Da questa grave crisi economica oramai si è in tanti (economisti, ma non solo) ad essere convinti che non si uscirà nelle stesse condizioni di come si era entrati.
Questa differenza si evidenzierà innanzitutto con una netta riduzione dei consumi.
Gran parte della popolazione ha già cominciato (e proseguirà) ad eliminare i beni considerati superflui:
- oggetti dei quali già si hanno in casa diversi esemplari quali articoli di abbigliamento, accessori vari domestici, …
- giocattoli, dei quali sono piene le case con bambini comunque sempre insoddisfatti
- oggetti di fatto monouso (in quanto usati in rarissime occasioni) dei quali sono piene le pubblicità dei supermercati e quindi i garage e le cantine, quali caricabatterie per auto, mole per utensili manuali, trapani e altre attrezzature da banco, compressori, motoseghe, tagliasiepi, ecc., (sostituibilissimi, laddove necessari, con il prestito tra amici e conoscenti)
- soprammobili, ricordini, gadget, …
Si stanno abbandonando le “mode” che ci impongono di sostituire con nuovi abiti quelli acquistati l’anno precedente e indossati pochissime volte, solo perché differenti per colore o modello.
Anche i “lussi”, quali cene fuori casa, viaggi, cinema, teatri,…, subiranno tagli.
Quella parte della popolazione più sensibile e raziocinante terrà conto anche delle gravi condizioni ambientali in cui versa il pianeta: aumento dei rifiuti; aumento delle auto circolanti; riduzione dell’acqua, diminuzione delle materie prime; aumento dell’inquinamento dell’aria; incremento abnorme del consumo del territorio, …
E quindi i tagli si estenderanno ai beni cosiddetti non ecocompatibili:
- oggetti di materiale plastico inutili o pochissimo utili (piatti e bicchieri, bottiglie d’acqua)
- oggetti elettrici con validissimi sostituti manuali quali spazzolini, coltelli, spremiagrumi, grattugie, …
- oggetti energivori, quali elettrodomestici non di buona classificazione (da classe C in giù); lampade da oltre 100 watt; …
- autovetture
- imballaggi inutili
- oggetti usa e getta.
A ciò si aggiungeranno le conseguenze delle limitazioni produttive che sicuramente verranno imposte dalla comunità internazione a causa dell’urgente (sebbene sottovalutata) necessità della riduzione della CO2 nell’atmosfera.
La riduzione della produzione di tali manufatti, nonché le ricadute sulle catene collegate (impianti, trasporti, commercio, …), è già iniziata e nel futuro non potrà che proseguire, generando inevitabilmente perdite di posti di lavoro.
Di ciò lavoratori e sindacati non possono non prendere atto.
Ne discende quindi che si dovrà aprire una nuova politica sindacale, in parte similare a quella degli anni ’70 dove i lavoratori hanno iniziato a contrattare non solo le problematiche economiche, ma anche quelle inerenti la salute e sociali (esempio gli asili nido qui a Como).
Tale nuova politica servirà innanzitutto a non dover subire le crisi aziendali che si potranno prospettare, ma ad anticiparle e, per quanto possibile, evitarle (più avanti ne riparleremo). Sarà bene quindi che i lavoratori ed i loro rappresentanti inizino ad attivarsi verso le proprie imprese discutendo coi datori di lavoro non solo di salari e di condizioni di lavoro, ma anche della tipologia e qualità del prodotto aziendale.
Gli obiettivi della discussione saranno principalmente la verifica dell’utilità e della compatibilità/sostenibilità ecologica del prodotto realizzato in azienda: solo con produzioni con caratteristiche positive i lavoratori potranno avere buoni margini di sicurezza del proprio posto di lavoro, nonché la consapevolezza di essere partecipi al bene della società e non solo pedine di un sistema, spesse volte sconosciuto, inutile e dannoso.
La verifica non è certamente cosa semplice: sarà più facile se il prodotto finale è conosciuto. Diventerà invece via via più complessa in funzione sia delle trasformazioni che il prodotto aziendale subirà all’esterno da parte di altre aziende, sia dell’utilizzo che altre aziende ne potranno fare. Nel primo caso mi rivolgo ai produttori dei cosiddetti “semilavorati”; nel secondo penso invece ai produttori di macchine utensili e similari. Qui dovranno entrare in gioco necessariamente i rappresentanti di categoria dei lavoratori e dei datori di lavoro e quindi il livello di discussione si eleverà, su su fino ai massimi vertici.
Una volta che, consensualmente (non escluse “spinte” da parte dei lavoratori), verrà accertata l’inutilità/dannosità del prodotto aziendale, sarà possibile proseguire la discussione sulle alternative. Alternative rivolte principalmente alla produzione di beni utili all’ambiente (la cosiddetta green economy), in Italia poco adottata e sostenuta, contrariamente a quanto avviene nei Paesi più intelligenti e lungimiranti che consentirà di aprire un enorme mercato con la creazione di innumerevoli posti di lavoro.
Un recente esempio di possibile conversione industriale intelligente è la dichiarata (sacrosanta) chiusura della produzione di automobili nello stabilimento Fiat di Termini Imerese da sostituire con la produzione dei coogeneratori, produzione invece già programmata dalla Volkswagen tedesca utilizzando il motore di serie della Golf convertito a metano (ironia della sorte, tali oggetti, allora denominati Totem, sono stati inventati dalla Fiat fin dal 1973 ma mai sfruttati industrialmente).

Così operando i lavoratori diventeranno attori fondamentali per:
- il controllo del proprio posto di lavoro
- la valorizzazione del proprio ruolo nella società
- la salvaguardia dell’ambiente.

Giuseppe Leoni leoni.giu@tiscali.it
coordinatore del Circolo comasco del Movimento per la Decrescita Felice