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Sigonella, 11 ottobre 1985

di Alessandra Nardini e Roberto Pennisi - 19/01/2010

pennisi

“Ecco… l’aeroporto militare.
Notò immediatamente una situazione particolare. La presenza di mezzi militari dei carabinieri e della aeronautica militare in numero rilevante, militari in assetto di guerra, tiratori scelti, una eccitazione evidente nei visi, nelle parole, negli atteggiamenti, nei movimenti delle persone.
La gran parte delle persone sconosciute.
Ufficiali dell’Arma, ufficiali della Aviazione, militari in mimetica, qualche persona in borghese dagli atteggiamenti furtivi. Gli unici che non vennero incontro a salutare il magistrato di turno che arrivava!
(…)
Continuava, quasi incredulo, a notare presenze di militari dell’Arma di diversi Comandi della Provincia. Uomini da Lentini, Carlentini, Villasmundo, Augusta, Sortino, Solarino, Melilli. Una vera e propria mobilitazione generale.
La postazione di lavoro venne stabilita presso l’Ufficio del comandante della Stazione Carabinieri.
Erano presenti i principali responsabili militari. Gli riferirono che l’aereo era fermo sulla pista circondato da militari, carabinieri ed avieri, italiani che, a loro volta, erano stati circondati da militari americani della Delta Force sbarcati da due C141.
Una dopo l’altra le notizie si susseguivano. Piccoli ordigni destinati a divenire una raffica di esplosivo mortale.
Gli venne riferito che a bordo dell’aereo vi erano i quattro palestinesi. I quattro terroristi che avevano sequestrato la Achille Lauro. I quattro che erano stati fermati dalle autorità egiziane a bordo della nave e che erano stati fatti salire a bordo dell’aereo per essere portati in Tunisia, unico Paese che si era detto disposto a riceverli.
Inoltre un non meglio specificato diplomatico egiziano che li accompagnava nel tragitto verso Tunisi, l’equipaggio dell’aereo, ed un paio di altre persone con compiti di sicurezza.
E nessun altro.
Gli ribadirono che si era trattato di un atterraggio forzato, determinato dall’intervento di caccia americani che avevano intercettato quel velivolo e costretto ad atterrare a Sigonella.
(…)
Ora sapeva quale fosse il suo compito: prendere in consegna le persone indicate come “i quattro sequestratori della Achille Lauro”, ed accertare se veramente si trattasse di loro.
(…)
Bisognava stare calmi, senza farsi prendere la manoda una situazione in cui le esigenze politico-diplomatico-militari, certamente rilevanti, potevano rischiare di far passare in secondo piano quelle più squisitamente investigative e processuali per le quali si trovava in quel posto.
Decise, a quel punto, di controllare direttamente la situazione.
Così come era abituato a fare sempre, e così in quella occasione, nonostante la visibile perplessità dei presenti.
(…)
La sagoma che fuoriusciva parzialmente dalla fusoliera attraverso il portello era quella di un uomo, dai capelli molto scuri e folti. Attorno all’aereo vi erano carabinieri ed avieri con le armi corte e lunghe di ordinanza. Poi pochi veicoli militari italiani ad una certa distanza.
Altro non si vedeva.
“E se entrassimo e vedessimo che c’è dentro?”, disse al maresciallo che lo accompagnava.
“Non è prudente dottore” rispose il sottufficiale, “non è come sembra, ci sono gli altri”.
“Ma dove sono?” si domandò, mentre rifletteva sul tono particolare di quella affermazione.
Era la pura e semplice, seppur non condivisibile, preoccupazione che, da sempre, alberga nell’animo dell’essere umano nei confronti del “diverso”.
I “diversi” cui si faceva riferimento non erano quelli dentro l’aereo, ma quelli attorno all’aereo, e non certo i militari italiani, bensì coloro che li avevano circondati. Era a loro che si riferiva il maresciallo, perché erano loro che, secondo il pensiero ormai diffuso nella base militare, rappresentavano in quel momento il più serio problema, il più concreto pericolo. Secondo quel pensiero, anche la più leggera incomprensione tra uomini avrebbe potuto determinare uno scontro a fuoco i cui effetti sarebbero andati ben al di là dei ristretti limiti di quella base. E, per di più, tra truppe di Paesi amici, alleati, legati alla stessa cultura se non forse alle medesime tradizioni.
(…)
Gli pareva che già si fosse creata una divaricazione tra se stesso e tutti gli altri che erano nella base.
Per loro il problema più grosso era rappresentato dalla presenza degli americani.
Certo, un problema serio, ma sentiva che non sarebbe stato di difficile soluzione, forse proprio perché la sua entità era così enorme che il suo stesso peso lo avrebbe sopraffatto.
La presenza di militari in armi nel suolo di un Paese alleato non era cosa che avrebbe potuto durare, proprio per la sua così ingombrante evidenza.
(..)
Ed, in realtà, a ben vedere, arrivando sul posto non sarebbe toccato a lui affrontare e risolvere, come di fatto avvenne, la questione della presenza dei militari americani che, tra l’altro, al suo arrivo non avrebbero neppure dovuto esserci, essendo al di fuori di ogni logica di sovranità nazionale che un corpo armato di uno stato estero si presenti ed operi nel territorio nazionale ponendo in essere una vera e propria azione di guerra ed, addirittura, cercando di dettare condizioni.
Minacciando con le armi militari dello stato sovrano nell’esercizio delle loro funzioni.”

Da Il mistero di Sigonella. Dal diario del Pubblico Ministero, di Alessandra Nardini e Roberto Pennisi, Giuffrè Editore, pagine 16-22 e 27.
Roberto Pennisi, catanese, magistrato dal 1978, descrive le ore trascorse nella base militare di Sigonella in qualità di Pubblico Ministero di turno della Procura di Siracusa, dopo il dirottamento da parte dei caccia USA dell’aereo egiziano che trasportava i sequestratori della motonave Achille Lauro.