Le mutazioni nel genoma batterico non spiegano l’evoluzione
di Mihael Georgiev - 18/02/2010
Fonte: antidarwin
Nel 1988 Richard Lenski ha iniziato il più grande esperimento evolutivo mai fatto, seminando 12 colture diEscherichia coli, il colibatterio che vive nell’intestino umano, registrando i cambiamenti verificatisi nei batteri nel corso di 20 anni in oltre 40 000 generazioni, congelando dei campioni per ulteriori studi. Abbiamo già commentato il rapporto più importante, pubblicato nel 2008 sulla rivista PNAS, (vedihttp://www.origini.info/articolo.asp?id=187). In quell’articolo Lenski aveva dichiarato che studierà nei dettagli anche i cambiamenti avvenuti nel genoma, ed è stato di parola, pubblicando recentemente su Nature un articolo dal titolo (“Evoluzione del genoma e adattamento nell’esperimento a lungo termine con Escherichia coli”, nel quale riassume i dati emersi dal sequenziamento dei genomi batterici. Si tratta di un lavoro imponente che ha visto protagonisti dei ricercatori di alcuni centri di alta specializzazione di Yuseong, Corea. (Jeffrey E. Barrick, Dong Su Yu, Sung Ho Yoon, Haeyoung Jeong, Tae Kwang Oh, Dominique Schneider, Richard E. Lenski & Jihyun F. Kim, “Genome evolution and adaptation in a long-term experiment with Escherichia coli”. Nature2009;461:1243–1247, 29 October 2009).
Quali sono i risultati? Durante le prime 20 mila generazioni si sono verificate 45 mutazioni, che hanno coinvolto circa 1% del totale di 4 000 geni del colibatterio. All’inizio alcune delle mutazioni hanno conferito al batterio delle caratteristiche ritenute di valore adattativo, ma “l’evoluzione adattativa” poi si è rallentata e infine arrestata senza ulteriori vantaggi per il batterio. Dopo la ventimillesima generazione è comparsa una mutazione nel gene mutT che controlla la riparazione del DNA, cioè il dispositivo che difende il genoma dalle mutazioni. A questo punto il genoma è “impazzito”, accumulando altre 600 mutazioni, ma gli autori non dicono quale è loro valore evolutivo, che del resto dichiarano già esaurito.
L’osservazione in condizioni di laboratorio ha dei limiti, ma è l’unica possibile per monitorare i cambiamenti nel genoma, dato che in natura la selezione naturale tende ad eliminare le diversità e conservare solo il ceppo (o i pochi ceppi) “selvatico”. Escherichia coli in particolare conserva intatte le caratteristiche del “tipo selvatico” sin dalla sua scoperta nel lontano 1885. Anche il concetto di adattamento in laboratorio è diverso, e la “fitness” si misura semplicemente con la sopravvivenza nell’ambiente costante o in riferimento a specifiche funzioni che in natura hanno spesso scarsa rilevanza. Ciò non toglie che lo studio offre una opportunità unica di chiarire alcuni problemi concettuali dell’evoluzione biologica, come ad esempio quale sia la correlazione tra i cambiamenti nel genoma e l’evoluzione adattativa dell’organismo.
Secondo i modelli matematici della genetica delle popolazioni, che è parte della teoria sintetica dell’evoluzione (R.A. Fisher, 1930; S. Wright, 1932), l’accumulo progressivo di mutazioni porterebbe ad un migliore adattamento della specie. Le osservazioni hanno invece smentito il modello teoretico: mentre l’accumulo di mutazioni è lineare, l’adattamento ha avuto una brusca decelerazione, mostrando andamento circolare. Come dire che più di tanto il batterio non cambia. L’ipotesi più plausibile per spiegare il fenomeno è che la maggior parte delle mutazioni sono neutrali, ovvero né benefiche né nocive, per cui non influiscono sull’adattamento della specie. Questa è nota come la teoria dell’evoluzione “neutrale” di Kimura In modo indiretto l’evoluzione “genomica” si accorda anche con la teoria degli equilibri punteggiati di Gould & Eldredge (1977): durante l’accumulo di mutazioni neutrali si ha “stasi” evolutiva, poi compare qualche mutazione benefica e l’evoluzione fa un passo avanti.
Le mutazioni benefiche sono state sorprendentemente poche e costanti nel tempo, e con il tempo hanno esaurito l’effetto benefico. “Il rapporto tra l’evoluzione genomica e adattativa” – scrivono gli autori – “è complesso e risulta contro intuitivo persino in ambiente costante”. Nel suo commento editoriale (pp. 1219-21), Paul B. Rainey specifica che la discordanza tra i cambiamenti nel genoma e l’evoluzione dell’organismo batterico “ci lasca in una posizione scomoda (..) la complessità del rapporto tra tempo e modalità dell’evoluzione a livello del genoma e dell’organismo provoca un certo disagio e consiglia cautela nel derivare le modalità dell’evoluzione dell’organismo dalla velocità dell’evoluzione del genoma”. Come dire che nel genoma si verificano mutazioni, ma non è chiaro il loro impatto sull’evoluzione dell’organismo
Per riassumere, le mutazioni riguardano pochi geni. La maggior parte dei cambiamenti sono neutrali, mentre quelle benefiche sono poche, limitate come tipologia, e il loro vantaggio evolutivo si esaurisce con il tempo. Alla metà dell’esperimento una mutazione guasta il gene che controlla la riparazione del DNA, e allora il numero delle mutazioni aumenta di 15 volte, ma gli autori non dicono quale sia stato l’impatto di questa mutazione sull’evoluzione dell’organismo. Si tratta di una mutazione estremamente dannosa che nell’uomo causa alcuni tipi di cancro famigliare. I cambiamenti verificatesi nel genoma non portano da nessuna parte, i loro effetti sono “contro intuitivi”, cioè paradossali per coloro che vedono la natura in chiave evoluzionista; smentiscono i modelli teoretici classici della teoria dell’evoluzione e semmai spiegano la stasi evolutiva piuttosto che il processo evolutivo. Si tratta di uno studio importante con osservazione di ben 40 000 generazioni, che per la specie umana equivalgono ad un periodo da uno a tre milioni di anni. Ma i risultati – dal punto di vista della conferma o della migliore spiegazione dei meccanismi della supposta evoluzione – sono piuttosto deludenti. I cambiamenti nel genoma appaiono sempre più circoscritti all’interno di ciascun tipo di organismo e non una fonte di trasformazione in un altro tipo.