Cina come laboratorio del capitalismo avanzato...e del disastro ambientale che lo accompagna.
Il governo cinese si prepara a "bombardare" chimicamente i cieli per provocare la pioggia: è l´estremo rimedio allo studio, contro l´apocalisse di sabbia e polveri tossiche che si è abbattuta da una settimana su Pechino e tutte le regioni settentrionali del paese. Una miscela esplosiva di inquinamento e intemperie naturali è all´origine dell´emergenza ambientale.
Le tempeste che soffiano dalla Mongolia Interna, alimentate dalla deforestazione e dalla desertificazione, hanno scaricato su Pechino nella sola notte fra lunedì e martedì 20 grammi di polveri per ogni metro quadro, l´equivalente di 300.000 tonnellate di sabbia cadute sugli abitanti della capitale. Il disastro colpisce anche la città portuale di Tianjin, le provincie dello Shanxi, Hebei e Shandong. L´immensa nube giallastra ha ricoperto 1,61 milioni di chilometri quadrati, colpendo 562 città e 200 milioni di abitanti.
A Pechino strade, automobili, alberi e tetti delle abitazioni sono coperti da un fine strato di terriccio, il sole è invisibile da giorni, il cielo è grigio antracite. I vortici di vento in una megalopoli afflitta da mesi di siccità rendono l´atmosfera irrespirabile. Le sabbie del deserto si mescolano alle polveri di migliaia di cantieri edili in azione, alle emissioni carboniche di un traffico automobilistico sempre più congestionato. L´ospedale Chaoyang di Pechino ha rivelato ieri che è triplicato il numero di pazienti ricoverati al pronto soccorso per problemi respiratori, la televisione di Stato Cctv conferma che tutte le strutture sanitarie sono assediate da persone colpite da malattie dei polmoni, degli occhi e della pelle. I mezzi di informazione lanciano appelli alla popolazione perché resti in casa, la polizia tenta di far chiudere i cantieri edili e coprirli con teli finché non si placano i vortici di polveri. È uno scenario da perfect storm, l´incubo che Pechino non avrebbe mai voluto avere, mentre mancano solo due anni alle Olimpiadi e le autorità di governo hanno promesso un drastico miglioramento delle condizioni ambientali. Mantenere quegli impegni oggi sembra un´impresa disperata.
La tempesta di sabbia è solo l´ultimo segnale di un degrado spaventoso degli equilibri ecologici. Normalmente queste tempeste stagionali provenienti dalle regioni desertiche della Mongolia avvengono con una frequenza media di sei all´anno, ma su Pechino se ne sono già abbattute otto dall´inizio del 2006. È un altro prezzo che la Cina sta pagando alla sua formidabile crescita economica. L´industrializzazione a tappe forzate che ha trasformato la Cina nella fabbrica del pianeta ha anche fatto esplodere i consumi energetici, alimentati a maggioranza dalle centrali elettriche a carbone altamente inquinanti. Le maggiori metropoli si avvicinano al collasso demografico: Chongqing supera i 30 milioni di abitanti, Pechino Shanghai Canton e Shenzhen si avvicinano alla soglia dei 20 milioni ciascuna. Con la motorizzazione privata sale inesorabilmente il livello delle emissioni carboniche nei centri urbani. Dall´inizio del 2006 Pechino ha avuto 16 giornate di "cieli puliti" in meno rispetto allo stesso periodo del 2005.
Il primo ministro Wen Jiabao, nel piano quinquennale presentato al Congresso il mese scorso, ha indicato la difesa dell´ambiente tra le priorità del suo governo. Ma finora i tentativi di arginare il dissesto ecologico sono insufficienti e inefficaci. Le campagne di riforestazione lanciate per creare dei cordoni di difesa naturale attorno a Pechino sono dei timidi palliativi, mentre la desertificazione avanza insieme con il prosciugamento di fiumi e laghi, nell´emergenza idrica provocata dall´industrializzazione. L´inquinamento prodotto dalla Cina si trasforma rapidamente in un problema planetario, si fanno frequenti i ritrovamenti di polveri tossiche cinesi nei cieli della Corea, del Giappone, della California e perfino della East Coast americana.
Proprio mentre Pechino soffoca sotto l´immensa nube gialla, procede verso la conclusione un cantiere della capitale che è il simbolo di una disperata lotta contro il tempo. È la nuova sede della facoltà di Scienze ambientali dell´università Tsinghua, frutto di una cooperazione italo-cinese che coinvolge il nostro ministero dell´Ambiente, il ministero della Scienza e della Tecnologia della Repubblica popolare, il Politecnico di Milano e lo studio di architettura Mario Cucinella. Il palazzo in costruzione nel campus della Tsinghua è un condensato di tutte le tecnologie più avanzate per il risparmio energetico e la tutela dell´ambiente. Dai vetri speciali isolanti ai pannelli per l´energia solare, dalle terrazze coperte di vegetazione ai dispositivi per l´illuminazione naturale, il Sieeb (Sino-Italian Ecological and Energy Efficient Building) è il prototipo di un nuovo modo di costruire. Ma visitare il cantiere in questi giorni offre uno spettacolo di un´ironia crudele. Le squadre di operai cinesi, incluse donne e ragazzi giovani, annaspano nelle nuvole di sabbia che sommergono i materiali avanzati spediti dalle aziende italiane. Le baracche-dormitorio dei muratori sono coperte dalle polveri. Il prezioso gioiello del design "verde" italiano è avvolto nella nebbia acre dello smog che brucia occhi e polmoni, mentre tutt´attorno il paesaggio urbano è una selva di grattacieli tirati su in tempi record, con criteri tutt´altro che eco-compatibili. La nuova sede della facoltà di Scienze ambientali sarà pronta per l´inaugurazione due anni prima delle Olimpiadi. È un altro record di velocità che va ad aggiungersi alle performance dell´edilizia cinese. Ma la promessa che quel cantiere rappresenta sembra allontanarsi ogni giorno.
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