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Apocalypto

di Loretta Bricchi Lee - 24/04/2006

Dopo il grande successo di «Passion», il regista racconta la storia dell’impero dei Maya fino al crollo finale, prima dello sbarco dei conquistadores. Previste nuove polemiche

 

Una pellicola d’azione, con un cast di attori che recitano nell’antica lingua degli indios.
Una vittima predestinata che riesce a sfuggire ad un sacrificio umano.
Il tutto sullo sfondo di una civiltà corrotta alle prese con un inarrestabile declino

Un film d’azione ambientato nelle foreste dell’America Latina prima dell’arrivo dei conquistadores spagnoli nel 16esimo secolo. Una trama originale, certamente, ma che non susciterebbe eccessivo interesse se non fosse attribuita a uno dei nomi più controversi della cinematografia internazionale: Mel Gibson. L’attore diventato regista e produttore sta infatti terminando ai margini della foresta tropicale messicana le riprese della sua ultima fatica, lasciando critica e pubblico a chiedersi quali sorprese abbia in serbo «Apocalypto», quando finalmente quest’estate (probabilmente in autunno in Italia) arriverà nelle sale distribuito dalla Disney. «Volevo dare una scossa all’intero genere d’azione e d’avventura» ha spiegato Gibson in una rara intervista concessa al settimanale Time, riguardo le ragioni di un film decisamente fuori dagli schemi. E il cinquantenne attore che con il suo ultimo film, «La passione di Cristo», ha causato una mini rivoluzione, anche questa volta sembra essersi spinto ai "limiti". Dopo il latino e l’aramaico, in «Apocalypto» Gibson ha infatti deciso di utilizzare un’altra lingua antica: lo yucateco, il dialetto maya che sopravvive nella penisola messicana dello Yucatan, e che sarà parlato da un cast di attori locali e da centinaia di comparse che non solo non hanno mai preso parte a un film, ma non ne hanno mai visto uno. Il film «è ambientato prima della Conquista [dell’arrivo nel 1519 del colonizzatore spagnolo Hernan Cortés, n.d.r.] quindi non ci sono volti europei» ha confermato il regista, escludendo la sua apparizione nella pellicola – a parte un’immagine di una sua unghia, un cameo degno di Alfred Hitchcock. Prima di scrivere il copione, per essere certo dell’accuratezza dei dettagli e dei costumi – un’attenzione mai concessa prima, nel cinema, a questa cultura precolombiana – Gibson avrebbe studiato documenti delle missioni spagnole del ’700 e sacri testi maya come il «Popol Vuh», anche se molti aspetti sono frutto di fantasia. Rimango no infatti molti interrogativi sul popolo vissuto nell’America Centrale, tra Guatemala e Messico, per circa duemila anni. Tuttora le ragioni del suo declino restano ipotesi – carestia, epidemia, guerra civile o invasione nemica. «C’è ancora molto mistero sulla cultura maya, ma questa è solo lo sfondo per ciò che sto facendo – creare un’avventura d’azione di proporzioni mitiche», ha sottolineato Gibson. Pur mantenendo il più grande riserbo sul film il regista ha anticipato che le immagini sveleranno più particolari che il dialogo – di per sé piuttosto limitato – e che la storia, vista attraverso gli occhi di un uomo maya, la sua famiglia e l’intero villaggio, toccherà temi universali sulle civilizzazioni e ciò che le distrugge. La trama, da indiscrezioni, sarebbe questa: mentre il regno maya è alle prese con il suo declino, i governanti insistono che la chiave per ribaltare il processo è quella di costruire più templi per offrire sacrifici umani. Il giovane Jaguar Paw – impersonato dal venticinquenne texano Rudy Youngblood, della tribù indiana Comanche – scelto come vittima sacrificale, riesce a fuggire e a ricongiungersi con la sua donna e la sua famiglia. «Non è una pellicola da giorno del giudizio», ha assicurato Gibson, nonostante citazioni d’apertura come «quando la fine arriva non tutti sono pronti», «una grande civiltà non è conquistata dall’esterno, fino a quando non ha distrutto se stessa dall’interno», e il fatto che la fine dei tempi era prevista dai Maya per il 2012. Il titolo, «Apocalypto», è una parola greca che significa nuovo inizio o rivelazione. E per Gibson il film è una sorta di viaggio antropologico in un mondo sì destinato a finire, ma per lasciare il posto a qualcosa di nuovo. Una pellicola che il regista spera porti il pubblico all’introspezione, ma che, visti i precedenti, offrirà sicuramente spunti anche per qualche polemica. Lo stesso Gibson ha sottolineato che «Apocalypto», pur non essendo un film sanguinario, non sarà nemmeno per i debol i di stomaco. Il popolo maya, esperto in matematica e astronomia, nella costruzione di imponenti piramidi e palazzi, utilizzava com’è noto rituali selvaggi per propriziarsi gli dei. Gibson – che ha prodotto il film attraverso la sua società Icon per mantenere la completa autonomia – ha comunque già precisato che non gli interesseranno le critiche. Del resto la «Passione» ha fatto gridare allo scandalo, registrando poi un consenso di pubblico straordinario, con un ricavato ai botteghini di 600 milioni di dollari, diventando il film indipendente di maggior successo nella storia. Una sfida e un successo che «Apocalypto» tenterà di ripetere.