Un federalismo integrale per una cittadinanza delle differenze
di Lanfranco Nosi - 11/04/2006
Fonte: europaplurale.org
Assumere la diversità dei legami sociali e culturali entro i quali l’uomo si esprime e si
realizza come un elemento essenziale e costitutivo nel processo di articolazione di una comunità politica complessa
Da ciò è chiaro chi si debba considerare come
cittadino: tale è quello che ha la possibilità di
adire alle cariche deliberative e giudiziarie
Aristotele, Politica , Libro III
Per poter inquadrare il problema della “cittadinanza” all’interno di una prospettiva
federalista in senso proprio è necessario partire dall’assunto, ben evidenziato dalla
citazione di Aristotele, della natura eminentemente politica del concetto di “cittadino”. In
altri termini, il cittadino è tale in quanto a) titolare di diritti politici, quei diritti che gli
consentono di esercitare la libertà/dovere di partecipare attivamente al governo della
polis, quindi di prendere decisioni collettivamente vincolanti; b) la titolarità di tali diritti è
il risultato di un atto politico di definizione dei requisiti; c)
la definizione di tali requisiti è a sua volta legata “all’atto
politico costitutivo della sfera dell’ appartenenza, cioè dei
confini tra inclusione ed esclusione”1.
Per quanto quindi possa sembrare all’apparenza banale,
affrontare il problema della cittadinanza significa innanzi
tutto porsi il problema di individuare le caratteristiche, e
soprattutto i presupposti, dell’atto politico che porta alla
costituzione della comunità o della collettività di
riferimento. Di fatto, nell’analisi della storia e dei mutamenti
del concetto di cittadinanza, spesso non facciamo altro che
esaminare i mutamenti delle comunità politiche in quanto
tali, e quindi della ridefinizione costante di quei “confini”
che le determinano.
Il punto è decisivo, in quanto dietro questo “atto politico
costitutivo” risiede inevitabilmente una certa idea dell’uomo
e delle relazioni umane2, e conseguentemente che “ogni
dibattito sul futuro delle forme della convivenza politica deve muovere da una dimensione
antropologica per giungere, dopo una serie di passaggi, alla dimensione istituzionale”3.
Per questo, definire le caratteristiche di una cittadinanza secondo le linee guida di un
federalismo che si vuole integrale significa assumere la persona al centro della riflessione,
intendendo con il termine un individuo connotato da una identità definita anche in
relazione a legami di carattere personale ed ascrittivi, legami intensi, ma che mantenga
costantemente la sua autonomia .
Così infatti ce lo descrive Denis De Rougemont:
“L'uomo è al tempo stesso libero e impegnato, autonomo e solidale. Egli vive
nella tensione tra questi due poli: il particolare e il generale; tra queste due
responsabilità: la propria vocazione e la città; tra questi due amori: quello che
deve a se stesso e quello che deve al prossimo - indissolubili. Quest'uomo che
vive nella tensione, nel dibattito creatore e nel dialogo permanente, è la
persona.”4
Questo significa assumere la diversità dei legami sociali e
culturali entro i quali l’uomo si esprime e si realizza non
solo come un dato di fatto (eventualmente da neutralizzare),
ma come un elemento essenziale e costitutivo nel processo
di articolazione di una comunità politica complessa, una
comunità di comunità. E’ una scelta eminentemente politica:
si assumono come valori la diversità e la differenza dei
soggetti individuali e dei soggetti collettivi5, che
acquisiscono in tale prospettiva piena legittimazione e
dignità in quanto soggetti autonomi. Si assume che il
conflitto sia una dimensione irriducibile del vivere umano, e
quindi tra soggetti diversi (siano essi individuali o collettivi),
ma che, attraverso la cooperazione e la partecipazione alle
decisioni collettive (secondo il principio di sussidiarietà, per
il quale la presunzione di competenza agisce “a favore del
livello più vicino agli interessati”6) si crei una rete di obblighi politici reciproci7 e
conseguentemente si possa rendere l’antagonismo fecondo8.
Le collettività politiche di riferimento si costituiscono quindi attraverso “l’atto politico”
della
federalizzazione di soggetti liberi ed autonomi , che porta alla costruzione di
comunità sempre più ampie e comprensive, che non implica affatto la scomparsa dei
“confini” e delle appartenenze dei soggetti che vanno a federarsi, ma una loro definizione
aperta e una articolazione dialogica.
In tale prospettiva, i criteri che determinano inclusione/esclusione dal patto federativo
(quindi dalla cittadinanza della specifica unità politica che tale patto costituisce) sono:
- la condivisione dello stesso “spazio vitale”, inteso come “luogo ove la propria
esistenza quotidiana forma il mondo”9;
- il riconoscimento reciproco;
- la volontà di affrontare insieme problemi comuni,
attraverso una partecipazione attiva e
responsabile.
Si configura quindi, in un contesto di federalismo “diffuso”,
una
cittadinanza delle differenze, in quanto gli attributi
propri della cittadinanza così come si sono definiti
precedentemente non afferiscono solo ai soggetti
individuali, le persone, ma anche, ed è il punto
fondamentale, ai soggetti collettivi, che potremmo definire
6
in senso lato comunità10. Tale approccio implica il superamento, ma non la negazione
assoluta, dei modelli di cittadinanza legati ai tradizionali jus sanguinis e jus soli11: li
integra, in quanto è implicita la possibilità, per la persona, di essere cittadino di una
comunità sia per “effetto automatico di circostanze”12 sia per scelta consapevole, e li
supera in quanto la cittadinanza assume caratteristiche e forme diverse a seconda dello
spazio politico nel quale si esprime.
Quest’ultimo aspetto è forse il più rilevante, e merita di essere ulteriormente specificato.
Assumendo che la cittadinanza si espliciti nella capacità di concorrere nella deliberazione
di decisioni vincolanti per una data collettività o comunità, ed assumendo che, sulla base
del principio di sussidiarietà, le decisioni devono essere prese per quanto possibile al
livello più vicino agli interessati, risulta evidente come possano presentarsi forme diverse
di “cittadinanza”, e soprattutto “cittadini” di diversa natura (intendendo qui la natura di
soggetto collettivo o individuale), a seconda del livello al quale si collocano i problemi
oggetto della deliberazione, e quindi della “comunità politica” chiamata a risolverli. In altri
termini, potenzialmente si posso strutturare tante unità federali quanti sono i patti che
vengono stabiliti tra i vari soggetti.
Questo implica la possibilità dell’esistenza di comunità politiche diverse per dimensioni ed
“intensità”: a partire dalle piccole e piccolissime comunità locali, dove più “intensa”,
perché più diretta, è la partecipazione e più intenso è il sentimento di appartenenza
(potremmo dire che sono “più umane”13), fino a comunità continentali strutturate come
7
matrici di autonomie cooperanti14, dove la partecipazione e il senso di appartenenza sono
“mediati” dalle collettività federate15.
L’adozione di una tale prospettiva ha svariate implicazioni, ma alcune sono
particolarmente rilevanti: in un contesto come quello delle società contemporanee, ove la
multiculturalità non è una possibile opzione ma un dato di fatto ineludibile, potrebbe
aprire nuove strade per una reale integrazione ( e non assimilazione) di comunità ed
identità culturali forti in un processo di definizione di nuove regole di convivenza. Questa
dimensione inclusiva, unita alla dimensione fortemente partecipativa consentirebbe la ricreazione
di strutture ed istituzioni democratiche nel senso più “pieno” del termine,
attraverso una azione “dal basso verso l’alto” della molteplicità dei corpi sociali e delle
persone.
Non possiamo comunque sostenere che una teoria del genere, seppur qui esposta in
maniera forse troppo generica, sia priva di aporie e di criticità, ma questo vale per tutti i
“costrutti” teorici: in questo contesto, quindi, è forse più utile individuare due aspetti,
legati fra loro, che forse più di altri, anche se non il solo, risultano determinanti per poter
pensare come realizzabile una tale proposta.
Da una parte, a fronte della centralità teorica del momento partecipativo (dall’atto
federativo alla “vita” della collettività politica così formata), non possiamo esimerci dal
porre, seppur brevemente, l’attenzione su un “vecchio” tema da sempre connesso
all’analisi della democrazia e del suo sviluppo, quale è quello delle condizioni necessarie
affinché i soggetti siano in grado di partecipare: una riforma così radicale della
cittadinanza non può prescindere dall’elaborazione di prospettive e politiche in grado di
“recuperare” tempo e spazio necessari,ad una partecipazione attiva e responsabile16.
Conseguentemente, dobbiamo porre assolutamente l’attenzione sull’importanza che può
rivestire il processo di unificazione europea: abbiamo infatti di fronte la possibilità di
creare il primo grande spazio politico continentale in grado, per le risorse presenti, di
porsi come alternativa di convivenza e di civiltà possibile, ma questo solo a condizione di
rilanciare il processo secondo coordinate diverse, rilanciandolo dal basso attraverso quel
processo di costruzione attiva delle comunità politiche che abbiamo sinteticamente
enunciato. E non è un percorso “folle”, ma è già “in potenza” nella nostra quotidianità,
dalle “reti di associazioni” agli “esperimenti” di “democrazia partecipativa” e di “economia
solidale”17: qui possiamo trovare quei soggetti, quelle individualità e collettività che
possono, in uno sforzo comune di “rimessa in gioco” e di rielaborazione delle proprie
prospettive, costituire la base per realizzare un’Europa delle differenze e della pluralità.
Note
1 Virgilio Mura, Sulla nozione di cittadinanza, in Virgilio Mura (a cura di ) Il cittadino e lo Stato, Milano,
Franco Angeli, 2002
2 “Penso che sia vano parlare di problemi politici se non ci si è prima soffermati su qualche ideadell'uomo; e questo perché ogni politica implica una certa idea dell'essere umano e contribuisce apromuovere una qualche idea di umanità (che lo si voglia o no, che piaccia o no).”, Denis De Rougemont, L'attitude fédéraliste, relazione tenuta nel 1947 a Montreux in occasione del Congresso
dell' Union Européenne des Fédéralistes, in Ibidem, L'Europe en jeu, Neuchâtel, La Baconnière, 1948
3 Marco Tarchi, Una risposta alla crisi? – postfazione a Alain de Benoist, Democrazia: il problema,
Firenze, Arnaud Editore, 1985
4 Denis De Rougemont, L'attitude fédéraliste, Cit.
5 “Il federalismo poggia sull'amore della complessità, per contrasto con il semplicismo brutale che caratterizza lo spirito totalitario. Dico proprio l'amore, e non il rispetto o la tolleranza. L'amore delle complessità culturali, psicologiche e anche economiche, questa è la santità del regime federalista.” Denis De Rougemont, L'attitude fédéraliste, Cit.
6 Alain de Benoist, Giacobinismo o Federalismo? In Ibid., Le sfide della postmodernità, Bologna, Arianna Editrice, 2003. Sul tema, interessante anche la sintesi di Ferdinand Kinsky: “Nello stato federale, il potere è distribuito tra la federazione e gli stati membri, almeno teoricamente, secondo il principio di esatto adeguamento: il potere deve situarsi là dove i problemi si pongono. Inoltre, il potere federale deve rispettare l’autonomia dei poteri componenti. Esso interviene, come potere sussidiario solo nel caso in cui un problema sorpassi il grado di competenza dei piani inferiori.[…] L’applicazione integrale del principio dell’esatto adeguamento porta una ripartizione dei poteri politici, economici, sociali e culturali, secondo i bisogni e le esigenze reali.” – F. Kinsky, Le Fédéralisme et Alexandre Marc, Losanna, Centre de Recherches Europeénnes, 1974
7 In questo senso fondamentale risulta l’analisi del “federalismo in quanto struttura per partecipare” in Giuseppe Gangemi, Federalismo come struttura per partecipare e valorizzare le identità locali, nella versione pubblicata su Europa Plurale – Rivista per un Federalismo Globale, n° 4/2005
8 “Considerare l’uomo in quanto persona e fondare su questa persona tutte le istituzioni significa riconoscere la natura concreta dell’uomo, che comporta il conflitto. Le istituzioni che tengono conto dell’uomo concreto, tengono anche conto del principio di ogni conflitto, e hanno come scopo quello direndere gli antagonismi fecondi per l’insieme del corpo sociale.” Denis de Rougemont, Politique de laPersone, 1934
9 Parafrasiamo qui Ivan Illich quando ci ricorda “In numerose lingue “vivere” è sinonimo di abitare.Chiedere “dove” vivi significa chiedere qual è il luogo dove la tua esistenza quotidiana forma il mondo”
10 Adottiamo qui una definizione “minima” di comunità mutuandola da Carl Friedrich: “Una comunità è, potremmo suggerire ipoteticamente, composta da persone che sono unite da uno o più dei seguenti aspetti della personalità: valori – ivi inclusi scopi, interessi, idee, ideologie -, miti, utopie ed i loro simboli, ed infine, la religione e i suoi rituali”, Carl J. Friedrich, Le dimensioni della comunità politica, in Ibidem, L’uomo, la comunità, l’ordine politico, Bologna, Il Mulino, 2002
11 “La combinazione dei principi dello jus soli e dello jus sanguinis, che continua ad ispirare la maggior parte delle legislazioni nazionali in tema di cittadinanza, prevede che l’acquisizione dello status
civitatis sia di norma un effetto automatico di circostanze (nascita, filiazione, adozione, etc.) che prescindono totalmente dalla volontà del soggetto interessato. L’unica eccezione in materia è
rappresentata dall’istituto dell’ acquisizione per opzione peraltro limitato, ove ammesso, a pochi casi rigidamente circoscritti.” Virgilio Mura, Sulla nozione di cittadinanza, cit.
12 Vedi Supra
13 “La misura umana di una Comunità è definita dalla limitata possibilità che è a disposizione di ogni persona per contatti sociali. Un organismo è armonico ed efficiente soltanto quando gli uomini preposti a determinati compiti possono esplicarli mediante contatti diretti”, Adriano Olivetti, L’idea di una Comunità concreta, in Ibid., Società, Stato, Comunità.
“Per servire le finalità supreme dell’uomo, libero e responsabile e amato in modo attivo, bisogna avere assolutamente delle piccole comunità. […] Siamo fatti per vivere nella nostra famiglia, prima, poi nel nostro comune, nella nostra piccola regione.” Denis de Rougemont, Libertà, responsabilità e amore, Bellinzona, Jaka Book, 1990
14 Sulla natura e sul concetto di “matrice” riferita al federalismo è d’obbligo il rimando al lavoro di Daniel J. Elazar, in particolare Idee e forme del federalismo
15 Tale “mediazione” non significa però una totale assenza del soggetto individuale: si tratta di una forma della cittadinanza che deve necessariamente articolarsi attraverso modalità diverse rispetto a quelle utilizzate in un contesto di prossimità, quale quello delle comunità locali.
16 In questo senso va letta l’attenzione che il federalismo integrale ha da sempre dedicato ai
meccanismi e alle dinamiche economiche e sociali (da Adriano Olivetti ad Alexandre Marc, solo per citare due nomi), ma che in questo contesto non possiamo adeguatamente illustrare, così come l’interesse verso il variegato e fertile (dal punto di vista teorico) arcipelago “altermondialista”.