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"Notizie dal mondo" 7-15 aprile 2006

di rivistaindipendenza.org - 20/04/2006

Euskal Herria. 7 aprile. Arnaldo Otegi, portavoce del partito fuorilegge basco Batasuna, è stato liberato dietro il versamento di una cauzione di 250.000 euro. Con lui, informa Europa Press, sono stati liberati anche il portavoce di Batasuna, Juan Jose Petrikorena, e il dirigente del movimento pro-amnistia, Juan Olano. Rappresentanti della sinistra abertzale, tra i quali Rafa Díez, Karmelo Landa e Jone Goirizelaia, oltre a familiari ed avvocati, li hanno accolti fuori della prigione. Juan Mari Olano e Juan Joxe Petrikorena sono rimasti in carcere tre settimane; Arnaldo Otegi nove giorni. I tre erano stati arrestati perché ritenuti responsabili ideologici della violenze avvenute durante lo sciopero generale basco del 9 marzo scorso.

Messico / Euskal Herria. 7 aprile. I sei cittadini baschi in detenzione in Messico da oltre due anni per presunti legami con l’ETA possono essere estradati in Spagna. Lo ha deciso la Corte suprema messicana, rigettando l’appello presentato dagli arrestati. I sei, cinque uomini e una donna (Juan Carlos Artola, Asier Arronategi, Axun Gorrotxategi, José Mari Urkijo, Ernesto Alberdi e Félix Salustiano), sono in detenzione preventiva dal 18 luglio 2003, quando furono arrestati in diverse città messicane, per «avere relazione con l’apparato finanziario di ETA». Il governo spagnolo, nel settembre 2003, sollecitò l’estradizione, accolta il 30 luglio 2004 dalla Cancelleria messicana. La richiesta fu poi bloccata dai ricorsi degli arrestati.

Nepal. 7 aprile. Un migliaio di arresti nella prima giornata di sciopero generale contro il regime del re Gyanendra. Tra gli arrestati anche molti dirigenti politici di diversi organismi e giornalisti. Secondo fonti dei partiti d’opposizione, solo nella capitale, Katmandù, sarebbero stati 500, ieri, gli arresti. Alta l’adesione popolare allo sciopero proclamato dai sette principali partiti del Paese con il sostegno dei ribelli maoisti.

Irlanda del Nord. 8 aprile. La famiglia di Denis Donaldson, con un comunicato, «prende atto della prontezza con la quale l’IRA si è svincolata da questo assassinio. Riteniamo dica la verità» e rileva che «la difficile situazione nella quale si trova questa famiglia è il risultato diretto delle attività della Brigata Speciale e delle agenzie britanniche di spionaggio». Critiche anche «a politici e giornalisti  che hanno usato questa tragedia».

Spagna / Euskal Herria. 8 aprile. Rimpasto di governo per negoziare con l’ETA. Un mezzo terremoto politico per rendere il governo più in sintonia con il suo presidente. Esce, dimissionario, il ministro della Difesa José Bono, antagonista del primo ministro José Luis Rodríguez Zapatero alle primarie che portarono lo stesso Zapatero alla guida del PSOE. Aveva ritirato i soldati dall’Iraq ma anche criticato apertamente il nuovo Statuto catalano (il testo che dovrà reggere le relazioni tra Madrid e Barcellona). Al suo posto c’è ora José Antonio Alonso, un fedelissimo di Zapatero e fino all’altro ieri ministro degli Interni. Alla Difesa, Alonso controllerà direttamente i servizi segreti, il CNI (Centro Nazionale d’Intelligence), proprio nel momento in cui il ruolo e le informazioni di questo centro diventano decisive nel processo di pace nei Paesi Baschi. Tocca infatti all’intelligence valutare se ETA ha abbandonato le armi e tutte le altre attività (imposta rivoluzionaria agli imprenditori, furti di auto e di armi) rendendo credibile la tregua.

Spagna / Euskal Herria. 8 aprile. Nel mini-rimpasto di governo, il ruolo centrale spetta al neoministro degli Interni Alfredo Pérez Rubalcaba. Come portavoce del gruppo parlamentare socialista aveva seguito, nell’ombra, i contatti con ETA e gestito i negoziati sullo Statuto catalano. È una delle tre persone (le altre due sono lo stesso Zapatero e il segretario organizzativo del PSOE, José Blanco) che a Madrid hanno conoscenza diretta di come procedevano gli incontri tra dirigenti del PSE (Partito Socialista Basco) e Batasuna. Adesso toccherà a lui dirigere le forze di sicurezza dello Stato, verificare la tregua dell’ETA e riferire ogni due settimane a Zapatero gli sviluppi della situazione. Di portata minore l’avvicendamento, il giorno dopo l’approvazione della riforma della scuola, al ministero dell’Educazione: Maria Jesus San Segundo lascia il posto a Mercedes Cabrera Calvo-Sotelo.

USA / Iran / Iraq. 8 aprile. I negoziati tra Iran e USA sulla situazione in Iraq non saranno avviati prima della metà di aprile. Lo riferisce l’agenzia iraniana Irna. Teheran e Washington aspetterebbero, prima di avviare i colloqui, la formazione dell’esecutivo in Iraq.

USA / Iran. 8 aprile. Bush pensa a una nuova «coalizione dei volenterosi» contro il nucleare degli ayatollah. Viste le difficoltà all’ONU di varare sanzioni contro l’Iran, per l’opposizione di Russia e Cina, gli Stati Uniti stanno pensando ad un’azione extra ONU. Secondo il Los Angeles Times, la Casa Bianca starebbe progettando un «fronte della fermezza» con Gran Bretagna e Francia per fare pressione su Teheran, in modo da costringere Teheran a sospendere i «pericolosi» programmi nucleari. Secondo il quotidiano, l’Amministrazione Bush progetterebbe una piccola «coalizione dei volenterosi», sul modello della «coalition of the willing» che si formò per l’Iraq. Secondo il Los Angeles Times, Washington intanto sta premendo su Londra e Parigi per eventuali sanzioni che possano colpire il regime di Teheran: limiti ai viaggi per gli esponenti di governo, congelamento di beni, restrizioni ai prestiti internazionali. I paesi europei, che sono i primi esportatori di beni verso l’Iran –anche di benzina– sarebbero infatti in posizione di forza per fare pressione su Teheran. Il Time, ieri, ha contestato però questa tesi: difficile chiedere a Francia e Gran Bretagna e, soprattutto alla Germania, di rinunciare ad introiti di tale entità. Alla fine del mese scorso, dopo tre settimane di lunghi negoziati, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha approvato una dichiarazione, piuttosto blanda, che dà 30 giorni di tempo a Teheran per sospendere le operazioni di arricchimento dell’uranio.

USA / Unione Europea / Palestina. 8 aprile. L’Unione Europea guarda ancora una volta in politica estera, stavolta in Palestina, con gli occhi della politica USA. Bruxelles sospende provvisoriamente i fondi al nuovo governo palestinese, ma non con Israele, che ha effettuato l’ennesimo bombardamento aereo, stavolta su Rafah, che ha causato sei morti fra cui una bambina. Nelle sole ultime 24 ore sono 14 i palestinesi uccisi, nell’indifferenza occidentale. Un silenzio, quello dell’Unione Europea (UE) di fronte ai raid di Israele nella striscia di Gaza, che nemmeno il governo di Ismail Haniyeh (Hamas) riesce a spiegarsi. «Siamo stupefatti», ha detto Ghazi Hamad, portavoce governativo, «di non avere sentito una parola di condanna da parte dell’UE per crimini odiosi che hanno provocato la morte di innocenti». «Israele», ha proseguito Hammad, «sfrutta il silenzio dell’Europa e l’atteggiamento negativo degli USA verso di noi per inasprire le aggressioni contro il popolo palestinese».

Israele / Palestina. 8 aprile. Il primo ministro designato israeliano, Ehud Olmert, ha assicurato che non intende negoziare un trattato di pace con il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Mahmud Abbas (Abu Mazen), perché questi «ha perso autorità» dacché Hamas è arrivata al governo. Olmert lo ha detto in un’intervista a The Washington Post, nel corso della quale ha aggiunto che «se arriviamo alla conclusione che i palestinesi non sono preparati ad adempiere alle richieste per le negoziazioni, procederemo senza un processo negoziale». Chiaro il riferimento al piano unilaterale di «sconnessione» che mira ad acquisire altra terra palestinese e a lasciare bantustan a macchia di leopardo ai palestinesi. Il pur moderato Abbas è stato costretto a replicare che questa posizione «non risolverà il problema. Possono ritardarlo di dieci anni. Poi i nostri figli sentiranno che non è giusto e torneranno alla lotta».

USA / Iran. 8 aprile. Bush vuole un olocausto nucleare in Iran per scatenare una guerra civile. Tutto questo a titolo «preventivo» naturalmente («l’Iran potrebbe dotarsi dell’arma nucleare»). Non esistono infatti prove del fatto che Teheran stia lavorando alla produzione di armamenti non convenzionali. Da Washington arrivano minacce di bombardamenti a tutto spiano contro l’Iran ed impiego di armi nucleari contro siti particolari. A rivelare le intenzioni dell’amministrazione statunitense è un articolo sul sito web del settimanale The New Yorker, nel numero che uscirà lunedì, firmato dal premio Pulitzer, Seymour M. Hersh. Esperto di questioni militari e leggendario giornalista d’inchiesta che nel 1969, durante la guerra in Vietnam, Hersh aprì gli occhi dell’opinione pubblica statunitense sul massacro di civili compiuto dalle truppe USA nel villaggio di My Lai.

USA / Iran. 8 aprile. «Quest’amministrazione è convinta che l’unico modo di risolvere il problema sia di cambiare la struttura di potere in Iran, e questo vuol dire una cosa soltanto: guerra», sono le dichiarazioni che Hersh ha raccolto da un alto funzionario dei servizi segreti con conoscenza diretta dei fatti. Il piano d’attacco contro Teheran sarebbe già in avanzato stato di preparazione e viene definito «enorme, complicatissimo e allo stadio operativo». Attività clandestine sono già in corso nel paese per raccogliere dati e contattare minoranze etniche (azeri, baluchi e kurdi), mentre i pianificatori dell’Air Force stanno elaborando liste di possibili obiettivi. Tra questi gli impianti di Natanz dove Washington sospetta che la Repubblica islamica lavori a costruire la bomba atomica. Il lungo articolo sottolinea che una delle opzioni presentate quest’inverno dal Pentagono alla Casa Bianca prevede l’uso di una bomba nucleare tattica bunker-buster (distruggi bunker) B61-11 per eliminare l’impianto nucleare, una struttura di cemento realizzata sotto quasi 23 metri di terra e roccia. Le rivelazioni vengono confermate da un altro anonimo consulente governativo con buoni agganci fra i vertici civili al Pentagono. «Il presidente ritiene di dover fare quello che nessun democratico o repubblicano eletto dopo di lui avrà mai il coraggio di fare: salvare l’Iran. E per questo vuole che la sua amministrazione sia ricordata; è la sua eredità ai posteri». Nell’articolo Hersh cita anche fonti dirette del Pentagono che hanno preso visione delle modalità con cui dovrebbe essere lanciato l’attacco: «Una massiccia campagna di bombardamenti umilierà le autorità religiose di Teheran e porterà gli iraniani a rivoltarsi e a rovesciare il regime», si è convinti alla Casa Bianca, idea considerata però folle da alcuni dei suoi interlocutori militari, riferisce Hersh.

USA / Iran. 8 aprile. Le rivelazioni di Hersh mettono in chiaro una volta per tutte che il gioco della Casa Bianca non è affatto quello di raggiungere una soluzione diplomatica. Bush non cerca il compromesso, ma lo scontro. Anzi, l’annientamento. La scelta di un attacco nucleare contro Teheran sarebbe fra l’altro obbligata: gli Stati Uniti, con un contingente compreso fra i 130 e i 150mila uomini in Iraq, non possono permettersi spostamenti significativi di truppe su altri teatri di guerra. Non resta che l’atomica. All’Agenzia atomica internazionale, l’agenzia delle Nazioni Unite che da Vienna controlla tutto quello che riguarda la proliferazione nucleare, fanno notare che gli Stati Uniti non hanno mai presentato una documentazione convincente a sostegno delle accuse contro Teheran. Il tentativo di Washington di far passare in Consiglio di Sicurezza –con l’aiuto di Francia e Gran Bretagna– una mozione di censura nei confronti di Teheran con esplicita minaccia di sanzioni punitive è stata affossata dall’opposizione di Russia e Cina dietro minaccia di veto. Il risultato è stato un documento generico e non vincolante che ha avuto l’unico effetto di inasprire le tensioni fra Stati Uniti e Iran.

USA / Iran. 8 aprile. Washington Post conferma le anticipazioni del New Yorker ma in parte (raid aerei sì, ma niente atomica, solo armamenti “tradizionali”), aggiunge che un attacco non è probabile nel breve termine e che viene esclusa ogni ipotesi di invasione per ragioni di scarsezza di militari in gran parte dispiegati in Iraq. Washington Post scrive anche che numerosi specialisti, sia nell’Amministrazione, sia al Pentagono, manifestano «seri dubbi» sull’efficacia e dunque sull’opportunità di un attacco militare. Il pericolo, fanno notare, è che la minaccia di guerra «rafforzi la convinzione in Iran che l’unico modo per difendersi sia possedere un impianto nucleare». Un conflitto militare che destabilizzi la regione, inoltre, potrebbe anche aumentare il rischio di quello che al Pentagono chiamano «terrorismo». «Entreranno in gioco gli Hezbollah (libanesi, ndr)», sostiene un consigliere che chiede l’anonimato, ed andrà in fibrillazione anche l’Iraq sciita. Più convinto l’ex segretario di Stato Kissinger secondo cui è giusta la strategia di uso preventivo della forza.

Ecuador. 8 aprile. La Polizia uccide uno studente e ne ferisce altri due nel corso delle proteste contro il Trattato di Libero Commercio con gli USA. Il fatto è avvenuto nella città andina di Cuenca (sud dell’Ecuador), riferiscono fonti ospedaliere. Vari studenti che partecipavano alle diverse manifestazioni hanno assicurato ai giornalisti che i poliziotti hanno sparato senza motivo.

Gran Bretagna / Iran. 9 aprile. «Nessun governo potrebbe legittimamente ordinare raid aerei contro l’Iran». Il ministro degli esteri britannico, Jack Straw, afferma che non ci sono i presupposti per un’azione militare contro l’Iran. «Siamo chiari, non c’è flagranza, manca un casus belli. È per questo che non c’è una base su cui decidere un’azione militare», ha detto Straw alla BBC.

Iran. 9 aprile. Raid aerei USA? «È solo una guerra psicologica lanciata dagli americani che si sentono adirati e disperati». Teheran non manifesta allarme per le rivelazioni sui preparativi dell’amministrazione statunitense di bombardamenti, anche con l’atomica, dei siti nucleari iraniani. Il portavoce del ministero degli Esteri, Hamid Reza Asefi, ha accusato gli USA, colpevoli, a suo dire, di «voler creare una situazione di crisi. Non vogliono che l’Iran arrivi ad un accordo con la Russia, con l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea, ndr) e con i Paesi europei» ed ha aggiunto: «continueremo a difendere il nostro diritto ad un programma nucleare ad uso civile, questa è la nostra linea rossa. Su questi presupposti siamo disposti a negoziare su qualunque scenario possibile». Il capo di stato maggiore dell’esercito iraniano, generale Abdolrahim Mousavi, ha dichiarato che l’Iran reagirà, se attaccato.

Turchia / Kurdistan. 9 aprile. Sette militanti del PKK e due militari turchi muoiono in differenti combattimenti nel nord del Kurdistan. Lo riferisce l’agenzia turca di notizie Anatolia, che cita fonti di polizia. L’esercito turco ha lanciato un’operazione militare dopo l’attacco della guerriglia kurda che è costato la vita a cinque soldati turchi. Intanto, un tenente colonnello ed un soldato turco sono morti per l’esplosione di una mina nella regione kurda di Elazig.

USA. 9 aprile. La Casa Bianca liquida come «pure illazioni» le affermazioni di Seymour Hersh circa raid aerei statunitensi sull’Iran. Va bene la «prevenzione», ha detto Bush parlando agli studenti di relazioni internazionali della John Hopkins University, ma nel caso dell’Iran «prevenzione significa diplomazia».

Venezuela. 9 aprile. L’ENI «espropriata»? No, non pagava le tasse. Il governo venezuelano impone alle compagnie petrolifere di operare con partners nazionali: accettano tutte meno Eni e Total. Ma sui giornali italiani la notizia diventa «esproprio». Eni e Total, uniche fra 18 compagnie petrolifere (fra le quali colossi come la Repsol, la Chevron, la Shell, oltre a Petrobras e Ypf) si sono rifiutate di firmare i nuovi accordi di concessione proposti dal governo venezuelano. Questo, per porre fine al saccheggio dei giacimenti nazionali compiuto negli ultimi anni, ha deciso una nuova regolamentazione che presuppone, per lo sfruttamento dei giacimenti, la nascita d’imprese miste dove lo Stato, proprietario di risorse, abbia la maggioranza. In risposta Total ed Eni, che pagavano somme ridicole di royalties, e avevano violato le nuove leggi eludendo le tasse, hanno deciso di ritirarsi dal Venezuela.

Francia. 10 aprile. Il governo fa marcia indietro sul CPE. Il primo ministro Dominique de Villepin conferma la decisione di Chirac. La legge sul Contratto di Primo Impiego, il cosiddetto (CPE) contro cui si sono mobilitate le piazze del Paese, sarà «sostituito da un dispositivo per favorire l’inserimento professionale dei giovani in difficoltà nel mondo del lavoro». Sarà così «sostituito l’art.8 della legge sulla uguaglianza delle opportunità con un dispositivo a favore dell’inserimento professionale dei giovani in difficoltà». L’art. 8 della legge è quello inserito da Dominique de Villepin sotto forma di emendamento e che contiene il testo della normativa sul contratto di primo impiego per i giovani con meno di 26 anni. Quella annunciata da Chirac è la soluzione già emersa nei giornali e contro la quale il primo ministro si sarebbe pronunciato almeno in un primo momento.
La Confederazione studentesca, una delle principali organizzazioni degli studenti universitari, ha invitato a «togliere i blocchi nelle università per permettere che gli esami possano tenersi nelle migliori condizioni». Lo ha detto la presidente Julie Coudry, secondo la quale il ritiro del CPE è «una vittoria collettiva». Anche il presidente dell’UNL (Unione Nazionale Liceali), Karl Stoeckel, ha parlato di «una vittoria storica dopo una mobilitazione storica».

Egitto. 10 aprile. In Iraq «di fatto c’è una guerra civile, e se le truppe americane se ne dovessero andare c’è il rischio che si estenda a tutta la regione», ha detto il presidente egiziano Hosni Mubarak, che ha aggiunto: «ci sono sciiti in tutta la regione e, dovunque vivano, sono prima di tutto fedeli all’Iran». Queste dichiarazioni sono riuscite ad unirgli contro la sempre divisa dirigenza irachena. Sono «una coltellata alla nostra nazione e alla nostra cultura», afferma un comunicato congiunto del presidente Jalal Talabani (kurdo), del primo ministro Ibrahim Jaafari (sciita) e del presidente del parlamento, Adnan Pachachi (sunnita). A Teheran il portavoce del ministero degli Esteri ha detto che l’Iran usa la sua influenza «spirituale» per assicurare «stabilità» in Iraq.

Palestina. 10 aprile. 1.200 proiettili di artiglieria contro Gaza in sole 72 ore. Ieri, per il terzo giorno consecutivo, l’esercito israeliano ha scaricato una tempesta di fuoco nella Striscia di Gaza, nel quadro di un’offensiva da terra, mare e cielo che è costata finora la vita a 17 palestinesi, tra i quali due bambini. La resistenza prosegue nel lancio di razzi Kassam verso il territorio israeliano. Il primo ministro israeliano, al termine della riunione settimanale del gabinetto, è stato esplicito nel dire che il suo paese farà di tutto per impedire al governo a guida Hamas di consolidarsi. I valichi di frontiera sono chiusi, permane il blocco sui dazi spettanti ai palestinesi (le casse del governo palestinese sono praticamente vuote, e non è stato possibile per ora pagare gli stipendi di marzo dei circa 140.000 dipendenti pubblici, che fanno vivere, si ritiene, un quarto della popolazione dei Territori) e che Israele incassa per controllare le finanze palestinesi, la società petrolifera israeliana ha sospeso i rifornimenti a Gaza. Le azioni militari israeliane hanno raggiunto livelli di molto superiore a quelle intraprese da Ariel Sharon anche quando la sua fattoria nel Negev e le comunità della zona erano bersagliate. Sul piano diplomatico, il boicottaggio dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) sarà totale «fino alla caduta del governo», dice il primo ministro israeliano Olmert: nessun contatto con i servizi di sicurezza palestinesi o con funzionari civili dell’amministrazione. La porta, ha detto Olmert, resta aperta soltanto a Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ma non sembra che vi sia, al momento, un dialogo particolarmente intenso o costruttivo tra il presidente palestinese e la dirigenza israeliana. L’isolamento del governo palestinese, secondo Olmert, dovrà riguardare tutti e, per questo motivo, non saranno ricevuti da dirigenti o funzionari israeliani quegli esponenti politici, diplomatici o d’altro genere che avranno contatti con l’ANP.

Nepal. 10 aprile. Lo sciopero generale contro la monarchia continuerà indefinitivamente. Una persona è morta nella quarta giornata di protesta convocata dall’opposizione. Si registrano intanto continue manifestazioni in varie parti del paese.

Perù. 10 aprile. Si va alle urne per l’elezione del presidente e di due vicepresidenti per un periodo di cinque anni. Saranno eletti anche i 120 legislatori del Congresso, che è unicamerale. Il candidato presidenziale vincitore assumerà l’incarico il 28 luglio 2006, Giorno dell’Indipendenza del Perù. Una volta in carica il presidente nomina un primo ministro, che a sua volta elegge il gabinetto, che deve avere l’approvazione presidenziale. Il presidente del Perù non può essere rieletto per un secondo periodo consecutivo. Il voto è obbligatorio per tutti i cittadini tra i 18 ed i 70 anni.

Perù. 10 aprile. Humala vince il primo turno per il rinnovo del presidente e del Congresso monocamerale (120 deputati). Per la scelta del capo dello Stato bisognerà però attendere il ballottaggio del 7 maggio. L’ex militare Ollanta Humala ha vinto ieri il primo turno delle presidenziali. A scrutinio non ancora ultimato, ha ottenuto il 28% dei consensi, garantendosi così il passaggio al ballottaggio. Incertezza invece su chi sarà lo sfidante: l’aprista (socialdemocratico) Alan García, già presidente di infausto ricordo fra l’85 e il ‘90 (diasastro economico, accuse di violazione dei diritti umani e corruzione), o la neo-liberista Lourdes Flores, il cui suo staff economico è pieno di economisti fujimoristi, che appaiono testa a testa. La giornata elettorale si era svolta in un clima teso: Humala, recatosi a votare insieme alla moglie nel suo seggio, è stato accolto da urla e insulti da parte di alcune centinaia di estremisti di destra, che poi per circa un’ora gli hanno impedito di lasciare il luogo della votazione. Solo l’intervento della polizia ha potuto liberare Ollanta e la moglie.

Perù. 10 aprile. Secondo molto osservatori l’ex militare Ollanta Humala è intenzionato a ricalcare il modello adottato dal presidente venezuelano Chavez, e già solo per questo candidato a finire nel libro nero della Casa Bianca. Salito alla ribalta nell’ottobre del 2000 per una sommossa finalizzata alle dimissioni dell’allora presidente Fujimori, Humala punta alla centralità dello Stato nei settori minerario ed energetico, a un’economia che dia più benefici alla gente che alle imprese, ad una riscrittura della Costituzione per «frenare il processo di neocolonialismo in Perù». Vuole inoltre impedire la ratifica del Trattato di Libero Commercio con gli Stati Uniti, rivedere i contratti firmati con le multinazionali, vuole un’imposta sui benefici straordinari per le compagnie minerarie straniere, la lotta alla corruzione, alla criminalità e alla povertà: in Perù oltre la metà della popolazione è povera e la metà di questa vive in condizioni di povertà estrema. Altri pilastri della sua campagna sono la legalizzazione delle coltivazioni della foglia di coca, il riscatto della popolazione andina e un brusco stop all’intromissione dell’economia cilena in quella peruviana.

Ecuador. 10 aprile. Governo revoca lo stato d’emergenza. Era stato decretato il 21 marzo in cinque province, dopo le proteste indigene contro la firma del Trattato di Libero Commercio con gli Stati Uniti. La settimana scorsa le mobilitazioni erano state violentemente represse dalla polizia.

Italia. 11 aprile. Un volto neoliberista alla testa della «sinistra». È la sintesi del giornalista belga d’inchiesta Michel Collon riguardo il neo eletto (sul filo di lana) presidente del consiglio italiano, Romano Prodi. «Che c’è da sperare? La sua traiettoria non incoraggia l’ottimismo delle classi più sfavorite, perché ha dimostrato un’infinità di volte di essere una pedina molto utile per le multinazionali. È il responsabile della strategia di Lisbona adottata nel 2000 per accentuare il carattere neoliberista dell’Unione Europea, che pone il mercato al di sopra delle politiche sociali. Dalla direzione della Commissione Europea ha aperto le porte alla commercializzazione dei prodotti transgenici. Ha sostenuto le riforme francesi che rendono diffiicile l’accesso a tutti alle prestazioni sanitarie. I suoi alleati ex comunisti preferiscono non ricordarlo, ma ha fatto parte della rete Stay-Behind, creata dagli americani dopo la seconda Guerra Mondiale per lottare contro l’influenza comunista. Inoltre plaudì al (poi fallito, ndr) golpe contro Hugo Chávez nel 2002 (11 aprile, ndr)». Nato a Scandiano (Reggio Emilia), 66 anni, studi a Milano e alla London School of Economics, laureato in Giurisprudenza ed Economia, trent’anni di attività politica alle spalle, Romano Prodi è stato primo ministro dal 1996 al 1998 e presidente della Commissione Europea dal 1999 al 2004.

Ungheria. 11 aprile. Elezioni: socialisti i più votati. È il responso del primo turno svoltosi domenica. Con il 43,2% dei suffragi, i socialisti hanno buone speranze di restare al governo insieme ai loro alleati liberali che hanno ottenuto il 6,5%. Il ballottaggio ci sarà il 23 aprile. Il principale partito di opposizione, l’Unione Civica Ungherese dei giovani democratici, ha avuto il 42%. Urgenti riforme economiche e la bozza di un piano per adottare l’euro saranno le sfide che dovrà affrontare il partito che risulti vincitore al secondo turno. L’attuale primo ministro, il socialista Ferenc Gyurcsnay, potrebbe divenire il primo dirigente post comunista d’Ungheria che ottiene un secondo mandato. Era stato eletto primo ministro nel 2004, dopo le dimissioni dell’allora capo dell’esecutivo Peter Medgyessy. Gyurcsany ha promesso di mettere in marcia l’economia ungherese e prepararla ad adottare l’euro nel 2010. Per via del crescente deficit, si preannunciano riforme drastiche, nonostante in campagna elettorale i due principali partiti abbiano promesso aumenti delle spese sociali. L’Ungheria deve presentare alla Commissione Europea il suo piano di convergenza a settembre. Dato, però, che ad ottobre avranno luogo le municipali, la nuova amministrazione potrebbe essere restìa ad assumere decisioni impopolari.

USA. 11 aprile. Aumenta la fuga dall’esercito dei giovani ufficiali. Il numero di quelli che lasciano il servizio militare è cresciuto nel corso del 2005. Secondo il New York Times l’anno scorso un terzo dei diplomati a West Point nel 2000 ha deciso di abbandonare il servizio alla fine del proprio contratto quinquennale. Si tratta della percentuale più rilevante da 16 anni. Il dato è da ritenersi un effetto della sindrome Iraq.
 
Venezuela / Italia. 11 aprile. Lascia Milano il console golpista colombiano. Jorge Noguera è stato richiamato in patria dopo le pesanti accuse di coinvolgimento in un piano eversivo volto ad assassinare il presidente Chávez. La denuncia era partita dalla rivista di Bogotá Semana, che aveva citato la deposizione di un testimone della Procura. Secondo tale testimonianza, il piano era stato preparato da Noguera, allora direttore del colombiano Dipartimento Amministrativo di Sicurezza, insieme con il comandante paramilitare Rodrigo Tovar Pupo. Nel complotto era prevista l’uccisione di Chávez e di alti funzionari del suo governo. Il testimone non ha voluto però rivelare i nomi dei membri del governo Uribe al corrente del progetto eversivo.

Euskal Herria. 12 aprile. Non cessa la persecuzione giudiziaria contro Arnaldo Otegi: per il dirigente di Batasuna è in vista un’altra causa. Ieri sono arrivate all’Audiencia Nacional (tribunale speciale, ndr) le carte del Tribunale Superiore di Giustizia del Paese Basco per «apologia di terrorismo». Otegi intervenne nel 2004 ad una cerimonia in omaggio di Olaia Kastresana, militante di ETA morta in un’esplosione fortuita nel 2001.

Euskal Herria. 12 aprile. ELA dubita del “tavolo dei partiti” e chiede di dare priorità ad una consulta sovranista. In conferenza stampa, ieri, nella sede di ELA a Bilbo (Bilbao), José Elorrieta, segretario del sindacato basco ELA, il più rappresentativo insieme a LAB, ha detto che il «dibattito strategico» per una soluzione politica al conflitto nei Paesi Baschi deve situarsi in una consulta e non in un tavolo dei partiti, perché in quest’ultima «la forza del dibattito sulla sovranità sarebbe insufficiente». La consulta, a suo avviso, rappresenterebbe «un atto di autodeterminazione».

Euskal Herria. 13 aprile. LAB reclama una strategia nazionale e sovrana che fissi le basi per un nuovo quadro politico. Allo stesso tempo patrocina una dinamica propria per il sindicalismo abertzale (patriottico, ndr) che dia impulso a quella strategia comune. LAB (Langile Abertzaleen Batzordeak, Assemblee dei Lavoratori Patriottici) ha reso pubblico ieri il documento elaborato in vista dell’Aberri Eguna (festa nazionale basca, ndr), nel quale, sotto il titolo “Un popolo in marcia”, riafferma «il suo impegno per articolare una strategia nazionale e sovrana partendo dagli interessi dei lavoratori baschi» e aggiunge: «la scommessa indipendentista e socialista necessita di una prassi sociopolitica definita in contenuti e dinamica sociale». Secondo Rafa Diez Usabiaga, segretario generale di LAB, una prassi convergente tra i due sindacati più rappresentativi baschi (ELA e LAB) sarebbe il «contributo più solido ad un’alleanza in chiave di dinamica sociale». Al di là poi del piano sindacale, Diez è convinto che, «se ogni organizzazione basca si sforza di convergere su linee strategiche comuni, questo ci darà una potenza di gran lunga maggiore sul piano sindacale, sul modello di società e sul piano politico (...). Quel che tenterà di fare Zapatero è lo stesso che ha fatto in Catalogna, dividere e riscrivere al ribasso. Quel che differenzia il processo in Euskal Herria è che c’è una base sociale sovranista più ampia e che ci sono due sindacati, come LAB e ELA, che non solo sono maggioritari in questo paese –il che è un elemento differenziale dagli altri processi– ma esprimono anche un portato reale di intervento sindacale che dà garanzia al fatto che questo processo sovranista ha un modello sociale distinto da altri processi sovranisti». Diez è estremamente chiaro sul punto: «siamo quelli che possiamo garantire la maggioranza in una consulta plebiscitaria. Siamo quelli che possiamo ottenere che persone politicamente non sovraniste si sentano a loro agio in questo processo, si sentano talmente identificate con determinate forze da dire: “io non sono indipendentista ma se LAB e ELA, che sono quelli che giorno dopo giorno stanno difendendo i miei diritti nell’impresa, appoggiano questo (processo, ndr), io sto con questi”. Questa è la grande sfida che ha la maggioranza sindacale basca». Insomma, per dirla sempre con le parole di Diez, l’obiettivo «non è conseguire competenze di autonomia. Non stiamo reclamando la gestione dell’aeroporto di El Prat. Vogliamo l’indipendenza e il socialismo».

Palestina. 13 aprile. Il governo palestinese formato da Hamas ha respinto la nomina del nuovo capo della sicurezza dell’ANP (Autorità Nazionale Palestinese) Rashid Abu Shbak. Attuale capo della sicurezza preventiva, è considerato vicino all’uomo forte di Fatah a Gaza, Mohamed Dahlan, figura gradita a Tel Aviv. Shbak era stato nominato nei giorni scorsi dal presidente palestinese alla guida della sicurezza interna ANP. Sul controllo delle forze di sicurezza, è in atto un braccio di ferro politico fra Abu Mazen e il premier di Hamas, Haniyeh.

Iraq. 13 aprile. Gli squadroni della morte ci sono, ma sono legati ad un’agenzia statunitense. L’accusa, in un’intervista alla BBC, viene addirittura dal ministro dell’interno iracheno, Bayan Jabr, che i sunniti accusano di essere il mandante di centinaia di esecuzioni. Jabr afferma che i commandos ritenuti responsabili della sparizione e uccisione di un numero imprecisato di civili (nell’ordine delle migliaia) sono alle dipendenze non del suo ministero, ma di un’agenzia creata dagli Stati Uniti al tempo dell’Autorità Provvisoria della Coalizione. Jabr accusa esplicitamente la Facility Protection Service, una forza armata di 150.000 uomini istituita a suo tempo per proteggere gli uffici governativi dagli attacchi della guerriglia: è «fuori controllo» e risponde a Washington.

Nepal. 13 aprile. La guerriglia nepalese invita la polizia a ribellarsi contro il re Gyanendra e ad appoggiare il movimento di protesta in favore della democrazia nel paese. Lo fa con un comunicato spedito ieri per posta elettronica, a firma del massimo dirigente Pushpa Kamal Dahal Dahal, Prachanda. «È tempo di volgere le armi contro i feudatari anziché servirli». L’appello «speciale» di Prachanda è rivolto «a tutti gli ufficiali dell’Esercito reale e della Polizia a schierarsi in favore del movimento del popolo».

Nepal. 13 aprile. La polizia nepalese ha arrestato 70 avvocati che manifestavano a Kathmandu per il ripristino della democrazia. Centinaia di avvocati sono scesi in piazza, nel quadro di un grande movimento di protesta lanciato da una settimana, contro il re Gyanendra che ha assunto pieni poteri nel febbraio 2005. «Manifestavamo pacificamente quando la polizia ha caricato a colpi di manganello, lacrimogeni e proiettili di gomma», ha detto un membro dell’Associazione degli avvocati.

USA. 13 aprile. «Bush mentì alla nazione». Il 27 maggio 2003 –due giorni prima di dichiarare trionfalmente: «abbiamo trovato le armi di distruzione di massa»– il presidente USA, George W. Bush, ricevette dal Pentagono un rapporto, compilato da nove esperti statunitensi e britannici, nel quale si negava che i silos trovati in Iraq contenessero armi chimiche e che i rimorchi carichi di contenitori rinvenuti nel nord della Mesopotamia non avevano nulla a che vedere con armamenti chimici. Lo scrive The Washington Post. Bush ignorò il rapporto ed «inventò» laboratori di armi chimiche. Per un anno, dopo la presunta balla di Bush, l’amministrazione USA continuò a sostenere che quei rimorchi abbandonati nel deserto erano dei laboratori mobili per la fabbricazione di armi chimiche: un tentativo di giustificare in extremis l’occupazione militare dell’Iraq.

USA / Euskal Herria. 13 aprile. Il Senato dello Stato USA dell’Idaho sostiene «un processo di votazione democratico» per una pace duratura in Euskal Herria. La dichiarazione sarà inoltrata al Congresso ed al Senato degli Stati Uniti, nonché alle massime autorità spagnole e francesi. Eletti di ascendenza basca, informa il quotidiano Idahostatesman, come Carlos Bilbao, Ben Ysursa e Pete Cenarrusa hanno dato impulso a questo testo. Euskalkultura.com ricorda che non è la prima volta che lo Stato dell’Idaho approva dichiarazioni relative al conflitto politico che vive Euskal Herria. Nel 1972 ci fu la condanna del regime spagnolo di Francisco Franco. Più recentemente un altro testo, La declaración de 2002 (rtf), esprimeva «opposizione ad ogni violenza in Euskal Herria», invitava a dare avvio ad un processo di pace e affermava l’«appoggio dell’Idaho al diritto dei baschi all’autodeterminazione». Il documento creò una polemica internazionale tra Spagna e Stati Uniti.

USA / Iran. 13 aprile. Rice: «Iran, è l’ora della forza». Il consigliere di Stato USA, Condoleezza Rice, non esclude l’uso della forza per risolvere la questione del nucleare iraniano. La Rice ha lanciato un appello al Consiglio di Sicurezza dell’ONU perché adotti una risoluzione sulla base del ‘Capitolo Sette’ della Carta delle Nazioni Unite, che prevede anche l’uso della forza. Con questi toni bellicosi, il segretario di stato USA Condoleezza Rice ha reagito all’annuncio di Teheran di aver arricchito l’uranio. Il 28 o il 29 aprile, il Consiglio di Sicurezza si riunirà di nuovo per parlare del nucleare iraniano, ed ascolterà il rapporto di Mohammed El Baradei, direttore generale dell’AIEA. Poi deciderà se imporre sanzioni e, in caso positivo, che tipo di risoluzione approvare: nell’eventualità –per il momento ancora improbabile– che si dovesse seguire la linea dura dell’amministrazione USA, la risoluzione anti-Iran verrebbe scritta nell’ambito del capitolo sette della Carta dell’ONU, che prevede l’uso della forza in caso di mancato adempimento.

Perù. 13 aprile. Toledo ha firmato ieri il TLC con gli USA. Il presidente uscente Alejandro Toledo ha affrettato la firma del discusso Trattato di Libero Commercio (TLC) con gli Stati Uniti, a Washington, nella sede dell’Organizzazione degli Stati Americani.

Perù. 13 aprile. Humala respinge il TLC firmato tra Stati Uniti e Perù. Il candidato più votato alle elezioni presidenziali del Perù e candidato al ballottaggio, Ollanta Humala, ha respinto i termini del Trattato di Libero Commercio firmato in tutta fretta, ieri, dal governo peruviano uscente. Humala ha affermato che, in caso di vittoria al ballottaggio, utilizzerà «tutti i meccanismi costituzionali» per giungere a una sua abrogazione. Tra questi, ha aggiunto, potrebbe esserci un referendum che confermi o meno il TLC. In conferenza stampa a Lima, Humala si è rivolto al Congresso peruviano perché «non si presti a dare validità» a questo trattato che colpisce «la sovranità» del popolo.

Irlanda del Nord. 14 aprile. I lealisti dell’UVF esigono un esecutivo nordirlandese e sono disponibili alla presenza di Sinn Féin e DUP. Lo preferiscono ad una possibile amministrazione congiunta di Londra e Dublino che si produrrebbe se l’elezione dell’esecutivo fallisse. Lo ha detto in un’intervista al quotidiano nordirlandese Belfast Telegraph, il giornalista Brian Rowan parlando con un portavoce della direzione dell’organizzazione paramilitare lealista, presente uno dei dirigenti. Il portavoce lealista ha espresso le preoccupazioni dell’UVF di fronte alle intenzioni di Londra e Dublino di un progetto di potere condiviso tra entrambi i governi se l’Assemblea nordirlandese non arriva ad eleggere un esecutivo. «Qualunque opzione che consegna costituzionalmente il destino dell’Irlanda del Nord al popolo nordirlandese è molto meglio di qualunque circostanza possibile di autorità congiunta, di amministrazione congiunta o come la si voglia chiamare», ha detto il portavoce dell’UVF che ha riconosciuto l’importanza della dichiarazione di «cessazione della campagna militare» da parte dell’IRA. Scartata una messa fuori uso delle armi lealiste a breve e medio periodo.

Irlanda del Nord. 14 aprile. L’IRA esprime la frustrazione repubblicana per i nuovi ritardi nel processo di pace ed attribuisce le responsabilità «ai due governi (Londra e Dublino, ndr) ed ai partiti politici». L’Esercito Repubblicano Irlandese (IRA) ha quidi ricordato a Dublino che è responsabile della promozione «della fine della divisione e di creare le condizioni per l’unità e l’indipendenza d’Irlanda». Queste dichiarazioni sono contenute nel comunicato tradizionale di Pasqua, pubblicato dal settimanale repubblicano An Phoblacht, che quest’anno giunge due giorni dopo prima della commemorazione della Rivolta di Pasqua del 1916. L’IRA ha dichiarato terminata la sua campagna militare lo scorso 28 luglio.

Gran Bretagna. 14 aprile. Gli USA come i nazisti. Condannato militare britannico. Un pilota della Royal Air Force, che ha definito le azioni USA in Iraq analoghe a quelle dei nazisti tedeschi ed illegale la guerra, ha rifiutato di tornare a servire in quel paese per un terzo turno dopo i due precedenti perché non voleva più partecipare a «un atto di aggressione». È stato condannato ieri da una corte marziale inglese a 8 mesi di carcere. Il pilota, un tenente medico militare, si chiama Malcom Kendall-Smith.

Gran Bretagna. 14 aprile. È entrata in vigore in Gran Bretagna la nuova legge che introduce il reato di «apologia di terrorismo». Il provvedimento, molto contrastato, sulla detenzione preventiva estesa a 28 giorni, prevede la messa al bando di organizzazioni che «esaltano o incitano ad atti terroristici», vieta la distribuzione di materiale inneggiante al terrore. È stato duramente criticato dalle organizzazioni per le libertà civili, come un attentato alla libertà di espressione.

Ucraina. 14 aprile. Gli «arancioni» creano una coalizione di governo a Kiev che avrà la maggioranza in parlamento. Firmato ieri l’accordo. Il documento è stato sottoscritto da Nostra Ucraina, del presidente Yushenko, dal Blocco di Yulia Timoshenko e dal Partito Socialista. Il pro-russo Yanukovich ha vinto le elezioni dello scorso 26 marzo.

Ucraina. 14 aprile. RosUkrEnergo, fornitore esclusivo del gas russo e dell’Asia centrale all’Ucraina, ha dimezzato dal 10 aprile scorso i rifornimenti a Kiev. Causa della decisione, le pesanti insolvenze del paese, scrive il quotidiano russo Vremia Novostei, paventando una ripresa della “guerra del gas”. Kiev paga a RosUkrEnergo 95 dollari ogni 1.000 metri cubi di gas. Il primo ministro ucraino Iekhanurov non ha smentito il dimezzamento nelle forniture, ma si è limitato a precisare che «non ci sono problemi».

Iran. 14 aprile. L’Iran chiama tutta la comunità islamica a sostenere i palestinesi contro Israele, dopo il blocco degli aiuti da USA e UE. È la strada indicata dall’ayatollah iraniano Khamenei alla conferenza internazionale sulla Palestina in corso a Teheran. «La Jihad (Guerra santa, ndr) dei palestinesi contro gli oppressori (Israele, ndr) non riguarda solo i palestinesi, ma tutto il mondo dell’Islam. Il percorso cominciato dall’Intifada deve continuare», ha detto la guida suprema iraniana.

Iraq. 14 aprile. Sono state completate in Iraq le procedure che potrebbero preludere a un ritiro delle forze giapponesi. Si tratta di circa 800 uomini dislocati nella provincia meridionale di Muthana. Secondo l’agenzia giapponese Kyodo, requisito per il ritiro è un trasferimento del potere alle autorità irachene.

Israele / Palestina. 14 aprile. L’esercito israeliano starebbe valutando l’ipotesi di rioccupare entro «pochi mesi» vaste aree della striscia di Gaza. Lo ha detto il vice capo di stato maggiore israeliano, Kaplinsky, precisando che l’operazione mirerebbe a porre fine al lancio di razzi dalla zona. Israele, ha aggiunto Kaplinsky, ha ancora altre risorse nel suo arsenale per cercare di porre fine agli attacchi senza entrare nella Striscia.

Palestina. 14 aprile. Il premier palestinese, Haniyeh, ha dichiarato che i tentativi di isolare il suo governo sono destinati a fallire. «Noi non ci piegheremo e i tentativi di isolarci falliranno», ha detto Haniyeh riferendosi al boicottaggio del suo governo e alla sospensione dagli aiuti economici diretti decisi da USA e UE finché il movimento islamico Hamas, che guida il governo, non riconoscerà Israele e gli accordi israelo-palestinesi finora conclusi e non rinuncerà alla resistenza finché sussisterà l’occupazione.

Giappone. 14 aprile. Il Giappone conferma la sua posizione di appoggio alla Germania nei progetti per una riforma del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. «I nostri sforzi con Germania, India e Brasile per riformare il Consiglio di Sicurezza e garantire seggi permanenti a ciascuno non hanno prodotto risultati concreti», afferma un “libro bianco” del ministero degli Esteri giapponese. Tuttavia «si è accresciuto lo slancio della riforma» e Tokyo «manterrà la cooperazione».

USA. 14 aprile. Generali USA contestano Rumsfeld, capo del Pentagono. Si allunga sempre più la lista dei militari (anche ex) di alto rango statunitensi schierati contro il capo del Pentagono Rumsfeld per la fallimentare condotta della guerra in Iraq. «Abbiamo bisogno di un capo che capisca il lavoro di gruppo, che vada avanti senza minacce», ha dichiarato ieri alla CNN il generale John Batiste, l’ultimo di una serie di graduati a mettere in evidenza i fallimenti del ministro della guerra. In un’intervista ad al Arabiya, Donald Rumsfeld, capo del Pentagono, ha respinto gli appelli alle dimissioni di alcuni generali –Swannack, Riggs, Batiste, Eaton, Newbold e Zinni– che l’accusano di aver condotto la guerra in Iraq in modo fallimentare. Baptiste, ex comandante della prima divisione di fanteria in Iraq, ha parlato nel corso di una intervista televisiva, come hanno fatto prima di lui Anthony Zinni, ex comandante del Centcom, i generali Newbold, Eaton e Swannack, e John Riggs che si è affidato all’influente catena radiofonica della Npr. «Siamo entrati in guerra con un piano approssimativo, soprattutto privo di una strategia per la gestione dell’emergenza dopo la caduta del regime di Baghdad», ha detto Baptiste. E poi ha aggiunto: «Abbiamo operato sotto la guida di un ministro per la Difesa che aggredisce piuttosto che comandare, ed è incapace di costruire uno spirito di corpo». Aggettivi come «arrogante» ed «invadente» sono stati usati a profusione negli interventi degli altri generali, tanto da far pensare a prima vista ad un attacco concertato nei tempi e nei contenuti. Ma è stato lo stesso Baptiste, interrogato al riguardo, a fugare il sospetto dicendo che non c’è stato nessun contatto tra lui e gli altri accusatori, e che l’unico motivo che lo anima è il desiderio di risolvere la crisi di stallo che si è creata nella missione militare: «Non possiamo permetterci di fallire in Iraq».

USA / Iran. 14 aprile. The Wall Street Journal, The Weekly Standard e The National Review scrivono che Teheran ha passato il segno ed invitano il presidente George W. Bush a pianificare urgentemente attacchi militari, se non una vera e propria guerra contro l’Iran. È il senso degli editoriali e di articoli di analisti pubblicati tra ieri e l’altroieri da questi giornali. Il direttore de The Weekly Standard, William Kristol, paragona il processo nucleare iraniano con la rioccupazione militare ordinata da Adolf Hitler nel 1936 della Renania, territorio smilitarizzato dalla fine della Primera Guerra Mondiale (1914-1918). Secondo Kristol, la Casa Bianca deve intraprendere una «azione militare», pronta anche alle «conseguenze di tali attacchi», e non deve lasciarsi impressionare, alludendo all’invasione ed occupazione dell’Iraq nel 2003, per il fatto che le «responsabilità sono state più difficili del previsto». The National Review, nell’editoriale dal titolo significativo “Ora l’Iran”, scrive che «qualunque campagna aerea deve combinarsi con sforzi aggressivi e persistenti per rovesciare il regime iraniano dall’interno», ed invita a «colpire non solo le installazioni nucleari, ma anche tutti i simboli dell’oppressione statale: il ministero dell’intelligence, i quartieri della Guardia Rivoluzionaria, le torri di guardia della nota prigione di Evin».

Italia. 15 aprile. Vignetta satirica su Maometto. La pubblica Studi cattolici, rivista italiana vicina all’Opus Dei, anche se non ne è l’organo ufficiale. La vignetta raffigura Maometto all’inferno. L’Opus Dei ha preso le distanze dall’iniziativa del direttore della rivista Cesare Cavalleri. «Sant’Escrivà avrebbe dato la vita per rispettare la libertà religiosa di chiunque» afferma il portavoce dell’Opera, Giuseppe Corigliano, ricordando che il mensile «non rientra tra le pubblicazioni né ufficiali né ufficiose della Prelatura che ha solo un bollettino semestrale intitolato ‘Romana’. Le bozze di Studi Cattolici, inoltre, non vengono nemmeno rilette da nessun dirigente né direttore spirituale dell’Opera prima della loro pubblicazione. E questo perché», spiega ancora Corigliano, «i membri dell’Opus sono liberi di avere tutte le opinioni che desiderano».

Egitto / Iraq. 15 aprile. Il presidente egiziano Mubarak ha precisato di non avere mai messo in dubbio il patriottismo degli sciiti iracheni. In una intervista al giornale Akhbar al Yom ha detto: «Le mie dichiarazioni sugli sciiti circa la loro lealtà e le loro simpatie religiose non mettevano in dubbio il loro patriottismo». La settimana scorsa, in un’intervista a Al Arabiya, Mubarak aveva parlato di rapporti di lealtà tra gli sciiti iracheni e l’Iran.

Palestina. 15 aprile. Hamas non riconoscerà mai Israele. Da Teheran, l’esponente di Hamas, Khaled Meshaal, assicura che il Movimento di resistenza islamica «non riconoscerà mai Israele» e non rinuncerà alla «resistenza» contro il «nemico», considerata come «l’unica strada per costringerlo a lasciare le nostre terre». Meshaal, che rappresenta l’ala più dura di Hamas, risponde quindi negativamente a due delle tre condizioni poste dalla comunità internazionale per sbloccare gli aiuti diretti all’ANP (Autorità Nazionale Palestinese). Nel suo intervento stamane alla terza conferenza su Gerusalemme organizzata anche per raccogliere fondi per i palestinesi, Meshaal ha accusato l’Unione Europea di «muoversi in linea con gli Stati Uniti», per «aver deciso di tagliare gli aiuti finanziari ai palestinesi e ignorato i risultati di un processo elettorale democratico».

Palestina. 15 aprile. Mosca disposta a fornire urgente aiuto finanziario ai palestinesi. Lo ha detto il capo della diplomazia russa, Serghei Lavrov, ieri sera ad Abu Mazen, con una telefonata. Lavrov ha sottolineato che Hamas dovrebbe riconoscere Israele e sedere al tavolo dei negoziati, ma ha definito «un errore» rifiutare gli aiuti ai palestinesi. L’Autorità Nazionale Palestinese guidata da Hamas si trova con scarse risorse economiche per il boicottaggio lanciato da Stati Uniti ed Israele. l’Unione Europea si è accodata.

Palestina. 15 aprile. Una cinquantina di membri delle forze di sicurezza palestinesi ha occupato gli uffici del parlamento palestinese a Khan Younes. Protestano contro il mancato pagamento dei salari. Gli uomini armati appartengono al movimento al Fatah del presidente Abu Mazen. Altre proteste di poliziotti sono in atto a Gaza. Intanto, Mosca ha confermato di voler continuare a finanziare l’ANP. UE e USA condizionano la ripresa degli aiuti ad un riconoscimento di Israele da parte di Hamas.

Palestina. 15 aprile. La Lega araba ha esortato il governo palestinese, guidato da Hamas, ad adottare il piano di pace lanciato in occasione del vertice di Beirut nel 2002. La proposta, che prevede la normalizzazione dei rapporti tra Paesi arabi e Israele in cambio del ritiro entro i confini precedenti alla guerra del 1967 e che è stata respinta dallo Stato ebraico, è stata avanzata dal segretario generale della Lega, Amr Moussa, durante l’incontro svoltosi oggi al Cairo con il ministro degli Esteri palestinese, Mahmoud al-Zahar.

Iran. 15 aprile. USA e Gran Bretagna fecero nel 2004 le prove generali per l’invasione dell’Iran. Nel 2004, appena un anno dopo l’attacco all’Iraq, il Pentagono organizzò nella base di Fort Belvoir (Virginia) un’esercitazione per simulare l’invasione dell’Iran. Lo rivela oggi The Guardian, sottolineando che alla simulazione parteciparono anche militari britannici «malgrado le ripetute assicurazioni del ministro degli Esteri Jack Straw che un attacco militare contro l’Iran è inconcepibile». Un portavoce del Ministero della difesa di Londra, citato dal quotidiano, ha precisato che quella fatta è stata «una esercitazione sulla carta finalizzata a testare i militari in scenari di finzione». L’esercitazione in questione era basata su un paese inesistente del Medio Oriente, chiamato Korona, i cui confini corrispondevano esattamente a quelli dell’Iran.

Iran. 15 aprile. Le ricerche nucleari iraniane «non potranno né in un prossimo futuro, né in una prospettiva più lontana, portare alla realizzazione di un ordigno atomico»: ne è convinto il capo di Stato maggiore delle forze armate russe Yuri Baluievski, che parlando con i giornalisti ha escluso «minacce» alla sicurezza da parte di Teheran. «Tutti i preparativi militari iraniani sono volti a prevenire l’uso della forza nei confronti di quel paese», ha detto Baluievski, aggiungendo che comunque «non vediamo minacce alla sicurezza russa». Mosca –che assieme agli altri quattro membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’ONU e alla Germania parteciperà martedì a un incontro dedicato al dossier nucleare iraniano– si è più volte pronunciata contro misure che contemplino l’uso della forza nei confronti di Teheran, pur ribadendo la sua ferma opposizione a qualunque tentativo di proliferazione atomica.

Russia / Iran. 15 aprile. Secondo il capo di stato maggiore russo, le ricerche nucleari iraniane «non potranno portare alla realizzazione di un ordigno atomico». Iuri Baluievski ha escluso «minacce» alla sicurezza da parte di Teheran. «Tutti i preparativi militari iraniani sono volti a prevenire l’uso della forza nei confronti di quel Paese», ha detto Baluievski, aggiungendo che comunque «non vediamo minacce alla sicurezza russa».

Nepal. 15 aprile. Migliaia di persone sono scese in piazza oggi a Kathmandu per una nuova protesta contro il re Gyanendra. Sono circa 8.000 le persone radunatesi in un sobborgo della capitale nepalese al grido di «Abbasso l’autocrazia. Torni la democrazia»; la situazione sarebbe sotto il controllo delle unità antisommossa. Intanto qualche incidente si è verificato in un’altra zona della città nel corso di una protesta di giornalisti. La polizia ha proceduto ad arresti.

USA. 15 aprile. Nuove pesanti accuse contro il segretario alla Difesa USA, Donald Rumsfeld arrivano dall’Human Rights Watch (Hrw). Il capo del Pentagono –dice una delle maggiori organizzazioni per i diritti umani– potrebbe essere «penalmente responsabile» per le torture inflitte dai militari USA a carcerati di Guantanamo Bay, a Cuba, la maggior parte dei quali ex Taliban arrestati in Afghanistan.

USA / Iran. 15 aprile. Figlia di Cheney in prima linea contro l’Iran. La figlia del vicepresidente degli Stati Uniti Dick Cheney, Elisabeth, vice segretario di Stato per le iniziative mediorientali e nordafricane, guida l’offensiva diplomatica degli Stati Uniti con l’obiettivo, pur non apertamente dichiarato, di ottenere un cambiamento di regime in Iran. La primogenita di Cheney, 39 anni, scrive oggi il New York Times, è stata incaricata della gestione del neonato ufficio degli affari iraniani, che quest’anno spenderà 7 milioni di dollari. Ma l’ufficio iraniano potrebbe diventare una formidabile arma di propaganda l’anno prossimo se il Congresso approverà le richieste del presidente George W. Bush di stanziare 85 milioni per programmi di studi, radiotelevisivi e altre attività ostili al regime dei mullah. Analoghi programmi esistevano negli anni scorsi per finanziare l’opposizione irachena, ed uno dei grossi problemi, per l’Amministrazione Bush, è capire esattamente quali gruppi iraniani in esilio sono credibili e contano davvero.