Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Al di là del lavoro e del consumo

Al di là del lavoro e del consumo

di Michele Orsini - 15/02/2010

Fonte: Opposta Direzione

 

Era l’ottobre 2007 quando Tommaso Padoa-Schioppa definiva i giovani che rimangono a casa con i genitori dopo il raggiungimento della maggiore età col termine bamboccioni. La scelta lessicale dell’allora Ministro dell’Economia ci sembrò infelice, poiché irrispettosa e colpevolizzante.
Circa due anni dopo un altro Ministro, Renato Brunetta ha ripreso le parole di Padoa-Schioppa, affermando che la sua invettiva mancava di un’analisi più complessa.
“I bamboccioni”, ha affermato con lucidità Brunetta, “non lo sono in sé, ma sono vittime del sistema italiano d’organizzazione sociale. Ci sono i bamboccioni perché le Università funzionano male, perché il welfare funziona male e perché si dà più ai padri che ai figli”, quindi, ha concluso, “no ai bamboccioni ma i padri, in senso generale, devono fare mea culpa”.
E’ triste, ha sottolineato Luca Ricolfi su La Stampa, vedere quanti hanno colto la palla al balzo per criticare Brunetta, credendo o fingendo di credere che davvero avesse in mente una legge siffatta e questo non ostante egli stesso avesse spiegato che diceva la cosa “un po’ scherzando”.
Pel senso comune essere adulti significa avere raggiunto l’autonomia finanziaria dalla famiglia, compito oggi assai arduo per molti giovani, a prescindere dai loro desideri e della loro effettiva maturità, a causa della situazione socio-economica.
La famiglia oggi in Italia è il più potente ammortizzatore sociale, quando ciò non accadrà più (e non ci vorrà molto) sarà la politica a dover dare delle risposte.
Lo psicologo Urie Bronfenbrenner ha definito la cultura d’una società complessa come macrosistema, consistente delle congruenze di forma e contenuto dei sistemi di livello più basso nonché dei sistemi di credenze e ideologie, anche in contrasto tra loro, che sottendono a tali congruenze. La nostra cultura è caratterizzata da un gran numero di regole in contrasto tra loro, che vanno a formare ciò che Gregory Bateson avrebbe chiamato doppi legami, coppie di ingiunzioni che è logicamente impossibile soddisfare contemporaneamente.
Ai nostri giovani, per esempio, si rimporovera di non maturare, ma dall’altra parte li si bombarda con la pubblicità per farne dei consumatori, soprattutto di oggetti tecnologici la cui funzione è lo svago, che sono in fondo giocattoli, anche se non si usa definirli così. L’infantilizzazione del pubblico colpisce però una fascia più ampia, per esempio indumenti o gadget, peraltro piuttosto costosi, marcati Hello Kitty non vengono sfoggiati solo da bambine ed adolescenti, ma pure da donne adulte.
In un sistema consumista tale infantilizzazione fa ovviamente gioco, poiché permette più facilmente di indurre bisogni. Allora per affrontare seriamente il problema della diffusa immaturità si dovrebbe partire dalla cultura, tentando di contrastare l’impatto dei modi di pensare indotti dal consumismo.
L’ideologia consumistica alle sue origini si fondava sul doppio ruolo, che spettava ad ogni adulto, di produttore-consumatore: ognuno contribuiva col suo lavoro a creare la ricchezza di cui avrebbe potuto, in virtù di tale contributo, godere partecipando al consumo. Ai giovani andava peggio: relegati al doppio ruolo studente-consumatore, erano disprezzati in quanto non produttori, come gli anziani. Le contestazioni a tale sistema divennero comunque sempre più marginali man mano che un maggior numero di adulti venivani inclusi nel gioco e nuove generazioni venivano socializzate ai valori del lavoro e del consumo.
Poi qualcosa s’è rotto: ad ognuno il sistema ha chiesto di consumare sempre più, fino a far diventare il consumo stesso un’altra forma di dovere, intanto la disoccupazione aumentava. L’attuale crisi economica è d’iperproduzione, così anche la merce-lavoro è sovrabbondante ed ha scarsa domanda.
I contestatori del sistema capitalista hanno spesso scagliato strali contro il consumo, ma pochi si sono resi conto di quanto l’ideologia del lavoro come valore o diritto che loro stessi propugnavano fosse utile al sistema che desideravano avversare. In un sistema consumista il lavoro è repressione (Baudrillard), i disoccupati sono gli esclusi, le vittime, la cui sorte vale come spauracchio per i lavoratori che osano protestare per le loro condizioni. Il lavoro così inteso crea ingiustizia, è una piaga, poiché fa ricadere su singoli individui, imprese o siti produttivi un problema che è del sistema: il lavoro è, semplicemente, superfluo.
Per andare oltre un sistema fondato sul distico lavoro-consumo che non è né giusto, né efficiente, le attività necessarie per la collettività devono venire intese non più come lavoro, ma come dovere e servizio, quindi non remunerate, mentre l’istituzione di un reddito di cittadinanza è l’unico mezzo per evitare l’esclusione.
Utopia? Forse, ma meno impossibile da realizzare rispetto a quello che ripropongono ancora politici ed economisti, cioè il rilancio l’economia ottenuto “stimolando i consumi”.