Silvio, il carisma e l’Italia
di Massimo Fini - 20/04/2006
Che l’Italia si sia divisa
quasi perfettamente
in due alle elezioni
non dovrebbe essere un
dramma e nemmeno un problema
dal momento che una
delle parti contendenti ha
conquistato, sia pure in
modo alquanto rocambolesco,
la maggioranza sia alla
Camera che al Senato. In
democrazia, com’è noto,
basta un solo voto in più per
essere pienamente legittimati
a governare.
Invece nel nostro Paese la
divisione dell’elettorato in
due parti uguali, come una
mela spaccata a metà, è
effettivamente un dramma.
Perché di fronte si trovano
schieramenti profondamente
ostili, sin quasi al limite della
guerra civile. Che è un
paradosso, dato che sul piano
sostanziale non ci sono gli
estremi per un’ostilità così
feroce. Non siamo nel 1948
quando si trattava di scegliere
se il nostro Paese
doveva restare nell’area del
cosiddetto ‘mondo libero’ o
trasmigrare nel sistema
sovietico. Il che faceva
oggettivamente, pur con tutte
le critiche che si possono
fare alla ‘democrazia reale’,
una differenza decisiva. Ma
non siamo nemmeno negli
anni Sessanta
(...) (o Settanta quando esistevano
ancora classi sociali
assai marcate con interessi
molto diversi per le quali
non era per niente indifferente
che a governare fosse
una forza politica piuttosto
che un’altra. Ma oggi, l’Italia,
(a parte le punte in alto
e in basso) è formata da un
vastissimo e indifferenziato
ceto medio i cui interessi,
dal punto di vista economico,
sono largamente coincidenti.
Così come, al di là
delle apparenze e di qualche
dettaglio, sono largamente
coincidenti le visioni economiche
dei due schieramenti
di centrodestra e di centrosinistra:
entrambi a favore
del libero mercato (a parte
per il centrosinistra, la componente,
tutto sommato
marginale, bertinottiana),
entrambi convinti delle ineluttabilità
della globalizzazione
e quindi che, in questa
mondializzazione dell’economia,
un Paese si salva
solo se è in grado di ‘competere’,
con tutti gli inevitabili
sacrifici che, comunque
mascherati, ciò comporta
per la popolazione.
E allora perché quest’odio
irriducibile? Questo fare
della vittoria alle elezioni
una questione di vita o di
morte? Questo grottesco
evocare, com’è stato fatto
da entrambe le parti, il
bagno di sangue che seguì la
caduta del fascismo? La
questione, è inutile negarlo,
ha un nome e si chiama Silvio
Berlusconi. Da quando è
entrato in politica il Cavaliere
ha spaccato in due il
Paese. Riportando all’onor
del mondo un anticomunismo
viscerale che, dopo il
crollo dell’Urss non aveva
più alcuna ragion d’essere,
almeno da noi (come non
l’aveva, e da molto prima
l’antifascismo militante) e
bollando come ‘comunisti’
praticamente tutti coloro
che non condividono la sua
visione del mondo (nemmeno
a Indro Montanelli, nonostante
settant’anni di anticomunismo,
fu risparmiata
questa sorte).
Dall’altra parte i suoi
avversari di sinistra lo hanno
demonizzato fin da subito
(“il Cavaliere Nero”),
prima che emergessero alcune
disinvolte operazioni che
Berlusconi aveva compiuto
da imprenditore e che legittimano
qualche perplessità
sul personaggio. Ma al di là
di questo è lo stesso carisma
personale di Berlusconi a
spaccare profondamente il
Paese, perché i suoi fan glielo
riconoscono in modo
totalmente acritico come i
suoi oppositori glielo negano
in maniera altrettanto acritica.
Il che dimostra che il
carisma, buono o cattivo che
sia, non va bene per un
sistema democratico. La
democrazia organizza appositamente
meccanismi di
selezione che portino al
governo persone anche
capaci, ma prive di particolari
doti carismatiche. Perché
il carisma, come insegna
Max Weber, è la forma del
potere dittatoriale. Calato
in un sistema democratico
provoca solo contrapposizioni
violente del tutto
immotivate, perché centrate
non su programmi o ideali,
ma su una persona, che
sono quelle che stiamo
vivendo ormai da più di dieci
anni.
L’uomo carismatico può
essere utilizzato da una
democrazia soltanto in alcuni
momenti eccezionali,
come fecero gli inglesi con
Churchill, durante il Secondo
conflitto mondiale, liquidandolo
subito dopo nonostante
- e forse proprio -
fosse aureolato dalla vittoria.
In regime di normalità,
il politico carismatico è solo
un elemento di grave e pericoloso
disturbo. Come gli
inglesi, che la democrazia
l’hanno inventata, sapevano
benissimo. E come l’esperienza
berlusconiana in Italia,
al di là dei pregi e dei
difetti dell’uomo, conferma.