Il segreto della salute
di Pier Paolo Vaccari - 05/03/2010
Di fronte a testi come quello del “IL segreto della salute: l’equilibrio fra acidità e alcalinità”, da un lato si rimane ammirati per quella che sembra essere una conoscenza veramente profonda dei nostri processi organici, dall’altro siamo indotti a un vago senso di colpa per i nostri comportamenti, unito ad un altrettanto vago insorgere di buoni propositi.
Ora a me sembra che, pur nel rispetto di così diffusi modi di pensare, occorra fare qualche riflessione.
“L’uomo è ciò che mangia”. Un assunto filosofico certamente non sgradito all’universo nutrizionista. Al centro dell’interesse, e degli interessi, i cibi, attori unici della nutrizione. Come se la digestione fosse di per sé null’altro che un’attività ripetitiva e automatica, cieca e priva di discernimento: quello che ci metto viene preso pari pari e mandato in circolo.
Essa è invece una funzione complessa, di carattere conoscitivo, cioè cerebrale, che si esprime nella elaborazione di immagini, e che dialoga col mondo esterno attraverso l’analisi delle sostanze che lo compongono.
Un’interazione in realtà ben più intima di quella ottenuta per il tramite degli altri sensi, che lasciano invece il mondo fisico là dov’è ! Un processo conoscitivo intimo e profondo.
Il verbo capire, nella sua accezione etimologica è qui pienamente realizzato.
Attraverso i cibi il mondo esterno viene accolto dentro di noi. La nausea ne è il rifiuto, l’esclusione, il ripiegamento in sé.
Di straordinario supporto a questa tesi è la scoperta, risalente ad alcuni anni or sono ma evidentemente non ancora entrata nella coscienza collettiva, dell’esistenza di un secondo cervello nell’uomo, dedicato specificamente alla digestione.
Un vero e proprio secondo cervello, con la propria massa neuronale, autonomo dal primo, al quale risulta peraltro collegato per il tramite del sistema vagale, e situato materialmente, quasi fosse una calza, lungo tutto il percorso del tubo digerente.
Ad esso è manifestamente riservata l’elaborazione delle strategie necessarie, punto per punto e momento per momento, ad affrontare nel modo migliore scenari straordinariamente diversificati e imprevisti, nonché potenzialmente mortali.
Una funzione quindi altamente attiva e analitica, tutt’altro che passiva come la si ritiene normalmente, allorché le si riconosce al massimo una certa capacità di adattamento.
Mitridate aveva reso il suo organismo insensibile a una cinquantina di veleni mortali (altro che cibi sconsigliati!), tanto che quando decise di morire dovette farsi pugnalare.
Appare pertanto arbitrariamente e grossolanamente riduttivo un approccio esclusivamente dedicato ai cibi, come quello nutrizionista; fondato su pre-concetti di natura fisico chimica o di altra natura; sembrando anzi che ciò possa interferire negativamente sulla autonomia di elaborazione del secondo cervello. Un’autonomia che, come detto, può consentire in alcuni casi perfino l’assunzione senza danno di un gran numero di veleni mortali (qual’era il ph di Mitridate?).
E probabilmente una moderata assunzione di rischi è utile alla calibratura dei processi.
Viceversa è facile constatare come una alimentazione troppo selezionata e protetta possa esporre a pesanti conseguenze nel caso di deroghe accidentali.
In altre parole possiamo e dobbiamo riconoscere che un processo conoscitivo si qualifica in generale per l’ampiezza e ricchezza di acquisizioni che consente di padroneggiare; perché tanto più elevato ne risulterà il livello di sintonizzazione nei confronti dell’ambiente esterno.
L’alimentazione, come ogni altra forma di conoscenza, ha in definitiva i suoi rischi inevitabili. I vecchi un po’ paradossalmente dicevano che quando si mangia si combatte con la morte.
E’ forse il prezzo della vita.