Come sappiamo l’impossibilità di un’origine della vita casuale e spontanea è ormai sperimentalmente accertata. Con questo breve articolo cercheremo di comprendere se è possibile che vi siano trasformazioni nel DNA che permettano la tanto “desiderata” evoluzione da una “specie ad un’altra specie” nel senso dei grandi gruppi di animali.
Che nel DNA avvengono, nel corso del tempo, delle continue modifiche di sequenze proteiche di aminoacidi – minuscoli errori di trascrizione del patrimonio genetico – è un fatto. Gli scienziati evoluzionisti danno per scontato che nell’arco dei presunti milioni di anni alcune di queste modifiche – gli errori cosiddetti “utili” – si sarebbero fissati e trasmessi nelle generazioni successive, trasformandole e dando così origine a tutte le forme di vita oggi esistenti. Ad esempio, grazie al metodo comparativo gli evoluzionisti dimostrano che “più del 94% del patrimonio genetico dello scimpanzé è simile a quello dell’uomo”, asserendo che ciò dimostrerebbe che entrambi hanno un progenitore comune. Per gli evoluzionisti il DNA, tramite le sue mutazioni, sarebbe la testimonianza che ogni vivente deriva da un comune progenitore.
James A. Shapiro[1] contesta apertamente tali valutazioni e spiega:
“la nostra conoscenza dei dettagli dell’organizzazione delle molecole sta attraversando una espansione rivoluzionaria, le cui implicazioni non vengono apertamente discusse per non dover considerare la possibilità di una teoria scientifica dell’evoluzione non-darwiniana”.
Il DNA è una di queste scoperte rivoluzionarie e, continua James A. Shapiro,
“…il DNA dispone di livelli multipli di meccanismi di auto-correzione per riconoscere e rimuovere gli errori che inevitabilmente avvengono durante la replicazione del DNA”.
Commentando le dichiarazioni di Shapiro, Maurizio Blondet, autore del libro divulgativo “L’uccellosauro ed altri animali, la catastrofe del darwinismo”, scrive: “Shapiro parla di proofreading mechanismus, apparati di “correzione tipografica” molto simili ai programmi di correzione-software dei sistemi di scrittura computerizzati: difatti “la rivoluzione molecolare ha rivelato un imprevisto campo di complessità e interazioni nel DNA, più simile alla tecnologia computeristica che al meccanicismo che dominava le menti quando fu formulata la moderna sintesi darwiniana”. La cellula – ed ogni organismo vivente – dispone di Il DNA, quindi, avrebbe un sistema di auto-correzione che servirebbe ad eliminare gli errori nella riproduzione del DNA, cioè eliminare proprio le mutazioni che secondo tutte le teorie evoluzionistiche sono il motore dell’evoluzione, introducendo le “novità” che trasformerebbero gli organismi nel corso della storia evolutiva.
Il DNA appare progettato per difendersi da tutte le casuali accidentalità e danneggiamenti impercettibili su cui gli evoluzionisti pongono le loro ipotesi di trasmissione di caratteri che permetterebbero l’evoluzione della specie, più che per servire da “materia prima” o “motore” dell’evoluzione. Come affermato dal Shapiro, il DNA è sostanzialmente una struttura stabile. Non ha possibilità di variazioni illimitate o comunque del tipo necessario per l’evoluzione biologica come viene presentata. Shapiro precisa il suo punto di vista dichiarando: “il DNA è stabilissimo, proprio perché non è una cosa inerte, non è una vittima passiva delle forze casuali della chimica e della fisica. La visione del genoma come una serie di perline infilzate in un filo, che dominava la genetica negli anni ’40 e ’50 è da tempo scaduta. “Allora i geni erano presi come unità corrispondenti a specifici tratti dell’organismo, e l’ipotesi un gene un enzima ci assicurava che il compito essenziale di ciascun gene era di codificare una specifica molecola proteica a un dato fenotipo. Non è più così; oggi ogni gene si è rivelato essere composto da un assemblaggio modulare di motivi regolativi e codificativi. La maggior parte di questi motivi sono condivisi da vari geni, inducendo a pensare che i genomi sono costituiti come con mattoncini di Lego (genomes are assembled Lego-like) da un repertorio di elementi più basilari, di cui molti non codificano proteine, ma inducono altre importanti funzioni: trascrizione, traduzione, fabbricazione del RNA, replicazione del DNA, condensazione della cromatina e così via.
Quando analizziamo la replicazione del menoma durante la proliferazione cellulare e lo sviluppo multicellulare, vediamo che i diversi loci genetici sono organizzati gerarchicamente in reti interconnesse che funzionano dinamicamente. Non confinati ad un singolo tracciato, molti geni sono attivi in tempi differenti, partecipano all’espressione di più di un tratto fenotipico. Il confronto di genomi di organismi differenti hanno rivelato tratti di inattesa conservazione evolutiva fra vaste distanze tassonomiche [come dire: nella zanzara e nella balena, certi loci del DNA sono uguali, nonostante la distanza evolutiva che si presume separare i due viventi] mentre genomi vicinissimi [scimpanzé e uomo, per esempio] spesso differiscono in modo significativo nella disposizione degli elementi ripetitivi di DNA che non codificano proteine”.
Shapiro, continua specificando che:
“S’è scoperto che la cellula ha una capacità autonoma di ingegneria genetica naturale, per cui taglia e divide e ricongiunge le molecole di DNA per ricostruirle in nuove sequenze guidate da reti computanti molecolari che elaborano informazioni sui processi interni e sull’ambiente esterno che si possono caratterizzare come reti rivelanti proprietà biologicamente utili di intelligenza e decisionali”.
Quindi il DNA non solo si auto-protegge, ma si auto-riorganizza. Shapiro conclude dichiarando:
“La nostra attuale conoscenza del cambiamento genetico è fondamentalmente divergente dai postulati neo-darwiniani. Dal menoma costante, soggetto solo a mutazioni localizzate e accidentali, siamo passati al genoma fluido, soggetto a riorganizzazioni episodiche, massicce e non causali, capaci di produrre nuove architetture funzionali. Tuttavia, i neo-darwinisti continuano a ignorare o a banalizzare le nuove conoscenze, e insistono nel gradualismo come sola via della mutazione evolutiva. Le mutazioni accidentali localizzate, selezioni operate da un gene alla volta e modifiche graduali di funzioni individuali non possono spiegare in modo soddisfacente come tanta complessità, modularità e integrazione sia sorte e modificata nel DNA durante la storia della vita sulla terra. Ci sono semplicemente troppi potenziali gradi di libertà per la variabilità casuale e troppe interconnessioni di cui dare conto. Per quanto lungi sia il tempo che si assume per questi cambiamenti”.
Shapiro chiude definitivamente ogni ipotesi di mutazione e trasmissione per la creazione di nuove specie tramite il DNA. Michael Georgiev scrive nel suo saggio “Charles Darwin oltre le colonne d’Ercole”, (Milano, Gribaudi, 2009, pp. 318-321):
“Al di là della complessità strutturale e funzionale dei viventi, che supera ogni immaginazione umana, un altro aspetto della funzionalità cellulare scoperto di recente è davvero sbalorditivo e mette ancor più in crisi l’evoluzione darwiniana. Si tratta dei sofisticati meccanismi di controllo e riparazione degli errori di copiatura, con dispositivi che «suicidano» la cellula qualora, a causa dell’ambiente esterno o del malfunzionamento delle macchine molecolari interne, le funzioni cellulari si alterano oltre una certa soglia. Meccanismi quanto mai ostili all’evoluzione, come ha scritto sul Boston Review, nel corso del lungo dibattito sull’evoluzione, James Shapiro, genetista e biologo molecolare dell’Università di Chicago:
«Nonostante i puristi come Denett e Dawkins asseriscano ripetutamente che le questioni scientifiche riguardo all’evoluzione siano fondamentalmente risolte dal neodarwinismo, il continuo fascino che il pubblico mostra per l’argomento rivela una saggezza più profonda. Vi sono molte più domande irrisolte che risposte riguardo ai processi evolutivi […]
Gli ultimi cinquant’anni di ricerca genetica e di biologia molecolare hanno portato a scoperte rivoluzionarie. Capovolgendo le visioni troppo semplificate della metà del ‘900 sull’organizzazione e funzione cellulare, la rivoluzione molecolare ha rivelato un non previsto regno di complessità ed interazione, più compatibile con la tecnologia dei computer che con la visione meccanicistica che dominava nel campo ai tempi della formulazione della moderna sintesi neodarwiniana. I cambiamenti concettuali nella biologia sono di grandezza simile a quella della transizione dalla fisica classica alla fisica relativistica e quantistica […]
I confronti tra i genomi di organismi diversi hanno rivelato modelli non aspettati di conservazione evoluzionistica attraverso grandi distanze tassonomiche [tra forme animali lontane l’una dall’altra], mentre genomi apparentati strettamente differiscono in modo significativo nell’organizzazione di elementi ripetitivi di DNA che non codificano proteine.
Come tutta questa modularità, complessità ed integrazione sia comparsa e cambiata durante la storia della vita sulla terre è un problema centrale dell’evoluzione. Le mutazioni casuali localizzate, la selezione che agisce su “un gene alla volta” (postulato di John Maynard Smith) e la modifica graduale delle singole funzioni non sono in grado di dare una spiegazione soddisfacente dei dati molecolari, pur concedendo tutto il tempo che si vuole per il cambiamento. Vi sono semplicemente troppi gradi potenziali di libertà per la variabilità casuale e troppe interconnessioni da spiegare […]
Per prima cosa tutte le cellule, dai batteri all’uomo, possiedono sistemi veramente sbalorditivi di riparazione, che servono per rimuovere le fonti di mutazione fortuita […] È stata una sorpresa imparare quanto a fondo le cellule si proteggono precisamente contro quei tipi di cambiamenti genetici fortuiti che secondo la teoria convenzionale sono la fonte della variabilità evolutiva. Grazie ai loro sistemi di rilevamento e riparazione, le cellule viventi non sono vittime passive delle forze casuali della chimica e della fisica. Esse devolvono grandi risorse per sopprimere la variazione genetica casuale […]
La seconda grande lezione degli studi molecolari delle origini del cambiamento genetico è che tutte le cellule possiedono agenti biochimici multipli di ingegneria genetica naturale – processi che includono il taglio delle molecole di DNA e la riorganizzazione dei segmenti tagliati in nuove sequenze […] In altre parole, il cambiamento genetico può essere grande e non casuale […]
Il punto che emerge da questa discussione è che la nostra attuale conoscenza del cambiamento genetico è contraria ai postulati del neodarwinismo […] Il modo nuovo di vedere i vecchi problemi è stato, storicamente, il motore principale del progresso scientifico. Tuttavia, è difficile trovare il potenziale di una nuova scienza nel dibattito tra creazionisti e darwinisti. Entrambe le parti sembrano avere l’interesse comune di presentare una visione statica dell’impresa scientifica. C’è da aspettarselo dai creazionisti, che naturalmente si rifiutano di riconoscere la cospicua storia della scienza nel rendere comprensibili per la nostra conoscenza e accessibili alla nostra tecnologia sempre più aspetti apparentemente miracolosi del nostro mondo. Ma gli avvocati del neodarwinismo pretendono di essere scienziati, e noi possiamo legittimamente aspettarci da loro uno spirito di investigazione più aperto. Invece loro assumono la posizione difensiva di un’ortodossia offesa e esigono un’incontestabile riconoscimento di verità, che serve solo a convalidare l’accusa dei creazionisti che il darwinismo è diventato una fede piuttosto che scienza […] Il presente dibattito sul darwinismo diventerà più produttivo se si svolgesse nel riconoscimento del fatto che il progresso scientifico si fa non canonizzando i nostri predecessori, ma creando delle opportunità intellettuale e tecniche per i nostri successori».[1]
Per Shapiro – che non è un antievoluzionista – le mutazioni casuali non spiegano l’evoluzione, mentre la variabilità osservata è dovuta all’azione di sistemi di ingegneria molecolare incorporati nelle cellule.”
Delle teorie evoluzioniste sono due le considerazioni che colpiscono in modo particolare, una è il fatto che non si ha la dimostrazione dell’origine della vita e quindi tutto è sospeso nell’aria su ipotesi che arrivano ad ipotizzare anche la possibilità che la vita sia nata nello spazio, non dando soluzioni ma spostando solamente il problema. La seconda è che non vi è ancora nessuna prova empirica di come avvengano queste ipotetiche trasformazioni da specie a specie.
[1] James A. Shapiro, «A Third Way». Boston Review, February/March 1997.