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Il business dell'oro blu in Italia

di Luce Manara - 24/03/2010




Legambiente e Altreconomia denunciano l'imbarazzante caso delle tariffe irrisorie che le Regioni fanno pagare alle industrie imbottigliatrici. Più che canoni di concessione sono regali che alimentano profitti miliardari. Si salvano Veneto e Lazio

Ecco le cifre di un business che a pensare male si potrebbe chiamare truffa colossale. Ma siccome non è ancora materia per la magistratura, accontentiamoci di definirlo strano, davvero molto strano.

L'Italia tra i tanti record discutibili detiene anche quello del paese con il maggior consumo di acqua minerale pro capite del mondo (205 litri a testa), più del doppio della media europea e americana. In base agli ultimi dati disponibili di Beverfood, sono attive 189 fonti da cui attingono 321 marche di acque minerali (il 79% del prodotto viene inbottigliato nella plastica, solo 18% nel vetro). Le aziende che la imbottigliano ricavano enormi profitti per un giro di affari che sfiora i 5 miliardi di euro (tra le imprese commercializzate in Italia la San Pellegrino, gruppo Nestlé, la San Benedetto, gruppo Danone, Rocchetta e Uliveto della Co.Ge.Di. coprono da sole i tre quarti del mercato italiano). Nestlé possiede più di 260 marche in tutto il mondo (tra cui Levissima, Panna, San Bernardo, Pejo e Recoaro), Danone invece commercializza le «nostre» Ferrarelle, San Benedetto, Guizza, Vitasnella, Boario... Altri numeri, invece, spiegano perché i «signori» delle acque minerali sono così capaci di far parlare bene di sé (le miracolose doti curative delle acque minerali, dette altrimenti pubblicità ingannevoli) e nello stesso tempo così astuti nell'imbastire periodiche campagne per screditare l'acqua del rubinetto: sono i numeri delle cifre enormi che spendono annualmente per le inserzioni pubblicitarie. Attorno ai 350 milioni di euro (62% nelle tv, 14% sui quotidiani, 11% sulle radio, 10% sui periodici). Per dirne una, dopo le acque d'alta montagna che stanziano soldi per salvare i ghiacciai, è di queste ore la fondamentale notizia che il gruppo San Benedetto ha presentato un progetto per spingere i clienti al riciclo delle bottiglie di plastica. Forse, a livello di immagine, questa è la questione più antipatica per le multinazionali dell'oro blu: nel 2008, solo in Italia, sono state utilizzate circa 365mila tonnellate di plastiche, per un consumo di 693mila tonnellate di petrolio e l'emissione di 950mila tonnellate di CO2 equivalente in atmosfera. Lucrano, e inquinano.
Ma allora, se questo è il business, se è vero che la regola numero uno del libero mercato dice che nessuno regala niente a nessuno, perché mai le Regioni italiane si ostinano a regalare le proprie fonti alle società imbottigliatrici? Siglando accordi, a volte «perpetuamente», a tariffe letteralmente ridicole? La Lombardia, per esempio, dove le aziende godono di un regime di privilegio assoluto per emungere l'acqua dal sottosuolo: meno di 52 centesimo al metro cubo. Mezzo millesimo di euro, per un prodotto che al supermercato viene venduto a una cifra 1000 volte superiore.

Questo è solo uno dei tanti clamorosi esempi contenuti nel dossier Il far west dei canoni di concessione sulle acque minerali realizzato da Legambiente in collaborazione con Altraeconomia, che con un eccesso di generosità hanno anche stilato una classifica delle Regioni promosse, rimandate e bocciate. Un lavoro meticoloso che ha ottenuto la stessa eco degli strali, i soliti, del solito Ettore Fortuna, presidente di Mineracqua. «Non è accettabile - ha detto, con involontario senso dell'umorismo - l'atteggiamento di attaccare gratuitamente chi, come gli imbottigliatori di acqua minerale, si occupano di prelevare l'acqua da luoghi incontaminati e isolati per portarla fino ai cittadini, mantenendola nella sua purezza e sicurezza».

Il dossier di Legambiente, a dire il vero, se la prende con l'incomprensibile generosità delle Regioni. La Campania, per esempio - che prevede uno dei canoni più bassi per volume imbottigliato (0,3 euro per metro cubo) - se solo adeguasse il canone di 30 centesimi alla cifra di 2,50 euro potrebbe incassare 2,5 milioni di euro, rispetto ai 300mila totali. Stesso discorso vale anche per il Piemonte (la regione più imbottigliatrice di tutti, con 1,7 miliardi di litri all'anno), dove con un legittimo adeguamento del canone alla cifra di 2,5 euro passerebbe da 1,2 a 4,2 milioni di euro.

Bocciata senza riserve anche la Puglia di Nichi Vendola, «che oggi non chiede nessun corrispettivo per il volume imbottigliato (circa 92 milioni di litri) e che potrebbe invece incassare annualmente 230mila euro in più». Bocciate anche l'Emilia Romagna, insieme alla Puglia una delle regioni che ancora fanno pagare, «incredibilmente», solo sulla base della superficie della concessione e non sui metri cubi di acqua emunta o imbottigliata (19 euro per ettaro, cioé niente); le altre sono Sardegna, Molise, Calabria e Liguria.

Legambiente, «in un panorama nazionale davvero imbarazzante», promuove solo due regioni. Veneto e Lazio. La regione che sarà di Luca Zaia è quella che prevede il canone maggiore per volume imbottigliato (3 euro per metro cubo), oltre ad avere anche il primato per ettaro (118 euro in montagna, 588 in pianura). Il canone, inoltre, prevede una sorta di «premio» per le aziende che utilizzano bottiglie in vetro e per quelle che imbottigliano quantità minori di acqua. Il Lazio, invece, da quest'anno ha aggiunto un ulteriore canone di 1 euro per ogni metro cubo emunto e non imbottigliato (sono milioni i litri che vengono sprecati nelle fasi di imbottigliamento).

Legambiente, tanto per rincarare la dose, ci tiene anche a precisare che già nel novembre 2006 era stato approvato il Documento di indirizzo delle Regioni italiane in materia di acque minerali naturali e di sorgente. Prevedeva tre tipologie di canone: da 1 a 2,5% euro per metro cubo di acqua imbottigliata, da 0,5 a 2 euro per metro cubo di acqua utilizzata e almeno 30 euro per ettaro di superficie concessa. Eppure solo cinque regioni hanno adeguato i canoni alle certo non stratosferiche linee guida nazionali. Strano, perché con questi ritocchi avrebbero solo da guadagnarci. Deve essere che nel far west delle concessioni, «i nostri», non arrivano mai.