Terra e acqua, da strappare agli africani per ottenere cibo e biofuel, a basso costo: l’Africa è la terra più economica al mondo. Per saziarsi, ora le imprese straniere vanno a caccia di giganteschi appezzamenti in tutto il continente nero, sottraendoli all’economia locale. Commercianti internazionali, banche, fondi finanziari, industrie, importatori di materie prime, piccoli investitori: una “febbre di terra” di reminiscenza coloniale, provocata dalla crescente domanda mondiale di alimenti, dopo il forte aumento del petrolio nel 2008, la crescente scarsità d’acqua e l’insistenza dell’Unione Europea a incrementare al 10% la quota del bio-combustibile.

Sudan, Kenya, Nigeria, Tanzania: immensi latifondi, trasformati in terra di conquista. Una razzia condotta spesso contro le popolazioni e con la complicità dei governi, cui non sfuggono Malawi, Etiopia, Congo, Zambia. E ancora: Uganda, Madagascar, Zimbabwe, Mali, Sierra Leone. Lo afferma Alessandro Ingaria su “PeaceReporter”, in un servizio che mette a fuoco il fenomeno: una superficie di 50 milioni di ettari africani, che nell’ultimo anno è stata acquisita (o sta per esserlo) da investitori che lavorano con fondi pubblici esteri.

«Solo l’Etiopia – scrive Ingaria – ha approvato 815 progetti agricoli, finanziati da stranieri, dal 2007 ad oggi». E il governo saudita, uno dei maggiori produttori di grano del medio oriente, ha annunciato che ridurrà la sua produzione interna di cereali del 12% all’anno per risparmiare acqua, stanziano 5 miliardi di dollari per concedere prestiti a tassi agevolati alle compagnie che vorranno investire in Paesi con un forte potenziale agricolo.

La Cina, che nella “riconquista” (commerciale) del continente africano sta facendo in molti paesi equatoriali la parte del leone, ha firmato un contratto con la Repubblica Democratica del Congo per la coltivazione di 2,8 milioni di ettari da adibire a palma da olio per biocombustibile. «Addirittura in Madagascar, prima dei recenti problemi politici – continua “PeaceReporter” – la compagnia sudcoreana Daewoo stava negoziando 1,2 milioni di ettari, quasi la metà della terra arabile del Paese».

L’ultimo caso? Proprio in Etiopia, due aziende indiane hanno sottoscritto un accordo con il ministro dell’agricoltura per ottenere in concessione ventennale 15.000 ettari di terreni. L’obiettivo delle compagnie, scrive Ingaria, è di impiantare tè e “pongamia pinnata”, specie arborea leguminosa proveniente dall’India che cresce fino a 25 metri di altezza ed è strategica per il biocombustibile e l’industria chimica.

In molte aree, avverte “PeaceReporter”, gli accordi sui grandi appezzamenti hanno generato malcontento e accuse di “appropriazione di terra”. Secondo Nyikaw Ochalla, originaria della Gambella, l’area etiope investita dal progetto, tutto il territorio della regione in realtà è utilizzato dagli abitanti: «Ogni comunità possiede e rispetta i fiumi e la terra da coltivare: affermare che esiste terra sprecata o non utilizzata a Gambella è un mito alimentato dal governo e dagli investitori».

Le compagnie straniere arrivano in grandi quantità e privano la gente delle risorse che utilizzano da secoli, accusa l’attivista etiope, ora residente a Londra. «Non consultano la popolazione indigena, le trattative si chiudono in silenzio. L’unica cosa che le persone del posto vedono è gente che arriva con numerosi trattori per invadere le loro campagne». Racconta Ochalla: «Tutta la terra del villaggio della mia famiglia, Illia, è stata espropriata. Ora la gente lavora per un compagnia indiana. Si sono appropriati della terra senza dare alcuna compensazione. La gente non riesce a credere a quello che sta succedendo. La situazione affligge migliaia di persone che soffriranno la fame» (info: www.peacereporter.net).

Fonte: www.libreidee.org