
Questo libro, dice Illich, commemora gli albori della lettura scolastica e
lo fa in un'epoca in cui e' visibile il tramonto del libro, o meglio il
tramonto del modo "scolastico" di leggere. Secondo George Steiner la
bookishness (la cultura del libro) nasce dall'intreccio di una tecnica,
l'invenzione della stampa, da una certa ideologia, quella della borghesia in
ascesa, da una certa mentalita'.
"Dipende dalla possibilita' di possedere libri, leggerli in silenzio, e
discuterli a piacimento in casse di risonanza quali caffe', periodici,
universita'. Questo tipo di rapporto e' l'ideale delle scuole.
Paradossalmente, tuttavia, piu' l'obbligo scolastico si e' esteso alla
maggioranza delle persone, piu' si e' ridotta la percentuale di bookish
people nel senso di Steiner" (7).
Il libro ha smesso di essere una metafora fondamentale per leggere il nostro
tempo; lo e' stato a lungo fin dal Medioevo, attraverso l'eta' moderna (si
pensi al "libro della natura" galileiano), forse fino alla meta' del secolo
XX, ma oggi non lo e' piu'. Non si tratta di un piagnisteo sull'esiguita'
del numero di lettori, sulla vittoria della tv sul libro. Per Illich e' una
semplice constatazione: "L'immagine con relativa didascalia, il fumetto, la
tabella, il riquadro, il grafico, la foto, gli schermi e l'integrazione con
gli altri media esigono dall'utente un genere di abitudini del tutto opposte
a quelle coltivare nei modi di lettura scolastici" (8).
Il mutamento in corso e' "la dissoluzione della tecnica alfabetica nel
miasma della comunicazione". Per molti il libro e' diventato solo una
metafora della comunicazione, termine che Illich aborriva.
Ecco dunque che mentre si sta chiudendo un'era, Illich vuol mostrarci da
lontano quali ne erano le caratteristiche essenziali.
Lo fa come sempre utilizzando come chiave di lettura le tecnologie e spiega
chiaramente che quest'opera rientra nella sua piu' generale ricerca
"sull'interazione simbolica tra tecnologia e cultura, o, piu' precisamente,
tra la tradizione e la finalita', i materiali, gli strumenti e le norme per
il loro uso" (9).
Piu' precisamente Illich indaga le trasformazioni tecniche che nel 1150,
cioe' trecento anni prima di Gutenberg, permisero l'emergere di quella che
si puo' chiamare lettura scolastica del testo.
E qui l'analisi si fa minuziosa e affascinante, il dialogo con il testo di
Ugo da San Vittore ci apre un mondo davvero inaspettato. Per i monaci la
lettura non era una qualunque attivita'; Ugo scrisse per loro il libro, per
insegnare come leggere e gli diede come sottotitolo "de studio legendi",
dove "studio" non va inteso solo nel senso che gli diamo noi: studio
significa "affetto, amicizia, desiderio, occupazione".
Non si leggono libri per accumulare conoscenze, per diventare eruditi e poi
magari trattare gli altri dall'alto in basso. La lettura e' per Ugo una
medicina (remedium), qualcosa che ci risolleva dall'oscurita' dell'ignoranza
e del peccato e che ci illumina. Il libro e la lettura illuminano l'uomo, ma
non nel senso del rischiaramento illuministico: l'io diviene ardente,
raggiante, quando e' illuminato dalla lettura. Bisogna ricordare che i
manoscritti medievali erano miniati e che le miniature non erano come le
nostre illustrazioni, supporto al testo, ma che servivano proprio a
illuminare il lettore quasi letteralmente; creavano sinestesie, suggerivano
scenari per la storia sacra che viene raccontata, aiutavano il lettore ad
orientarsi.
La lettura non e' un'occupazione per passare il tempo, ma un modo di vivere
che li accompagna per tutta la giornata. Sette volte al giorno si riuniscono
in chiesa a leggere e ad ascoltare salmi e quando lavorano la recitazione
collettiva diventa borbottio sommesso.
La lettura e' attivita' motoria, da' voce alla pagina; i monaci ruminano,
rimuginano, assaporano, suggono il miele della Scrittura. E' un'attivita'
fisica, tanto che i medici ellenistici la prescrivevano, al pari di una
camminata, come rimedio.
Attraverso la lettura il verbo si fa carne, la parola diventa "senso". Per i
monaci la lettura impegna tutto il corpo, non soltanto gli occhi come per
noi. Si pensi agli hassidim ebrei che pregano oscillando il corpo avanti e
indietro; ancora adesso nell'apprendimento della Bibbia e del Corano i
bambini muovono il corpo. Illich riporta le ricerche di Marcel Jausse sul
corporage, ossia sulle tecniche psicomotorie per incarnare una sequenza
parlata. "in molti individui il ricordo equivale all'attivazione di una
sequenza precisa di comportamenti muscolari con i quali le espressioni
verbali sono correlate" (10). Leggendo la pagina viene incorporata.
Illich ritrova correlati all'attivita' della lettura (ma non solo), una
ricca costellazione di termini che si riferiscono ai diversi sensi e
sostiene che "il vocabolario disponibile per indicare odori, profumi e
sentori era assai piu' ricco nel vernacolo del Medioevo di quanto non sia
nelle lingue europee moderne" (11). Segno di un profondo impoverimento
sensoriale non solo della nostra lettura, ma piu' in generale della nostra
cultura.
Insomma la pagina e' una vigna (originariamente in latino pagina significava
"pergolato di viti"), di cui la lettura fa vendemmia. Tutto questo sforzo
del corpo e dei sensi e' certamente rivolto alla sostanza spirituale, ma
viene comunque vissuto molto intensamente dai lettori.
All'epoca di Ugo e della redazione del Didascalicon, intorno al 1140, c'e'
una svolta: si passa dalla lettura monastica alla lettura scolastica. La
lettura monastica, dice Illich, creava un ambiente pubblico uditivo, mentre
quella scolastica crea uno spazio bidimensionale in cui c'e' un rapporto
diretto, individualistico tra l'io e la pagina. E questo avviene perche'
cominciano a diffondersi appunto nuove tecniche, convenzioni materiali che
mutano il rapporto con il libro e la lettura.
Vengono introdotti titoli e sottotitoli che strutturano il testo, sommari e
indici, parole-chiave, glosse riassuntive che si distaccano dal testo
principale, virgolette per riconoscere le citazioni. Tecniche che per noi
sono del tutto ovvie, ma che allora permisero la creazione di uno spazio
della lettura astratto.
"Grazie a queste innovazioni tecniche, la consultazione dei libri, la
verifica delle citazioni, e la lettura in silenzio sono divenute pratiche
comuni e gli scriptoria hanno cessato di essere luoghi nei quali ciascuno
doveva sforzarsi di ascoltare solo la propria voce" (12).
E' la nascita del testo, distinto dal libro e dalla lettura.
*
Oltre la monumentalita' del testo
Tutto questo mondo che Illich ci ha aperto sembra perduto per sempre. Da
vigna, la pagina e' diventata lastra e piu' recentemente schermo. Spazio
visivo, astratto da ogni movimento corporeo, con il testo e' nato lo spazio
mentale dell'alfabetizzazione.
La nuova tecnologia della lettura viene rivendicata come un monopolio degli
scribi scolastici che si definiscono istruiti in opposizione a quelli che
sono soltanto ascoltatori e si va cosi' costituendo una casta separata di
istruiti che monopolizzera' la funzione dell'istruzione degli analfabeti. Il
testo, cosi' vivo e vissuto anche fisicamente, diventera' sempre piu'
qualcosa di astratto nel quale si depositano le conoscenze da capitalizzare,
controllate dai banchieri della conoscenza. Ogni strumento, oltrepassata una
certa soglia critica, si rivolta contro l'uomo, lo asservisce, diviene
padrone e despota. Vale lo stesso anche per il libro.
La scuola come la conosciamo e' figlia del libro, ma di un libro
monumentalizzato, diventato Testo unico di riferimento. Neil Postman ha
sostenuto in modo suggestivo (13) che le scuole sono state strumenti per
governare l'ecologia dell'informazione, per ritagliare campi del sapere, per
amministrare lo snodo del sapere/potere, e per far cio' hanno creato e
diffuso una lettura.
Se e' vero che stiamo entrando in quella che un linguista ha chiamato terza
fase (14), ossia l'epoca in cui l'accesso alla conoscenza avviene
prevalentemente attraverso media che non sono i libri, e' importante sapere
che cosa stiamo perdendo, ma soprattutto cosa ci e' stato sottratto dal
monopolio della conoscenza costituitosi in istituzione scolastica.
Ecco cio' che mi sembra straordinario in questo testo, come Illich faccia
emergere dalla cosiddetta epoca buia un'illuminante sfilata di modi di
leggere dimenticati dalla lettura scolastica e in questo modo ci metta di
nuovo a confronto sulla poverta' delle forme di lettura che innanzi tutto e
per lo piu' sono diffuse.
La lettura e' un'attivita' corporea, che coinvolge totalmente; e' una
medicina, un rimedio, tanto che era prescritta, ci dice Illich, dai medici
ellenistici come attivita' salubre.
E' un modo di vivere, un'attivita' morale al servizio della realizzazione
personale, un pellegrinaggio in terre lontane...
In altre parole ci sono nel mondo tanti modi di leggere che la scuola non
riesce neppure a immaginare.
E' possibile che il mutamento in corso, ossia la progressiva perdita del
predominio scolastico sul sapere, induca a riscoprire nuove (e vecchie)
forme di lettura? Siamo proprio sicuri che la lettura collettiva non abbia
ancora un forte ruolo da giocare?
E' possibile, ancora e infine, giocare la lettura contro la comunicazione?
*
Note
1. John Haldane, Della giusta misura, tr. it. Garzanti, Milano 1978.
2. David Cayley, Conversazioni con Ivan Illich, Eleutehra, Milano 2003, p.
181.
3. Il rapporto con le Annales andrebbe esplorato in modo piu' approfondito.
4. Ivan Illich, Nella vigna del testo, Cortina, Milano 1994, p. 7.
5. Ibidem.
6. Un modo per considerare un commentario in modo diverso ci viene da questa
osservazione: "Il lettore notera' che non di rado io osservo il presente
come se dovessi riferirne agli autori dei vecchi testi che cerco di
interpretare"; il riferimento qui e' ai suoi amati autori del XII secolo, in
particolare a Ugo di san Vittore.
7. Ivan Illich, Mnemosyne: lo stampo della memoria, tr. it. in Nello
Specchio del passato, Red edizioni, Como 1992.
8. Ivan Illich, Nella vigna del testo, cit., p. 2.
9. Ibidem, p. 96. L'impostazione di questa ricerca si puo' cogliere in modo
ampio nel suo libro La convivialita', il cui titolo originale era "Tools for
conviviality", strumenti, attrezzi per la convivialita'.
10. Ibidem, p. 57; e cosi' continua: "Ogni cultura ha conferito la propria
forma a questa complementarita' (gesto-parola) asimmetrica bilaterale, in
virtu' della quale certi enunciati sono incisi a destra e a sinistra,
davanti e dietro, nel tronco e nelle membra e non solo nell'occhio e
nell'orecchio".
11. Ibidem, p. 173.
12. Ivan Illich, Sull'isola dell'alfabeto, in "Volonta'", 1/87, p. 21.
13. Neil Postman, Technopoly. La resa della cultura alla tecnologia, Bollati
Boringhieri, Torino 1993.
14. Raffaele Simone, La terza fase, Laterza, Roma-Bari. Nella
schematizzazione di Simone due grandi fasi hanno preceduto quella attuale,
la prima l'invenzione della scrittura, la seconda l'invenzione della stampa.
La terza fase e' quella della visione e delle immagini.