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Il simbolo e il linguaggio degli dei

di Francesco Pacini - 24/03/2010

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Il simbolo è l’immagine di un contenuto interiore che trascende la coscienza. L’etimologia greca symbolon deriva a sua volta da symballo che significa “associare”, unire, mettere insieme”. Il Vocabolario della Filosofia di A.Lalande ne spiega l’origine: “Simbolo, segno di riconoscimento formato dalle due metà di un oggetto spezzato che vengono riavvicinate: in seguito, segno qualsiasi, gettone, sigillo, insegna, parola d’ordine, ecc…”.

Il simbolo era un oggetto diviso in due, del quale due persone conservavano una parte. Ricongiungendo il segno spezzato ciò che era stato separato si poteva unire di nuovo. Quindi il simbolo è dotato della facoltà di separare e riconciliare, è una sorta di solve et coagula alchemico collegato alla dimensione verticale, ai luoghi impalpabili dell’invisibile. Il suo rapporto con la parte mancante, complementare, evocata oggi dal ciondolo diviso a metà indossato dagli amanti, inconsapevole imitazione della sua funzione arcaica, ne fa lo strumento capace di risvegliare la ricerca della completezza attraverso la tensione verso l’altra metà, che in questo caso è la parte divina.

Permettendo l’accesso a quello stato superiore di coscienza in cui brillano le luci della reintegrazione, la decifrazione dei simboli vara la nostra “navigazione verso le insondabili profondità del respiro primordiale” (Paul Klee).

Ma penetrarli significa esperirli, offrirsi a una partecipazione attiva che comporta la percezione diretta della coscienza. Nel luogo privilegiato suggerito dal simbolo l’osservatore e l’osservato convergono. Questa unione non passa attraverso le categorie razionali, che per loro natura esaltano ogni forma di separazione: l’investigazione analitica condanna il simbolo a morte, lo fa precipitare sotto la gravità dell’analisi intellettuale privandolo della leggerezza su cui vola la sintesi dei contrari. Il collegamento tra l’immanenza umana e l’eternità trascendente non può passare sul ponte traballante (che all’uomo può sembrare il più solido)  della mente razionale che, sarebbe travolta dalla comparsa di un qualunque soffio spirituale. Sebbene fornisca un supporto, non è la ragione a tenere in mano le famosi chiavi di Iside.

Se la sapienza simbolica esprime e allo stesso tempo nasconde, la parte mancante del sigillo spezzato può essere recuperata solo dall’intuizione. I simboli e le metafore formano il cuore dei miti che, esternamente ancorati a una storia e una geografia funzionali a un primo gradino di ingresso, e certamente caratterizzati dalla cultura nella quale prendono vita, stabiliscono all’interno i rapporto sovratemporali fra i vari livelli di esistenza che dal mondo umano finiscono in quello divino. È stata proprio la qualità intrinseca del simbolo, capace di svelare e occultare allo stesso tempo, a farne lo strumento di trasmissione, nei secoli, dell’antica Tradizione i cui enigmi sono diventati sempre più inafferrabili proprio a causa del progressivo impoverimento della nostra intuizione, seppellita dal flusso ininterrotto della comunicazione mediatica (quindi mediata, filtrata) che ci separa dal mistero delle nostre origini. Così l’incontro con l’eternità offerto dal simbolo diventa sempre più sfuggente mentre l’uomo, fissato saldamente a una delle due parti spezzate, sbatte in tutte le direzioni  del Tempo e dello Spazio senza incontrare mai la sua proiezione ultraterrena.

La ruota degli dèi,
Il simbolismo astrologico: dai principi metafisici alla discesa nel Tempo,
di F. Pacini