Meglio un lungo carnevale, anche sfrenato, o una “movida” che continua ambigua e inquietante tutto l’anno, svegliando (e progressivamente svuotando) interi quartieri delle città, spingendo i consumi di stupefacenti per sostenerne i ritmi, rovesciando infine i suoi stremati protagonisti nei presidi psichiatrici o negli studi di psicoterapia? Questi giorni di Carnevale sono forse il momento giusto per chiedercelo. Tanto più che la “movida” come stile di divertimento sembra in crisi.
Del resto anche la Spagna, dove è nato questo modo di divertirsi, è in difficoltà. Forse l’eccitazione no-stop della movida, comprensibile come reazione alla lunga quaresima del governo di Franco, non può, appunto, continuare sempre.
Anche il divertimento, come ogni esperienza umana, ha bisogno del ritmo, segnato dalla diastole e dalla sistole, dall’espandersi e dal contrarsi, dalla veglia, e dal sonno. Come ci aveva insegnato e mostrato, da sempre il Carnevale. Che appunto si scatena, per un certo numero di ore, o di giorni, ma poi accetta di morire (a volte dopo aver proclamato un Testamento, prendendosi ancora una volta in giro). E lascia il campo al mercoledì delle Ceneri e alla Quaresima: un tempo diverso, di riflessione, che a sua volta porterà all’esplosione festiva della Pasqua.
Al di là dei suoi significati religiosi (peraltro efficaci nel costruire un rapporto equilibrato col piacere e con la realtà), questo procedere attraverso stati d’animo diversi, seguendo anche il ritmo delle stagioni, presenta un modo di sentire che non a caso è tuttora presente nella maggior parte delle culture, anche se con immagini diverse.
Il piacere (come la sofferenza, o il pentimento), è un’emozione forte, sia individuale che collettiva, non può essere un’abitudine quotidiana, che nella sua ripetitività tende fatalmente ad annullarlo. Il godimento ha un inizio e una fine; se vogliamo trasformarlo in un modo di essere permanente, verrà fatalmente inghiottito dalla depressione.
Questo segnare il tempo, il ritmo, il prima e il dopo, dà energia e consente un rinnovamento, inesistente invece in una ripetitività sempre uguale.
A Palma Campania il Carnevale inizia, col “Ratto del Gagliardetto”, l’evento rituale in cui il vecchio maestro di quadriglia deve passare il gagliardetto, il simbolo che identifica la quadriglia, al nuovo maestro. Il vero divertimento, insomma (questo è uno dei grandi insegnamenti del Carnevale rispetto alla movida), avviene all’interno di un ritmo, e segna una discontinuità: qualcosa finisce, e qualcosa inizia.
Il vecchio maestro di quadriglia (e alla fine anche il carnevale ormai esaurito), che se ne va e cede lo scettro contrasta con l’aspetto consumistico del divertimento di oggi, dove non si vuole mai perdere niente, ogni fine viene rimossa. Abbiamo perso la cultura e il divertimento della fine (che invece il carnevale aveva fortissima), e quindi ci annoiamo, e abbiamo bisogno di sostanze per “tenerci su”.
Carnevale, inoltre, è ampio, inclusivo, coinvolge tutto il popolo, dando ad ognuno il suo posto e la sua possibilità di rappresentarsi. Ci stanno i giochi di corte e le lotte contadine o operaie, le star, i Vip, e gli asini, a lungo rappresentanti proprio Carnevale, in quanto irragionevoli, storditi, e detentori di una sapienza diversa da quella di tutti i giorni.
Movida invece vorrebbe essere elegante (anche se, in realtà, è di massa), e quindi produce frustrazione tra chi comunque ne viene escluso, o vi partecipa “imbucato”, non a suo agio. Insomma, va bene per ispirare un carro. Non per sostituire i più che mille anni di Carnevale.