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Israele e il gioco delle parti

di David Hirst - 19/04/2006


La crisi iraniana può essere intesa solo come l’inevitabile risultato del monopolio delle armi di distruzione di massa nella regione mediorientale. Se in un conflitto una parte opta per il nucleare, l’altra è costretta a fare altrettanto. Israele non ha bisogno di mostrarsi intransigente e ostentare sicurezza assoluta

Secondo una diffusa opinione internazionale, l’acquisizione di armi nucleari da parte dell’Iran sarebbe una prospettiva molto allarmante. La ragione più ovvia e immediata è l’esistenza di una potenza nucleare mediorientale, Israele, che preme per mantenere il proprio monopolio; tuttavia, si tratta di un aspetto cui è rivolta scarsa attenzione.

Per decenni l’attuale crisi "Iran-comunità internazionale" avrebbe potuto essere prevista, perchè sarebbe automaticamente sorta con l’emergere di una qualsiasi seconda potenza nucleare – amichevole o meno nei confronti dell’Occidente. L’Iran è in ogni caso il paese considerato più ostile in assoluto, una tesi che incoraggia la diffusa supposizione che da solo il paese islamico sia il principale responsabile dello svilupparsi della crisi stessa – e della sua risoluzione. Sarà vero?

Indubbiamente, la Repubblica Islamica ha qualche responsabilità. Un suo potere bellico nucleare assesterebbe il colpo finale a un regime internazionale di non proliferazione già logorato – e si rivelerebbe un enorme inganno. La distinzione statunitense delle potenze nucleari, reali o potenziali, è quella tra potenze responsabili e irresponsabili: l’Iran figura tra le irresponsabili, essendo già considerato il peggiore dei cosiddetti “stati canaglia”. Tipicamente, uno “stato canaglia”, oltre ad essere tirannico, ideologicamente ripugnante e anti-americano, unisce una natura aggressiva ad una sproporzionata forza militare, costituendo una minaccia costante ed eccezionale per un prestabilito ordine regionale. Cosa farebbe rientrare l’Iran in tale categoria se non l’invito del suo nuovo presidente a “cancellare Israele dalle mappe geografiche?”

Tuttavia, in termini nucleari, in Medio Oriente è Israele il “peccatore originale”. L’impegno di non-proliferazione deve avere carattere universale: se, in una qualsiasi zona a potenziale rischio di conflitti, una parte opta per il nucleare, non ci si può aspettare che gli avversari non facciano altrettanto. Non importa quanto tempo fa sia successo: avendo violato il principio di non-proliferazione Israele avrà per sempre la responsabilità di ciò che poi è accaduto in seguito. In secondo luogo, il suo raggiro allora non era meno grave di quello iraniano oggi, sebbene all’epoca non ci fosse alcun trattato di non proliferazione. Nel 1963 la CIA, che era al corrente di ciò che la mendacità israeliana preannunciava, avvertì che Israele sarebbe diventato meno conciliante verso gli arabi perché più sicuro grazie al nucleare; anzi, rivelò che avrebbe fatto ricorso proprio ai suoi nuovi “vantaggi psicologici” per “intimorire” i musulmani. Il che, in terzo luogo, mette in risalto le indubbie azioni irresponsabili di Israele. L’opzione nucleare dagli israeliani è sempre stata sempre definita come l’opzione Sansone, l’ultimo ricorso contro i paesi vicini decisi a distruggere il popolo ebreo. Ora non esiste una simile minaccia. Se una volta esisteva, o se mai tornerà a esistere, la domanda è: perché?

La principale risposta è che in più occasioni, tranne che per quanto riguarda i rapporti con gli Usa, Israele si è sempre comportato come uno “stato canaglia”. Attraverso la violenza e la pulizia etnica, Israele è diventato un grande disgregatore del prestabilito ordine mediorientale. Un tale stato colono potrebbe raggiungere la vera legittimità ad esistere e la reale integrazione solo in un nuovo ordine, un ordine che deve essere ancora stabilito – ripristinando i diritti dei palestinesi che sono stati violati all’atto della creazione e della crescita dello stato israeliano.

In fondo, l’interminabile “processo di pace” riguarda proprio questo. Il mondo ha raccontato in tanti modi l’insediamento israeliano. Tra esse non hai mai trovato spazio la questione della completa emancipazione di un popolo indigeno – come avvenne invece per la decolonizzazione europea – ma solo un compromesso molto più oneroso per gli sconfitti palestinesi che per gli israeliani.

Ma l’insediamento non arriva, perché Israele resiste persino a tale compromesso. Questo deriva dalla consapevolezza del proprio potere nucleare – in cima alla sua già schiacciante ordinaria superiorità. Una tale irresponsabilità è ciò cui Shimon Peres alludeva quando parlò del fatto che “disporre di armamenti atomici significherebbe avere la possibilità di usarli per fini violenti, cioè forzare la nostra controparte ad accettare le richieste politiche israeliane”. Oppure ciò che Moshe Sneh, un importante stratega israeliano, intendeva quando affermò: “Non voglio che le negoziazioni israeliano-palestinesi si tengano sotto la minaccia di una bomba nucleare iraniana“. Come se gli arabi non avessero mai dovuto negoziare sotto la minaccia di una bomba israeliana negli ultimi 40 anni.

L’attuale crisi potrà proseguire secondo tre sviluppi diversi. Il primo prevede la persistenza israeliana, e il relativo raggiungimento, del suo “peccato originale”. Non è tanto “il mondo” che non tollera un Iran nucleare – come invece sostiene George Bush – quanto il mondo che sta dalla parte di Israele; non è il rischio che l’Iran attacchi Israele a rendere la crisi così minacciosa, quanto il fatto che Israele attacchi l’Iran – o che lo facciano direttamente gli Stati Uniti. In effetti, l’arsenale nucleare israeliano – o la sua protezione – si è rivelato uno strumento diplomatico contro il suo benefattore statunitense. Si tratta di un retaggio del “peccato originale” americano; se dapprima esso consisteva in un’acquiescenza rispetto ad un Israele nucleare, successivamente è diventato disinibita approvazione – apparentemente grazie al succedersi di amministrazioni Usa sempre più pro-israeliane. “Ecco una superpotenza”, ha scritto l’analista statunitense Mark Gaffney, “così cieca e stupida da lasciare che un altro stato, cioè Israele, controlli la sua politica estera”. In sua brillante analisi, Gaffney ha avvertito che un assalto americano all’Iran potrebbe sfociare in una catastrofe paragonabile al massacro di Canne, nel quale l’esercito di Annibale sconfisse quello romano a cui era decisamente inferiore. Questo perché in un campo della tecnologia militare, quello dei missili anti-nave, la Russia è di gran lunga superiore agli Stati Uniti, e perché gli spaventosi 3M-82 Moskit iraniani potrebbero trasformare il Golfo Persico in una trappola mortale per la flotta Usa. Peraltro, è stata l’amministrazione Bush la prima a ipotizzare che, considerata la devastazione regionale che una guerra all’Iran potrebbe provocare, è possibile che alla fine non ci sia nulla che gli Usa possano fare per impedire alla Repubblica Islamica di passare al nucleare.

Ciò conduce alla seconda modalità secondo cui la crisi potrebbe evolversi: Israele obbligato a rinunciare al suo monopolio e il Medio Oriente che entra in un “equilibrio del terrore” stile Guerra Fredda. Potrebbe essere un equilibrio stabile. Chiaramente, come Israele, i mullah farebbero un uso politico e irresponsabile delle loro armi nucleari; tuttavia, la ricerca nucleare iraniana, come quella israeliana, è essenzialmente difensiva, anche se non nello stesso senso fondamentalmente “esistenziale”. Niente avrebbe potuto convincere l’Iran della necessità di un deterrente non convenzionale se non la sorte dell’altro “stato canaglia”, l’Iraq di Saddam, che gli Stati Uniti non hanno avuto scrupoli ad attaccare proprio perché privo di armi atomiche.

Il terzo sviluppo – l’abbandono da parte dell’Iran delle sue ambizioni nucleari – avrebbe molte possibilità di essere realizzato se Israele fosse indotto a fare altrettanto; non solo perché la reciprocità è l’essenza del disarmo, ma perché ciò significherebbe un fondamentale cambiamento nell’approccio complessivo degli Stati Uniti nei confronti della regione.

Diversi sarebbero le implicazioni positive, oltre alla questione nucleare. “C’è solo un modo”, ha affermato l’analista militare israeliano Ze’ev Schiff, “per evitare un equilibrio del terrore nucleare: usare il tempo che ci rimane, mentre abbiamo ancora il monopolio in questo campo, per ristabilire la pace… In un contesto di pace, si può creare una zona senza nucleare”. Ma ancora una volta è l’approccio ad essere sbagliato.

Per ristabilire la pace – come ha curiosamente previsto la CIA – Israele non ha bisogno di mostrarsi intransigente e ostentare sicurezza assoluta; dovrebbe bensì lasciarsi guidare dallo spirito del compromesso che una dose giudiziosa di insicurezza potrebbe garantire. Con le attenzioni internazionali oggi così concentrate sulla scelleratezza dell’Iran, ciò potrebbe sembrare un'utopia. Tuttavia, è un'opzione più considerevole di quella di un frenetico attacco statunitense, che altro non farebbe se non fomentare l'odio anti-occidentale e compromettere la piena accettazione di Israele nella regione mediorientale.


David Hirst è stato corrispondente dal Medioriente per il 'Guardian' dal 1963 al 2001. Di Hirst Nuovi Mondi Media ha pubblicato 'Senza pace – Un secolo di conflitti in Medio Oriente'



Fonte: http://www.guardian.co.uk/comment/story/0,,1746091,00.html
Tradotto da Chiara Turturo per Nuovi Mondi Media