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La rivincita del corpo dopo i trionfi del materialismo becero

di Francesco Lamendola - 31/12/2009

 

In questi giorni torna di attualità una tematica trattata dallo scrittore americano Irving Wallace in un suo romanzo del 1974, «The Fan Club».
In esso, egli immagina che quattro uomini assolutamente normali - un meccanico, un assicuratore, un commesso e un contabile - fondino il «Club dei Fan» in onore di una famosissima attrice cinematografica, vera e propria icona del sesso: Sharon Fields. Ossessionati dalle seducenti fattezze del suo corpo, dapprima come semplice gioco di fantasia, poi come allucinante realtà, i quattro organizzano il rapimento della donna, assurdamente convinti che la Dea del Sesso collaborerà spontaneamente a realizzare i loro sogni proibiti…
L’aggressione a Berlusconi e l’incidente toccato al papa Benedetto XVI durante la Messa natalizia di mezzanotte sembrano avere almeno due elementi in comune con questa tematica: un ritorno, da parte del sentire collettivo, alla dimensione della fisicità, del rapporto diretto, materiale, con la figura del capo carismatico, sia esso odiato oppure amato; e l’assoluta, irragionevole incapacità di separare quel corpo fisico dalle potenti suggestioni e dalla forza simbolica che esso è in grado di evocare.
Lo si vuole colpire, ferire, distruggere; lo si vuole sentire, stringere, abbracciare: non lo si vuole più vedere e ascoltare da lontano, si vuole un rapporto immediato, a pelle, viscerale, totale: si vuole raggiungerne il corpo con il proprio corpo, entrare a farne parte. Alla realtà virtuale, alla realtà mediata e filtrata da infinite cortine, tecnologiche e di sicurezza, si vuole reagire con un ritorno al contatto immediato, personale, fisico.
Si dirà che in questo non vi è nulla di strano, dal momento che da molti decenni la società in cui viviamo esalta la dimensione fisica, corporea, in chiave specificamente edonistica e sensuale, bombardandoci con infiniti messaggi che esaltano il corpo. Ma è proprio vero? A ben guardare, non si tarda ad accorgersi che il corpo che viene esaltato dalla pubblicità, dalla televisione, dal cinema e da numerosi spettacoli pubblici di musica, danza, intrattenimento, ha solamente le apparenze del corpo naturale.
Tanto per cominciare, si tratta di un corpo eternamente giovane e bello; eternamente agile e sano; eternamente tonico e fresco: vale a dire, un corpo che non esiste nella vita reale, ma solo a livello di immaginario. In secondo luogo, è un corpo ampiamente modellato e “corretto” mediante strategie artificiali, che vanno dalla cosmesi alla depilazione, dalla palestra alle lampade abbronzanti, dall’assunzione di sostanze ormoniche alla chirurgia estetica. Infine, si tratta di un corpo esibito con tutti gli accorgimenti della tecnica, sia quando è nudo (studio degli effetti di ombra e luce nelle foto di un calendario, ad esempio), sia quando è vestito (sfoggiando i vestiti firmati più costosi ed esclusivi, che le persone comuni non possono permettersi e che, comunque non avrebbero occasioni sociali in cui esibirli).
Giungiamo così alla conclusione, solo in apparenza sorprendente, che la società materialistica ed edonistica in cui viviamo ha perpetrato, nei confronti del corpo naturale, una violenza assai più grave di quella della società cosiddetta repressiva, la quale si limitava - dopo tutto - a coprirlo, senza alterarlo e senza falsificarlo e, soprattutto, senza imporre all’immaginario collettivo un ideale corporeo irrealizzabile, davanti al quale la stragrande maggioranza delle persone non possono che sentirsi frustrate, inadeguate, brutte.
La verità è che proprio questa società, apparentemente così libertaria e permissiva, ha instaurato, anche nel campo della consapevolezza corporea, il suo caratteristico totalitarismo travestito da democraticismo: non si dà verità al di fuori di quella  del corpo immaginario della pubblicità, cui tutti possono - in teoria - aspirare, ma che, in pratica, nessuno raggiungerà mai. È lo stesso, identico meccanismo del miraggio consumista: si vuol far credere che il consumatore sarà sazio e soddisfatto allorché avrà acquistato l’ultimo prodotto reclamizzato, mentre invece egli verrà incessantemente bersagliato da sempre nuovi bisogni artificialmente indotti e costretto a vivere in uno stato di perenne ansia, di perenne desiderio e di perenne frustrazione.
E intanto il corpo negato, rifiutato, rimosso - il corpo che invecchia e che si ammala, il corpo che mostra le ingiurie del tempo e della malattia -, cacciato dalla porta, tende a rientrare dalla finestra: anche attraverso il gesto sconsiderato di persone dalla mente fragile, le quali si illudono che, distrutto o abbracciato il corpo fisico dei capi carismatici dai quali esse credono che tutto dipenda, il loro demone troverà pace e le loro ansie si placheranno.
In altri termini, abbiamo talmente deformato e reso irriconoscibile la realtà del corpo, e talmente perso il contatto con esso, che, per ritrovare nei suoi confronti un rapporto armonioso, o quanto meno sano e naturale, dovremo fare davvero molta strada, percorrendo a ritroso un bel pezzo del cammino sin qui fatto all’insegna di una falsa emancipazione.
E, tanto per cominciare, dobbiamo imparare a liberarci dall’ossessione del giovanilismo e dell’estetismo plastificato, per riscoprire tutto il fascino degli anni che passano, delle rughe che compaiono, dei capelli bianchi che si diffondono, purché tutte queste cose siano parte di un corpo che ha conservato intatti i legami con l’anima. Solo a questa condizione l’età non più giovane, le rughe e i capelli bianchi possono essere affascinanti: non in se stessi, ma come parte di una persona affascinante, che porta con semplicità il proprio tempo anagrafico.
Si pensi a come un bambino vede la nonna a cui è particolarmente legato: non la vede vecchia e brutta; la vede infinitamente affascinante, anche con le rughe e i capelli bianchi; anche se si muove a fatica e non sfoggia un sorriso abbagliante, come fanno le finte nonne nella pubblicità televisiva delle dentiere. Ora, la stessa cosa può avvenire nel mondo degli adulti, se essi imparano a guardare il corpo dell’altro non secondo i demenziali canoni estetici  del consumismo, ma con lo sguardo interiore, che sa vedere la totalità delle persone che si hanno di fronte.
Scrive a questo proposito Clarissa Pinkola Estés nel suo libro «Donne che corrono coi lupi» (titolo originale: «Woman Who Run with the Wolves», 1992, traduzione italiana di Bianca Pizzorno, Edizioni Frassinelli, 1993, p.207):

«Intorno ai vent’anni ho fatto due esperienze fondamentali, assolutamente contrarie e tutto ciò che fino a quel punto mi avevano insegnato sul corpo. Durante un seminario tra donne, di notte, accanto a delle sorgenti di acqua calda, vidi una donna nuda di circa trentacinque anni. Aveva i seni svuotati  dall’allattamento, il ventre striato dalle gravidanze e dai parti.  Ero molto giovane, e ricordo che fui dispiaciuta per i danni subiti dalla sua bela pelle. Qualcuno suonava le maracas e il tamburo, e lei prese a danzare, muovendo in diverse direzioni i capelli, i seni,  la pelle, le membra. Era bellissima, vitale,  con una grazia che inteneriva il cuore. Avevo sempre sorriso  alla frase “ha il fuoco in corpo”. Ma quella notte lo vidi, vidi la potenza di un corpo femminile quando è animato da dentro. Sono passati trent’anni, e ancora posso vederla danzare nella notte, e ancora sono colpita dalla potenza del corpo.
Il secondo risveglio venne da una donna molto più vecchia. Secondo il metro comune, le anche erano a forma di pera, il petto troppo piccolo in proporzione, le gambe erano ricoperte di vene rossastre, una lunga cicatrice lasciata da un intervento chirurgico andava dalla gabbia toracica fino alla spina dorsale.
Era un mistero come mai gli uomini le ronzassero attorno come fosse un favo di miele.  Volevano mordicchiare quelle cosce a para, volevano leccare quella cicatrice, posare la guancia su quella ragnatela di vene. Il suo sorriso era abbagliante, il portamento mirabile, e quando i suoi occhi guardavano, veramente carpivano ciò che guardavano. Di nuovo vidi quel che mi avevano insegnato a ignorare.  Il potere NEL corpo. Il potere culturale  DEL corpo è la sua bellezza, ma il potere del corpo è raro, perché  è stato per lo più scacciato alle torture inflittegli o dall’imbarazzo creato dalla carne.»

Così è.
Vi sono uomini e donne che si credono maestri nell’arte della seduzione, mentre sono di una ignoranza totale riguardo alla natura del corpo, sia il proprio che quello altrui: dovrebbero rimettersi a studiare da zero e rifare di bel nuovo gli esami.
Non ne sanno nulla, assolutamente nulla: credono che sguardi fatali e tacchi a spillo siano tutto quanto basta per dare vitalità al corpo, o che la danza del ventre sia di per sé quanto di più irresistibile in fatto di erotismo del corpo.
 Evidentemente, costoro non sanno che - con opportune tecniche - si può rendere superficialmente attraente anche un corpo senza vita; non sanno che, in un’anima morta, il corpo non potrà mai risplendere di forza e di bellezza. Purtroppo, costoro passano per esperti in questo campo, ed il gusto di milioni di persone, soprattutto di giovanissimi, viene radicalmente stravolto dall’esempio fuorviante di siffatti maestri.
Eppure, tornando al nostro al discorso iniziale, l’eccesso di spersonalizzazione dei rapporti umani dovuta alla tecnologia, e l’eccesso di artificializzazione del corpo, ridotto ad oggetto puramente immaginario al servizio del consumismo, stanno provocando, per reazione, un aumento sempre più forte della richiesta di contatto intimo fra le persone. C’è voglia di corpo, non solo e non semplicemente in senso sessuale; e, anche in quest’ambito, non solo e non semplicemente in senso limitato e ristretto. C’è desiderio, c’è bisogno di ritorno al corpo naturale, compresi i suoi eventuali inconvenienti e inestetismi, e non già del corpo artificiale, ingannevolmente perfetto.
In un certo senso, ciò ha a che fare con la nuova tendenza a recuperare un rapporto più vero e più leale con il mondo della natura. Un numero sempre più grande di persone sta imparando a diffidare delle belle mele, grandi e rosse, esposte al supermercato, e a preferire le mele piccole e poco attraenti delle coltivazioni biologiche; a diffidare della frutta e della verdura fuori stagione, di produzione industriale, e ad accontentarsi dei prodotti stagionali, di cui si sa con relativa certezza la provenienza e il trattamento.
Ma la nuova «domanda» di corpo è anche in relazione con una esigenza di intimità, di confidenza, di tenerezza, che scaturisce da una necessità troppo a lungo rimossa e disattesa, in nome di un sistema di vita superficiale e inautentico, basato sull’apparenza e sulla pedissequa imitazione di modelli artefatti e ingannevoli. È il segnale che la natura, a lungo ingannata, sta lottando per riprendersi i suoi diritti e per reclamare quel calore di rapporti, anche sul piano fisico, di cui reca una incancellabile nostalgia.
In effetti, è tutta la nostra società che soffre una vera e propria crisi di identità corporea, sedotta dalle sirene ammaliatrici di una tecnologia che sembrava promettere la risoluzione dolce e indolore di qualsiasi problema. I bambini che crescono giocando non con oggetti fisici atti a stimolare la loro fantasia, ma con lo schermo del computer o dei giochi elettronici, hanno perduto il rapporto con il corpo naturale; e lo hanno perduto anche le bambine che giocano con le bionde Barbie, impeccabili nella loro algida perfezione.
Il male, quindi, parte da lontano; parte dall’infanzia. I genitori dovrebbero ricordare che prendere i loro figli sulle ginocchia e raccontare loro una storia è molto più formativo e molto più gratificante sul piano affettivo, che non parcheggiarli davanti a dei costosi, ma freddi videogiochi; e che insegnar loro a costruire un aquilone, o un burattino, è molto più utile ed educativo che non comperare loro dei giochi già belli e pronti.
Ma non si dimentichi che il primo e fondamentale strumento di gioco e di scoperta del mondo, per il bambino, è e dovrebbe continuare ad essere il corpo. Nessun gioco è più benefico per la salute e per la creatività di quello che non richiede altro che la propria fisicità e che sia basato sulla velocità, sulla prontezza di riflessi, sul senso dell’equilibrio; e nessuno è più utile per favorire e sviluppare la capacità di socializzare.
Quando dei bambini, nella bella stagione e con un prato o un giardino a loro disposizione, si annoiano e dichiarano di non saper che cosa fare, allora gli adulti dovrebbero incominciare a preoccuparsi e a domandarsi dove sono venuti meno alla propria funzione educativa. Il tradimento del corpo - per usare un’espressione cara ad Alexander Lowen - incomincia proprio da lì; e non mancherà di dare i suoi frutti avvelenati negli anni a venire. Un bambino che non si è mai strappato i calzoni cercando di arrampicarsi su un albero, è un adulto che non saprà accarezzare sua moglie o coccolare i suoi figli piccoli.
Il guaio è che di questo calore che ci viene negato, di questo rapporto fisico con il corpo che non ci è concesso, noi sentiamo dolorosamente la mancanza, come di una ferita mai rimarginata. È questo che ci rende così nervosi e scontenti, così aggressivi e insicuri. Restituire alla dimensione fisica del corpo i suoi diritti, significa aprirci la strada verso una vita più serena, più fiduciosa e più aperta.