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L'Europa incompiuta nella tempesta monetaria

di Bernardo Valli - 27/02/2010

  
 
La tenuta dell´euro nella tempesta finanziaria ci aveva dato un senso di sicurezza, quasi di superiorità, in un mondo infido, pieno di trappole, di inganni. Bastava pensare a quel che sarebbe capitato alla vecchia lira, inevitabilmente sbatacchiata, calpestata, svalutata, in quella tormenta, per rivolgere la nostra infinita riconoscenza all´euro, impavido, intrepido, incolume, come Mosè tra le acque del Mar Rosso. All´improvviso è esplosa la crisi greca che ha sbalordito l´Europa. La moneta invulnerabile, indomita, inquietante soltanto per l´eccessiva salute, come un figlio che cresce troppo in fretta, si è rivelata vergognosamente esposta ai più elementari trucchi di bilancio e alle speculazioni più sfacciate.

All´immagine rassicurante di Mosè nel Mar Rosso si è sovrapposto allora l´incubo di un´Unione monetaria che potrebbe affondare come il Titanic nell´Atlantico. La crisi greca è l´iceberg che apre una falla? Sarebbe la prima. E, simbolicamente, proprio nell´Ellade, prestigiosa, prosciugata sorgente della civiltà europea afflitta da antichi difetti mediterranei. Difetti che scandalizzano il Nord europeo, come le facili indulgenze papiste e le effemminate pitture dei manieristi romani scandalizzarono secoli fa i luterani.

La nostra Europa è una terra di memoria, di tradizioni e di pregiudizi, spesso giustificati. La moneta unica di cui si è dotata è uno dei monumenti più ambiziosi e ammirevoli della sua storia. Con un difetto: non ha fondamenta politiche. E adesso la crisi greca mette in crisi la già traballante fiducia tra i sedici Paesi che condividono l´euro.
Il brusco salto d´umore, dal senso di sicurezza a quello, sia pure effimero, di una improvvisa fragilità, rivela la persistente incertezza che accompagna la costruzione europea fin dai primi passi. Non a caso Jacques Delors, uno dei suoi più efficaci sostenitori, la definiva «un oggetto politico non identificato». L´incertezza cronica è palese nella vicenda greca. Un caso di per sé modesto poiché la parte greca nel totale dell´indebitamento della zona euro rappresenta poco più del 3 per cento, e quindi, almeno per ora, non mette certo l´euro in pericolo. Ma esso ha ricordato che la marcia verso l´indispensabile e al tempo stesso irraggiungibile integrazione si è fermata lasciando l´Europa in mezzo a un guado, in una posizione di stallo. E per stare in equilibrio l´ Europa deve pedalare. Deve avanzare.

L´assenza di un governo economico, che implica necessariamente un´unione politica,equivale a un´impalcatura mancante nell´Unione monetaria. Fino a ieri trionfante quest´ultima conserva la sua forza. La crisi greca le è costata in concreto circa il dieci per cento. Quasi una benedizione per chi vedeva nell´euro sopravalutato un impedimento alle esportazioni. Ma sul piano psicologico il prezzo è stato molto più alto. L´incertezza, male originario dell´Europa, si è accentuata.
Prima di Atene non si sapeva che cosa fosse una crisi finanziaria in un paese che non può svalutare. Ai tempi della dracma il governo nazionale l´avrebbe svalutata del 30 per cento. Ma adesso non può toccare la moneta collettiva. I meccanismi comunitari risultano impotenti in questa situazione e manca la dimensione politica che dovrebbe colmare i vuoti. Alla Banca centrale europea non è consentito di soccorrere un paese della zona euro sull´orlo del fallimento e la Commissione ha dimostrato la sua inadeguatezza. Il minimo che le si può rimproverare è di avere promosso con notevole ritardo una procedura legale per denunciare le irregolarità statistiche di Atene. I sospetti risalivano a sei anni fa. Per Valéry Giscard d´Estaing, uno degli autori del trattato costituzionale del 2005 e uno dei pionieri dell´Unione monetaria, la debolezza della Commissione è preoccupante. Il presidente Barroso non ha certo attenuato le incertezze che annebbiano il futuro dell´Europa.

Alle origini di quella che è via via diventata l´Unione il problema era la pace e la soluzione, in linea generale, era evidente: bisognava indebolire gli Stati-Nazione, responsabili dei mali dell´Europa nel Ventesimo secolo, trasferendo a un livello soprannazionale l´esercizio di competenze progressivamente estese. Questa tendenza è stata alimentata con fatica, superando in parte l´orgoglio delle vecchie nazioni, riluttanti a concedere vistose falde della loro sovranità. All´incertezza sulla natura istituzionale e politica dell´Unione europea si sono aggiunti, dopo la caduta del Muro di Berlino, alcuni problemi essenziali. Quello dell´estensione geografica, vale a dire dell´allargamento; quello del livello dell´azione europea, quindi delle competenze dell´Unione nel mondo globale; e infine quello essenziale dell´identità europea.
L´allargamento, fino a ventisette Paesi, era inevitabile ma si è rivelato precipitoso. I più larghi confini dell´Unione hanno diluito il già scarso spirito europeista. E l´identità europea non si è certo precisata. L´incertezza originaria si è aggravata. Agli esecutori della grande operazione va riconosciuto il merito di avere compiuto, con tenacia e puntualità, quel che la Storia imponeva. Ma la Storia non ha il monopolio della ragione. E la ragione suggeriva, a sua volta, ritmi più ponderati.
Altrettanto inevitabile è apparsa la decisione di sottrarre alla sovranità degli Stati la moneta unica (per ora riservata a sedici paesi), la quale è stata egualmente sottratta in ampia misura alle decisioni politiche dell´Unione europea. L´euro è stato affidato alla competenza tecnica del sistema indipendente delle Banche centrali europee, ma per risolvere la questione greca la tecnica monetaria non dovrà forse cedere il passo alla politica?

La politica, come è naturale, ha originato un´Unione europea alla quale sono centellinate ( trattato di Maastricht) le prerogative politiche, che gli Stati, grandi e piccoli, ricchi e poveri, cercano di conservare. È l´Europa delle incertezze, tante volte descritta. Culture diverse, sia pure con un forte denominatore comune, e tradizioni che compongono un mosaico prezioso ma non armonioso, costringono noi europei a trovare nuove forme di governo, nuove istituzioni, nuove politiche pubbliche e nuove regole di condotta, al fine di creare una formula di convivenza capace di dare all´Unione, sviluppatasi con tanta fatica e intelligenza, la forza indispensabile per affrontare un mondo in cui rischia di essere emarginata.

L´euro è una delle travi portanti. Va ricordato che è nato dalla riunificazione tedesca. Helmut Kohl, il cancelliere allora in esercizio, si impegnò a varare l´Unione monetaria come prova della sua fedeltà al processo di integrazione europeo. Per rassicurare in particolare la Francia, allora presieduta da François Mitterrand, perplesso di fronte a una Germania di nuovo unita, i tedeschi dettero in sostanza come pegno il marco. Ma come garanzia vollero che la nuova moneta unica dipendesse da una Banca centrale europea autonoma, per evitare che i governi di paesi a economia debole e con tendenze inflazionistiche potessero minacciarne la stabilità. L´euro sarebbe stato governato con criteri tecnici, senza interferenze politiche.

I successori di Helmut Kohl sono rimasti fedeli all´Europa. Sono stati europeisti esemplari. Ma il loro fervore è diminuito con l´affermarsi della rinnovata nazione tedesca. Alcuni specifici ritocchi alla Costituzione hanno smorzato lo slancio federale. Ne sono la prova i draconiani limiti al deficit, quasi azzerato, del bilancio federale, da applicare nei prossimi anni, così come il rigore finanziario imposto ai laenders. Si tratta infatti di decisioni che distingueranno in modo ancora più netto la disciplina monetaria tedesca, dal tradizionale e deprecato lassismo degli altri Paesi dell´area dell´euro. In particolare quelli del Sud, riassunti nella sigla Pigs (Porci in inglese), vale a dire Portogallo, Irlanda, o Italia, Grecia e Spagna. Altra prova del ridimensionato fervore integrazionista è la decisione di far approvare dalla Corte costituzionale i prossimi eventuali trasferimenti di sovranità nazionale all´Unione europea. Non è certo nel futuro scrutabile che si arriverà a politiche sociali e fiscali comuni, ritenute utili, se non indispensabili, alla stabilità dell´ euro.

In seguito alla crisi greca, Angela Merkel e Nicolas Sarkozy si sono dichiarati insieme favorevoli a un governo economico europeo. Ma non hanno approfondito la questione. Gli esperti dicono che i testi su cui basarsi esistono. Quel che manca è la volontà politica di applicarli. La stessa scelta del primo presidente dell´Unione, che doveva essere un avvenimento significativo, ha dimostrato la scarsa ambizione europea dei rappresentanti degli Stati-Nazione. O perlomeno la loro volontà di non vedersi scavalcati da un personaggio di rilievo avvolto nella bandiera europea. Il belga Herman von Rompuy, il presidente appena designato, è un uomo schivo e di basso profilo che non rischia di far ombra a presidenti e primi ministri nazionali. Angela Merkel e Nicolas Sarkozy non gli hanno prestato molta attenzione quando hanno preso la parola prima di lui per illustrare la loro posizione sulla questione greca. Per il neopresidente permanente dell´Unione europea dove essere il debutto. Ed è stata un´umiliazione.

Secondo i calcoli dello storico americano Robert Fogel (Premio Nobel dell´economia) nel Duemila il 6 per cento della popolazione mondiale viveva in Europa e l´economia del Continente rappresentava il 20 per cento di quella globale. Mentre Cina e India totalizzavano il 38 per cento della popolazione e le loro economie insieme rappresentavano il 16 per cento. Secondo Fogel nel Duemilaquaranta l´Europa ospiterà il 4 per cento della popolazione, e la sua economia peserà il 5 per cento. Mentre Cina e India accoglieranno il 34 per cento dell´umanità e le loro economie insieme raggiungeranno il 52 per cento dell´attività economia del pianeta. Anche i premi Nobel possono sbagliare.